Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il Corriere della Sera dell'8 gennaio 2003

Bush regolarizza 15 milioni di clandestini di Alessandra Farkas

Una legge per attrarre gli elettori ispanici

Permesso di soggiorno di tre anni negli Usa per un esercito di lavoratori in nero

Secondo il democratico Ted Kennedy è un provvedimento «tardivo e insufficiente»

Dal nostro corrispondente

New York – Per la Casa Bianca è «la più radicale e compassionevole riforma dell’immigrazione americana dal lontano 1986». Quando l’allora presidente Ronald Reagan ratificò la legge che regola la materia, tuttora in vigore. Per i detrattori, a destra e sinistra, non è altro che un’astuta e opportunistica mossa per accattivarsi il voto dei 39 milioni di potenziali elettori d’origine ispanica, cruciale in Stati quali New York, California e Florida.
Sfidando un battage di polemiche anche all’interno del proprio partito, ieri il presidente Usa, George W. Bush, ha presentato nella East Room della Casa Bianca il suo progetto di riforma della politica sull’immigrazione che regolarizza la posizione di circa 10-15 milioni di immigrati clandestini, metà circa messicani che hanno varcato la frontiera illegalmente, spesso rischiando la vita.
Con il «temporary worker program» un esercito di agricoltori, cuochi, cameriere, bambinaie e fattorini che oggi lavorano in nero all’ombra dell’«american dream», potranno ottenere un permesso di soggiorno temporaneo della durata di tre anni, scongiurando così la minaccia di essere deportati e di perdere il lavoro.

La nuova legge dà ai «temporanei» gli stessi diritti e doveri dei lavoratori americani, con relativa busta paga, obblighi di pagare le tasse e la garanzia del rispetto dei loro diritti. Ma per essere regolarizzati, il datore di lavoro dovrà dimostrare che «nessun americano vuole il posto in questione».

«Questa è la via americana, la formula che ci ha reso la più grande nazione al mondo», ha detto Bush, che ieri mattina ha telefonato al presidente messicano Vicente Fox per anticipargli i contenuti della riforma, promossa dallo stesso Fox già prima del suo insediamento nel dicembre 2000.
Alla vigilia del loro incontro al vertice delle Americhe di Monterrey, il 12 e 13 gennaio, Bush è riuscito così a ricucire il rapporto, congelato dall’11 di settembre 2001, quando gli Usa hanno deciso di sbarrare le frontiere, mettendo in pericolo ciò che Fox ha definito «la seconda voce dell’economia messicana, dopo il petrolio»: i 14,5 miliardi di dollari che gli illegali spediscono a casa ogni anno.

Immediate le proteste dei democratici, che lottano per conquistare lo stesso elettorato ispanico che nel 2000 si schierò per un terzo con Bush. Il senatore Joseph Lieberman, candidato alle prossime elezioni, ha definito la riforma «una conversione a scopo elettorale» mentre per il grande vecchio del partito Ted Kennedy essa è «tardiva ed insufficiente».

E a scagliarsi contro la proposta di legge, che per diventare effettiva dovrà essere approvata dal Congresso, è anche l’ala più radicale del suo partito. «Bush vuole premiare criminali che hanno violato la legge – punta il dito Thomas Tancredo, senatore repubblicano del Colorado – chi è qui illegalmente va deportato, e il datore di lavoro che assume un clandestino va sbattuto in prigione».
Ma dietro la riforma ci sarebbe anche la lobby economica e finanziaria. La Camera di Commercio statunitense, che rappresenta tre milioni di uomini d’affari, da tempo chiede che vengano adottate misure simili. «Al momento abbiamo 10,5 milioni di lavoratori in nero negli Stati Uniti – ha detto il presidente della Camera di Commercio, Thomas Donohue -. Se dovessero tornare nel loro Paese, dovremmo chiudere bottega».