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CEDU – Viola la Convenzione europea dei diritti dell’Uomo lo Stato che priva della capacità matrimoniale lo straniero in condizione di irregolarità o il cui permesso di soggiorno sta per scadere

Sentenza della Corte di Strasburgo boccia una normativa del Regno Unito che prevedeva una speciale autorizzazione per il matrimonio dello straniero in condizioni di irregolarità o il cui permesso di soggiorno era prossimo a scadere

La Corte europea dei diritti dell’Uomo, con la sentenza dd. 14 dicembre 2010 (O. e altri c. Regno Unito, causa n. 34848/07), ha deciso che la normativa del Regno Unito in materia di capacità matrimoniale dei cittadini stranieri sottoposti alla normativa sull’immigrazione (cittadini non facenti parte di Paesi dell’Unione europea o dell’Area Economica Europea) viola l’art. 12 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo concernente rispettivamente la libertà matrimoniale e il principio di non discriminazione.

Nel 2005 il Ministero dell’Interno del Regno Unito introdusse una nuova regolamentazione riguardante la capacità matrimoniale dei cittadini stranieri, con la proclamata finalità di contrastare i matrimoni di comodo. In base a tali disposizioni, il cittadino straniero per contrarre matrimonio nel Regno Unito doveva richiedere al Ministero dell’Interno un’apposita autorizzazione, versando una tassa pari a 295 sterline ed, in ogni caso, doveva aver fatto ingresso regolare nel Regno Unito e avere ottenuto un autorizzazione di soggiorno della durata di almeno sei mesi, nonché al momento della richiesta, tale autorizzazione di soggiorno non doveva venire in scadenza entro i tre mesi successivi. In base a tali disposizioni, non venivano soggetti a tale autorizzazione gli stranieri che contraevano matrimonio secondo il rito della Chiesa Anglicana.

A seguito dell’accoglimento di diversi ricorsi dinanzi ai giudici nazionali, le disposizioni sono state oggetto di due successive modifiche: con la prima si è estesa la possibilità di richiedere detto nulla osta al matrimonio anche agli stranieri che non avevano ottenuto un’autorizzazione all’ingresso e al soggiorno della durata di almeno sei mesi o il cui permesso di soggiorno veniva in scadenza entro i tre mesi successivi, purchè questi forniscano alle autorità tutte le informazioni necessarie per valutare se il prospettato matrimonio fosse “genuino” e non “di comodo”. Con la terza modifica, è stata estesa tale possibilità anche agli stranieri in condizioni di irregolarità al momento della richiesta di nulla osta.

La Corte di Strasburgo, nel bocciare tale normativa britannica, ha affermato innanzitutto che il diritto fondamentale di ogni uomo e di ogni donna a sposarsi e fondare una famiglia, previsto dall’art. 12 della CEDU, può essere sottoposto da parte degli Stati a limitazioni e restrizioni che rispondano a finalità legittime, tra le quali quella della regolamentazione ordinata dei flussi migratori che implica anche il contrasto dei “matrimoni di comodo”, quelli cioè intesi ad aggirare le normative sull’ingresso ed il soggiorno degli stranieri. Tuttavia, tali limitazioni e restrizioni debbono rispondere a criteri di proporzionalità e non possono spingersi sino a svuotare l’essenza stessa del diritto a contrarre matrimonio. Di conseguenza, la finalità del contrasto all’immigrazione irregolare non può legittimare la privazione di una persona o di un’intera categoria di persone della piena capacità di contrarre matrimonio con un partner di sua scelta.

Sviluppando tali concetti, la Corte di Strasburgo afferma che non sarebbe in violazione dell’art. 12 della CEDU una normativa che sottoponesse i matrimoni nei quali sono coinvolti cittadini stranieri a particolari controlli, nei casi in cui vi siano indizi obiettivi che possano far suscitare il legittimo sospetto che trattasi di matrimoni di comodo, volti ad aggirare la normativa sull’immigrazione. Tuttavia, nel caso in esame, la normativa del Regno Unito vincolava la possibilità di richiedere ed ottenere il nulla osta al matrimonio non a riscontri obiettivi concernenti la genuinità e la buona fede del matrimonio, bensì solo al soddisfacimento di requisiti attinenti l’ingresso ed il soggiorno dello straniero, in termini di durata e regolarità. In particolare, secondo la Corte, la prima e la seconda versione delle disposizioni del Regno Unito sancivano una proibizione assoluta ed inderogabile del matrimonio per il cittadino straniero in posizione irregolare o che aveva fatto ingresso irregolare nel Paese (in special modo dunque i richiedenti asilo) ovvero in possesso di un permesso di soggiorno di prossima scadenza, a prescindere da qualsivoglia valutazione ed indagine sulla genuinità o buona fede del matrimonio. Secondo la Corte, dunque, tale presunzione assoluta di “mala fede” del matrimonio dello straniero in condizione irregolare o in possesso di un permesso di soggiorno di breve durata, con conseguente automatica ed indiscriminata restrizione del diritto alla capacità matrimoniale, è in contrasto con la Convenzione europea in quanto va al di là della dottrina del margine di apprezzamento concesso agli Stati.

Secondo la Corte, inoltre, anche l’imposizione di una tariffa sproporzionata per il matrimonio dello straniero rispetto a quella prevista negli altri casi, per cui allo straniero viene imposto di richiedere un nulla osta sottoposto al pagamento di un contributo pari a 295 sterline, quando invece il costo di un matrimonio ordinario si aggira attorno alle 100 sterline, costituisce pure una illegittima e sproporzionata restrizione al godimento di un diritto previsto dalla Convenzione e, dunque, si pone in violazione della Convenzione medesima.

La Corte di Strasburgo, inoltre, ha ritenuto che l’aver previsto un’esenzione da queste illegittime restrizioni alla capacità matrimoniale degli stranieri nei soli casi in cui il matrimonio venga celebrato secondo il rito della Chiesa Anglicana, costituisce una discriminazione su base religiosa, in quanto finisce per prevedere irragionevolmente e senza adeguata giustificazione, un trattamento differenziato tra coloro che intendono e possono sposarsi secondo il rito anglicano e quelli che invece non intendono o non possono sposarsi secondo tale rito.

E’ del tutto evidente che la sentenza della Corte di Strasburgo, sebbene riferita alla normativa del Regno Unito, mette in evidenza l’illegittimità anche della normativa in vigore in Italia ed introdotta dall’art. 1 comma 15 della legge n. 94/2009 che ha apportato le note modifiche dall’art. 116 del codice civile. Tale normativa ha trovato poi nella circolare del Ministero dell’Interno – Dipartimento per gli Affari Interni e territoriali n. 19 dd. 07.08.2009 le sue disposizioni applicative. Dall’entrata in vigore della suddetta legge, il matrimonio del cittadino straniero viene subordinato non solo alla presentazione all’ufficiale di stato civile del c.d. nulla osta rilasciato dall’autorità consolare dello Stato di cittadinanza presente in territorio italiano, come già avveniva in precedenza, ma anche dei documenti attestanti la regolarità del soggiorno nel territorio italiano. In sostanza, con la nuova legge, il matrimonio dello straniero viene subordinato alla condizione della sua regolarità di soggiorno sul territorio nazionale, che deve sussistere tanto al momento della pubblicazione quanto della celebrazione.

Alla luce della citata sentenza della Corte di Strasburgo, la normativa italiana evidenzia chiari profili di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 117 comma 1 della Costituzione per cui la potestà legislativa deve essere esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali, tra cui quelli derivanti dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo. Ne consegue che la giurisprudenza della Corte di Strasburgo diventa un parametro di valutazione della legittimità costituzionale delle leggi, come chiarito dalle sentenze della Corte Costituzionale n. 348 e 349/2007.

Si ricorda che il Giudice di Pace di Trento, con ordinanza n. 680/2010 dd. 16.06.2010 (testo dell’ordinanza in: http://www.asgi.it/public/parser_download/save/giudice_pace_tn_ord_680_2010.pdf ) , ha sospeso il procedimento espulsivo a carico di una cittadina cilena cui erano state impedite le pubblicazioni di matrimonio ai sensi del nuovo art. 116 c.c. ed ha rinviato gli atti alla Corte Costituzionale per l’esame della legittimità costituzionale della norma.

Si è trattato del caso di una cittadina cilena, priva di titolo di soggiorno, che si è vista negare il diritto a contrarre matrimonio con cittadino italiano in virtù del proprio status di irregolare.

In sede di ricorso avverso l’espulsione la ricorrente ha sollevato questione di legittimità costituzionale che è stata accolta dal competente Giudice di Pace il quale ha rimesso alla Corte Costituzionale questione di legittimità costituzionale ex art. 23 della Legge n 87 del 1953.

Alla luce della sentenza della Corte di Strasburgo, si confida che la Corte Costituzionale dichiarerà incostituzionale il nuovo testo dell’art. 116 c.c. così come riformato dalla legge n. 94/2009.

A cura del servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose. Progetto ASGI con il sostegno finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS

Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 14 dicembre 2010