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Calais: gas lacrimogeni contro i migranti nella bidonville

Per tre notti consecutive la polizia ha respinto i migranti con centinaia di lacrimogeni nel tentativo di impedire che gli abitanti della nuova jungle si organizzino per passare il confine con la Gran Bretagna

I responsabili della polizia accusano i militanti no-border di aver provocato disordini all’interno dell’accampamento improvvisato che accoglie tra le 5.000 e 6.000 persone. Ma non si è verificato alcun scambio tra le forze dell’ordine e i militanti che si trovano all’estremità opposta dal luogo degli scontri, in un’area della bidonville dove si sono installati per costruire baracche con i migranti stessi.
Come se non bastassero le violenze e i maltrattamenti subiti a far reagire qualsiasi persona che si trovi in tali condizioni di vita.

Dopo tre notti di gas lacrimogeni, la quarta notte una bombola di gas è esplosa distruggendo decine di tende e lasciando centinaia di immigrati all’addiaccio. La maggior parte dei migranti che si trovano a Calais, sia nel grande campo che in altri rifugi, si rifiutano di tornare indietro e di inserirsi nel programma amministrativo previsto per l’asilo in Francia visto che il loro obiettivo è quello di raggiungere l’Inghilterra.

Molti siriani arrivati a Calais dalla Germania dopo aver percorso migliaia di km hanno come sola prospettiva quella di attraversare gli ultimi 50 km per unirsi ai parenti e spesso far venire i familiari rimasti sotto i bombardamenti. E molti non hanno i soldi per pagare un passaggio. Oltre al fatto che il prezzo per passare è in forte aumento a causa della chiusura ermetica delle frontiere.

L’impatto con i 1.800 poliziotti, i controlli sempre più frequenti e invasivi, il tentativo di ridurre il popolo della bidonville alla fame impedendo l’accesso agli aiuti e ai sostegni dei collettivi che intervengono senza mediazione con la prefettura o tramite le autorità amministrative o istituzionali provoca l’esasperazione e la legittima reazione di chi sta lottando per la sopravvivenza.

Lo scorso 21 ottobre, il ministro dell’Interno Cazeneuve aveva proposto un nuovo piano di “sicurezza” alle frontiere, cioè 500 poliziotti in più, e un altro piano “umanitario“: tende per 200 donne e bambini e, in prospettiva, l’installazione di container per 1.500 persone in un campo chiuso dopo aver sgomberato e fatto evacuare i migranti in una parte della bidonville per liberare il terreno. Sorta di campo di detenzione per come viene presentato e descritto da chi l’ha pianificato senza alcuna consultazione dei diretti interessati. Ma anche di alloggiare dei candidati “volontari” all’asilo all’altro capo del paese, deportando con la forza quelli che incappano in un controllo o vengono catturati arbitrariamente in qualsiasi circostanza sospetta agli occhi delle forze dell’ordine.

Molti dei ‘forzati’ all’asilo in Francia, dopo essere stati espulsi più volte e aver vissuto l’esperienza dei centri di detenzione amministrativa, sono tornati a Calais una volta ottenuta la libertà per via giudiziaria. Ritrovando la miseria e la precarietà. E riprendendo i tentativi notturni per passare la Manica, questa volta affrontando gli attacchi e i tiri di gas lacrimogeno la notte nella bidonville circondata in modo permanente da circa 300 poliziotti dove la vita continua nel degrado e nell’abbandono.

Marina Nebbiolo