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CPR di Torino - Proteste, fughe e atti di autolesionismo

Giovedì 18 luglio promossa una fiaccolata fino al centro di corso Brunelleschi

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Autore: Redazione

La morte di Hossain Faisal, il bengalese 32enne deceduto tra il 7 e l’8 luglio, ha nuovamente scoperchiato la nuda e cruda realtà dei Centri di Permanenza per il Rimpatro, ex CIE.
Da allora non passa giorno che all’interno del CPR di Torino non ci siano accese proteste, iniziative o atti di autolesionismo dei migranti reclusi con il chiaro intento di ottenere la libertà, ma anche di rompere quella cappa di silenzio che i media italiani e molte organizzazioni umanitarie hanno calato sui centri detentivi italiani.
Dopo la rivolta scoppiata in seguito alla notizia del decesso e poi sedata con l’uso della forza, venerdì 12 luglio è iniziato un primo collettivo sciopero della fame: l’obiettivo anche questa volta è quello denunciare le violazioni dei diritti basilari, gli abusi e l’arbitrio a cui sono sottoposti i migranti che hanno come unica "colpa" quella di non possedere un documento e aver compiuto un illecito amministrativo.

All’interno del CPR di Corso Brunelleschi prima della morte di Faisal erano trattenuti 158 migranti e, come si apprende dalla testimonianze raccolte dalla Campagna LasciateCIEntrare, dal Centro sociale Gabrio e da Fanpage.it, ai problemi di sovraffollamento, si aggiungono carenze strutturali e gravi inadempienze che hanno probabilmente concorso alla morte dell’uomo. Nel CPR è infatti prevista la presenza di un unico medico solo per 6 ore al giorno. "L’ospedaletto", questo luogo che dovrebbe rappresentare l’unico presidio medico interno, è stato in realtà trasformato in luogo di isolamento punitivo e di oppressione, senza infermieri né mediatori linguistici, né possibilità di chiedere aiuto visto che i campanelli di allarme vicino ai letti non sono funzionati. Fuori uso, inoltre, risultano le telecamere di video sorveglianza, motivo per cui non si saprà mai cosa è successo all’uomo mentre era in isolamento nell’ospedaletto.

Poche ora fa è stata pubblicata dal Csoa Gabrio un’altra testimonianza video della terribile situazione interna.
«Il ragazzo nel video è Tibi Hateem, recluso nel CPR di Corso Brunelleschi. Tibi nelle ultime 48h - continua il centro sociale - ha tentato il suicidio due volte. Dopo essere stato convinto dagli altri migranti a scendere dalle alte grate di recinzione del CPR, su cui si era arrampicato sabato pomeriggio minacciando di lanciarsi, nella notte fra sabato e domenica, ha ingoiato alcune pile e dello shampoo. Entrambi i tentativi di suicidio, diretta conseguenza delle condizioni disumane e delle continue violenze fisiche e psicologiche a cui sono sottoposti i migranti nei CPR, sono stati sottovalutati o ignorati sia dagli agenti in servizio che dal medico e dagli operatori interni al campo di detenzione. Il video si riferisce al momento in cui, dopo aver ripetutamente richiesto di essere visitato da un medico in ospedale, Tibi è stato riportato in sezione dopo una rapida e superficiale visita da parte del medico dell’ospedaletto il quale gli aveva somministrato una purga. Sia il medico, che l’ispettore responsabile del campo, che la garante dei detenuti non hanno creduto a Tibi, e ai suoi compagni della sezione, pretendendo prove tangibili del tentativo di suicidio per autorizzare il trasferimento in ospedale.

Nel frattempo dall’esterno, sono state effettuate due chiamate al 118 e uno al centro antiveleni dell’ospedale di Niguarda (il litio contenuto nelle pile è un vero e proprio veleno per l’uomo) senza però ottenere neppure l’invio di una ambulanza. Per essere preso sul serio e portato in ospedale, Tibi ha dovuto ingoiare una pila davanti ad uno dei militari in servizio che così, impossibilitati a negare ancora l’accaduto, lo hanno dovuto trasferire al Martini. Neppure la conferma radiografica della presenza di pile nello stomaco ha impedito alle guardie di riportare Tibi immediatamente al CPR motivando il rifiuto al ricovero richiesto dai medici del Martini con il rischio di fuga del soggetto. Rientrato al CPR con la prescrizione di una purga e senza nessun tipo di supporto adeguato, tantomeno psicologico, Tibi adesso si trova con gli altri 156 migranti all’interno di un CPR allagato a seguito delle forti piogge che vanno avanti da stanotte. Durante la scorsa notte in 5 hanno tentato la fuga, uno solo c’è riuscito».

Queste dimostrazioni di resistenza, di esercizio del proprio diritto di fuga e di esasperazione non stanno però trovando quella attenzione e dignità che invece meriterebbero. Ed è proprio per queste ragioni che giovedì 18 luglio è promossa una fiaccolata a Torino con partenza alle 21 da piazza Sabotino fino corso Brunelleschi.

«Nel famigerato CPR di corso Brunelleschi, in vent’anni di attività, ci sono state altre morti (Fatih nel 2008 le cui richieste di soccorso medico rimasero inascoltate fino a lasciarlo morire), oltre che a centinaia di tentativi di suicidio e di atti di autolesionismo: questo non/luogo è un vero e proprio lager, creato per soddisfare l’esigenza di "sicurezza" dei "buoni cittadini italiani" molto tempo prima dell’avvento del governo pentaleghista. Questo luogo è la morte del diritto e dell’umanità, un posto in cui le condizioni igienico sanitarie sono pessime e le possibilità di contatto con l’esterno pochissime, rendendo i reclusi e le recluse ostaggio di qualsiasi tipo di violenza, sia psicologica che fisica. Dobbiamo accendere una luce su questo luogo di tortura, dobbiamo accendere una luce per ottenere verità sulla morte di Faisal e l’unica nostra arma è la solidarietà!».

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[ 16 luglio 2019 ]
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Foto FB Csoa Gabrio

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CPR (ex CIE), CARA, CDA, Hotspot (Articoli generali), Detenzione, Diritti umani, Piemonte - Torino, C.so Brunelleschi , Solidarietà
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Italia, Piemonte, Torino

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