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a cura dell'Avv. Guido Savio

CIE – Proroga del trattenimento e necessità del contradittorio

Prima proposta di riflessione a margine della sentenza Cass. I^ sez. civ. n. 4544 del 24/2/2010

Delimitazione dell’indagine
La Corte di cassazione, con la sentenza 4544 del 24 febbraio 2010, ha cassato un decreto di proroga del trattenimento nel C.I.E. di
Roma , emesso inaudita altera parte dal Tribunale capitolino in composizione monocratica il
18/2/2009 ( quindi anteriormente alle modifiche apportate con la legge 94/09).
Ritengo opportuno e urgente proporre ai soci ASGI e a quanti fossero interessati all’argomento, una
breve riflessione che, pur non costituendo un’analisi approfondita della sentenza, serva da occasione
di confronto teorico e pratico sull’incidenza della stessa sul meccanismo delle proroghe dei
trattenimenti nei C.I.E. , e, conseguentemente, sulle prassi che si stanno ( o non si stanno)
instaurando nei vari centri e negli uffici dei giudici di pace.

La sentenza
Ritiene il Collegio che le disposizioni di cui all’art. 14 T.U. volte a disciplinare sia il trattenimento
“pre-espulsivo” che quello dei richiedenti asilo e protezione umanitaria, prevedano le garanzie della
difesa e del contraddittorio nei seguenti termini: espressamente, al momento iniziale del
trattenimento con la celebrazione dell’udienza di convalida, implicitamente per l’emissione del
provvedimento di proroga del trattenimento stesso.
La decisione prosegue con un’analisi dell’evoluzione normativa in materia, partendo dal 1998,
passando attraverso le varie riforme della Bossi – Fini, della legge 106/02, della legge 271/04
(conseguente alla nota sentenza della Consulta n. 222/04), per giungere alla recente L. 94/09 che,
come ben sappiamo, ha enfatizzato il meccanismo delle proroghe della permanenza, prevedendone
ben tre, per un periodo massimo di sei mesi di trattenimento.
La Cassazione sottolinea come già con la sentenza 222/04 la Corte costituzionale evidenziò – in
tema di convalida ex post dell’accompagnamento coattivo – la lesione del nucleo insopprimibile del
diritto di difesa in materia di libertà personale, consistente nell’essere ascoltato dal giudice con
l’assistenza del difensore, tant’è che il legislatore corse ai ripari, ricorrendo alla decretazione
d’urgenza, prevedendo l’udienza di convalida con la partecipazione necessaria di un difensore e la
audizione dell’interessato, se comparso. Ciò per sottolineare che, in una lettura costituzionalmente
orientata delle norme in tema di libertà personale, la sua limitazione non può prescindere
dall’instaurazione del contraddittorio con l’audizione dell’interessato e l’assistenza legale: principi, questi, che si ritengono applicabili anche alla proroga del trattenimento, che impinge sulla libertà
personale.
Viene inoltre citata la giurisprudenza di legittimità relativa all’obbligo di dare tempestivo avviso al
difensore di fiducia – la cui nomina costituisce un diritto del trattenuto – obbligo che non può essere
aggirato con la presenza in udienza di un difensore officioso, e, soprattutto, la giurisprudenza della
stessa Cassazione a mente della quale la violazione delle regole del procedimento deve essere
immediatamente eccepita dal difensore presente in udienza e messa a verbale, non potendo essere
prospettata per la prima volta in sede di legittimità. Tale ultimo argomento consente alla Corte di
argomentare a favore dell’obbligo di celebrare l’udienza di proroga del trattenimento: infatti, poiché
il decreto di proroga del trattenimento è ricorribile per cassazione, ciò presuppone che si sia
celebrata un’udienza nel corso della quale vengano eccepiti gli errores in procedendo ed in
judicando
, viceversa il giudizio di legittimità si tradurrebbe in un giudizio di merito di tipo
oppositorio; mentre, invece, la scelta di sistema “di omologare sotto il segno della diretta
ricorribilità per cassazione i decreti di convalida
(per cui l’udienza è espressamente prevista) e
quelli di proroga
( in ordine ai quali l’udienza non è espressamente prevista, ma lo è
implicitamente) appare eloquente della consapevolezza ( da parte del legislatore) dell’unicità e
normalità del ricorso per cassazione”
. Consegue che “la scelta di una unica modalità
impugnatoria
( sia del decreto di convalida che di quello di proroga) è eloquente della scelta di una
unica modalità di decisione del provvedimento impugnato”
( decreto emesso nel contraddittorio e
con le garanzie della difesa).
Argomentando diversamente, solare sarebbe, secondo la cassazione, l’incostituzionalità della lettura
dell’art. 14, co. 5 T.U. che facesse di essa “un meccanismo di controllo officioso della richiesta (di
proroga) al di fuori delle garanzie della difesa nel regolare contraddittorio e con possibilità di
audizione dell’interessato”
in relazione al parametro di cui all’art. 24 Cost.; mentre vi sarebbe
evidente violazione del principio di eguaglianza “ove si riservasse il pieno contraddittorio e
l’adeguata difesa alla verifica delle condizioni di accesso alla misura
(convalida del trattenimento)
e si affidasse al mero colloquio cartaceo tra amministrazione e giudice di pace il controllo della
permanenza e dell’aggravamento delle condizioni autorizzanti la protrazione del vincolo”
( decreto
di proroga).
Infine, a sostegno dell’evidente necessaria omogeneità dei provvedimenti chiesti al gdp, si osserva
che nel nostro ordinamento, tanto civile che penale, “non esistono provvedimenti decisori e
definitivi che siano adottati senza contraddittorio … non si scorge alcuna plausibilità
nell’ipotizzare che il legislatore del 1998, dopo aver rettamente correlato la prima misura
restrittiva al procedimento in contraddittorio, disinvoltamente
(fantasiosamente) abbia affidato la
seconda e le successive ad una pura invenzione giuridica, quella di un decreto de plano di merito e
definitivo sconosciuto tanto al processo civile quanto al processo penale”.

Le citazioni della sentenza evidenziano la chiarezza e al tempo stesso perentorietà degli argomenti.
Giova però sottolineare come altrettanto vigore non sia stato speso a proposito della definizione –
mai sufficientemente chiara nella prassi dei giudici di pace – dei loro poteri. Si legge , infatti, che
“il ruolo del giudice di pace in sede di convalida non è certo quello di verificare la legittimità di un
atto amministrativo bensì, come sempre avviene nei procedimenti di opposizione a ordinanza o
misura amministrativa assegnati alla cognizione del giudice ordinario, quello di accertare le
condizioni per la limitazione del diritto soggettivo del destinatario”
: francamente non si avvertiva
la necessità di questa precisazione, restrittiva rispetto alla previsione dell’art. 14, co. 4 T.U. ( il
giudice provvede alla convalida … verificata la sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 13 e dal
presente articolo…
), prima ancora che della lettura portata dalla nota sentenza n. 105/2001 della
Corte costituzionale.
Quanto alle scadenze procedurali la cassazione è stata costretta ad inventarli (rectius desumerli
dalla norma di sistema), prevedendo che:
– 1. il termine di inoltro della richiesta di convalida (48 h. dalla adozione del trattenimento) non può,
ovviamente, essere esteso alla richiesta di proroga, posto che il trattenimento è già in atto; tale
termine dovendosi individuare in relazione al termine di scadenza del trattenimento che si intende
prorogare, e nel rispetto del successivo termine di 48 h. per la decisione;
– 2. consegue che la richiesta di proroga e gli atti che la corredano (precisazione, questa,
rilevantissima) debbono pervenire al giudice in tempo utile affinché:
2.1. vengano convocati l’originario (o sostituito) difensore (precisazione importante per quel che si
dirà nel prosieguo) e l’interessato,
2.2. venga tenuta l’udienza camerale,
2.3. il giudice depositi il decreto entro 48 h. dalla ricezione della richiesta e, comunque, prima del
termine di scadenza del trattenimento, già noto dalla convalida o dalla precedente proroga.
Questa, in sintesi, la decisione.

Le conseguenze della sentenza
1. Pare evidente che per le proroghe della permanenza nei centri di detenzione amministrativa, tanto
quelle finalizzate all’espulsione, quanto quelle ( di soli 30 gg. e concedibili una sola volta)
finalizzate all’espletamento della procedura semplificata dei richiedenti protezione umanitaria,
debbano essere precedute dalla celebrazione di un’udienza davanti al giudice di pace, le prime, e
davanti al tribunale in composizione monocratica, le seconde, con la presenza obbligatoria del
difensore e dell’interessato, se intende presenziare.
2. Dalla interpretazione costituzionalmente orientata della cassazione emerge chiaramente la
sostanziale illegittimità di tutte le proroghe effettuate sino ad ora de plano, anche se non mi pare
possibile farle decadere, non essendo i relativi decreti di proroga stati impugnati.
3. Consegue che l’interpretazione dell’art. 14 T.U. effettuata dalla cassazione valga a partire dalla
data del deposito della sentenza – 24.2.2010 – e, dunque, occorre attrezzarsi per il rispetto dei
principi delineati dalla giurisprudenza di legittimità in questione.
Il che, in concreto, vuol dire che:
1. deve essere dato avviso al difensore del trattenuto della fissazione dell’udienza di proroga. Quale
difensore? Credo che debba essere contrastato qualsiasi tentativo fantasioso di prendere al volo il
primo avvocato che capita, ipotesi certamente suggestiva per i gdp e le cancellerie, ma sicuramente
illegittima. Infatti, ogni trattenuto deve avere un difensore, di fiducia o di ufficio, nominato per la
convalida del trattenimento e quello è il difensore per tutta la durata del trattenimento, quindi anche
per le udienze di proroga (salva la facoltà del trattenuto di nominarne un altro). Argomentando
diversamente, si avrebbe un avvocato d’ufficio per la convalida ed uno diverso per ognuna delle tre
proroghe possibili, che, verosimilmente nulla sa del caso specifico e si limiterebbe a scaldare la
sedia.
2. anche il trattenuto deve essere posto nelle condizioni di partecipare all’udienza. Non solo perché
lo dice la cassazione, ma anche perché la seconda e la terza proroga, di 60 gg. ciascuna, sono
possibili se lo straniero non coopera al suo rimpatrio (nonostante ogni ragionevole sforzo). Se non
vogliamo che questa sia una mera formula di stile, occorre che il trattenuto venga a dire in udienza
se gli è stato chiesto di collaborare, come, e se ha prestato la sua disponibilità. Diversamente, si
darebbe per scontata la mancata cooperazione per il sol fatto che non sono riusciti ad espellerlo.
A proposito della presenza del trattenuto, che non è certo libero di andare in udienza per i fatti suoi
– essendo legittimamente impedito dalla misura detentiva in atto – o l’udienza si celebra nel C.I.E.,
ovvero se si tiene presso la sede del gdp, lo straniero deve essere ivi condotto. E qui è facilmente
immaginabile che vengano addotti problemi pratici relativi a chi lo deve “tradurre”: il questore deve
disporre il trasferimento a mezzo della forza pubblica ai sensi dell’art. 21, co. 5 D.P.R. 394/99.
Siccome è intuibile tale evenienza non sarebbe gradita, occorre vigilare a che non vengano
trasmesse dichiarazioni di rinuncia a comparire espresse da persone che non hanno nemmeno capito
di cosa si tratta, ma si sono limitate a sottoscrivere una dichiarazione in lingua italiana. Occorre che
la comunicazione di fissazione udienza venga debitamente tradotta, così come occorre che all’udienza ci sia un interprete. Si ripropongono i consueti problemi relativi all’assistenza
linguistica, in una fase decisiva per la prosecuzione della limitazione della libertà personale.
3. non a caso la cassazione, a pag. 14, dice espressamente che la p.a. trasmette al gdp la richiesta di
proroga e gli atti che la corredano
, ciò significa che è onere della p.a. dimostrare di aver fatto tutto
il possibile per eseguire l’espulsione nel termine precedentemente concesso, e la prova di ciò deve
risultare degli atti posti a sostegno della richiesta di proroga, diversamente la proroga non deve
esser concessa. E gli atti devono esser nella disponibilità del difensore prima dell’udienza.
In conclusione di queste brevi riflessioni, mi pare importante vigilare molto attentamente,
coinvolgendo anche gli ordini forensi, per evitare che la sentenza 4544 resti sulla carta, e si
addivenga ad una gestione burocratica e cartolare dell’udienza, rispettosa solo formalmente dei
diritti costituzionali ivi ribaditi, ma di fatto sostanzialmente inutile.
Sarebbe una beffa, in danno non solo dei trattenuti – ora che i termini sono così significativamente
dilatati – ma pure del lavoro e dell’impegno che, come associati, spendiamo quotidianamente .
Invito quindi i singoli soci e le sezioni territoriali delle sedi ove esiste un C.I.E. a monitorare quel
che accade e a condividere in rete le prassi delle singole realtà locali.