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Caltanisetta – Le condizioni di vita nel CPT di Pian del Lago

Intervista a Piergiorgio Calistri - Medici Senza Fronitere

Domanda: Da quanto segue la vicenda del Centro di Permanenza di Pian del Lago a Caltanisetta come esponente dei Medici Senza Frontiere?

Risposta: Medici Senza Frontiere dal 1999 che in Italia si occupa di immigrazione. In particolare con una missione in Puglia, che ora si è trasferita in Sicilia, che aveva tra i suoi obiettivi quello di verificare le condizioni di detenzione delle persone all’interno dei Centri di permanenza Temporanea.
La nostra opera non è mai stata mirata solo al CPT di Caltanisetta, ma a tutti i CPT del sud d’Italia, quindi quello di Brindisi e ai CPT siciliani.
In questo senso noi abbiamo girato più volte in questi centri e anche quello di Caltanisetta.

D: Cosa ha potuto osservare durante le sue visite nel centro di detenzione rispetto a servizi di assistenza medico-legale, eventualmente offerti ai trattenuti?

R: L’ultima volta che ho visitato il centro è stato nel novembre dell’anno scorso. Rispetto ad altri centri, l’aria che si respirava era leggermente migliore.
Le persone sembravano avere una confidenza maggiore con gli operatori all’interno. Il Centro è affidato alla Croce Rossa, che offre più o meno tutti i servizi, soprattutto quello medico. Il medico stava lì 24 ore su 24, eccetto il sabato e la domenica, offrendo quindi discreti servizi di assistenza, soprattutto per una popolazione del centro, che non era mai più di 80 persone. Quindi, dal punto di vista medico, per quanto riguarda le cure non c’erano grossi problemi.
Quello che noi individuiamo come pecca, non solo per questo centro ma per tutti i CPT, è che non esiste un registro delle cure prescritte e dei trattamenti fatti.
E’ negativo, perchè se la persona viene fatta uscire dal centro di permanenza temporanea, solitamente viene semplicemente abbandonata al di fuori del centro perchè sono scaduti i termini di detenzione. Qualsiasi problema l’immigrato abbia avuto, dalle malattie più gravi alle meno gravi, non ha con sé fogli che specificano il trattamento che deve fare o che ha ricevuto. Questo è il problema maggiore per quanto riguarda l’aspetto medico.

Per quanto riguarda l’aspetto legale, anche in questo senso, gli avvocati spesso sono avvocati d’ufficio o avvocati vicini a certe associazioni che entrano nei centri, la stessa cosa avviene per Caltanisetta, dove ci sono forse meno difficoltà ad entrare, ma sta di fatto che l’avvocato è esterno e viene quindi chiamato o dall’associazione o dalla persona. Non esiste un servizio legale interno al centro che le persone che non hanno amici possono contattare direttamente.
Così come non esiste un meccanismo di denuncia di torti subiti all’interno, non ci sono modi per cui una persona possa protestare verso un’autorità.

D: Quali sono le condizioni di vita all’interno del centro che lei ha potuto osservare come testimone?

R: E’ chiaro che per visitare il centro noi dobbiamo chiedere l’autorizzazione al Prefetto. Questo non è ottimale perchè sia gli operatori che i pubblici ufficiali tendono a “ripulire” e a sistemare il centro prima che noi arriviamo.
Nonostante questo le condizioni nel CPT di Caltanisetta sembrano migliori rispetto ad altri centri.
Ci sono 4 container da venti posti letto, che sono letti a castello. A differenza di altri centri c’è un addetto, un responsabile della Prefettura, che periodicamente va a visitare la struttura e a far aggiustare le cose che sono da sistemare. Quindi i container sono tenuti meglio che altrove.
I bagni sono in numero sufficente.
Gli operatori della Croce Rossa mi dicevano che i pasti venivano dati in maniera regolare e che si teneva conto della differenza di religione, quindi ai mussulmani non si portava la carne di maiale.
Le persone trattenute quel giorno erano circa una quarantina ed erano amichevoli anche nei confronti degli operatori che ci accompagnavano.

D: Ha un’idea delle nazionalità dei trattenuti nel centro? Qual’è la loro storia?

R: La stragrande maggioranza di tutti i centri siciliani è composta da nordafricani, quindi marocchini e tunisini. Ultimamente la maggiorparte sono ex-detenuti, persone che sono uscite dalle carceri, che hanno scontato la loro pena e che si vedono rinchiudere nuovamente nel CPT per altri 60 giorni, in quanto hanno anche ricevuto l’espulsione.
Questo crea dinamiche complicate tra chi è semplicemente rintracciato sul territorio senza permesso di soggiorno e chi invece ha compiuto dei crimini in passato.
Ci sono quindi situazioni di violenza, di minacce nei confronti delle altre persone.
Questo è il problema principale accanto all’allungamento del periodo di detenzione dai 30 ai 60 giorni che crea molte più tensioni. Se prima per trenta giorni si poteva comunque a controllare la situazione, in questo caso diventa molto più critica perchè le persone chiedono perchè sono lì, perchè devono restare tutto quel periodo di tempo in attesa di essere rimpatriati. Alcuni affermano di volersene andare da soli perchè non vogliono più stare lì. Alcuni dicono che le condizioni carcerarie siano nettamente migliori rispetto a quelle di un centro di permanenza temporanea, cosa che noi non abbiamo avuto modo di verificare direttamente, almeno a Caltanisseta.

D: E’ a conoscenza di eventuali programmi per il reinserimento di detenute che provengono da situazioni di sfruttamento della prostituzione?

R: L’articolo 18 prevede la questione della prostituzione, quindi della denuncia da chi si è stati sfruttati.
A Caltanisetta non ci sono associazioni che vanno dentro al centro per parlare con le persone e offrire questo tipo di possibilità, anche perchè il centro raramente ospita delle donne. Solitamente è solo maschile e solo in periodi eccezionali, perchè sono pieni gli altri centri, viene usato un container per le donne.

D: Quanto dura il trattenimento e quali sono le modalità di espulsione?

R: Adesso con la nuova legge il trattenimento può durare fino a sessanta giorni, trenta più un rinnovo. Questo non vuol dire che le persone stiano lì 60 giorni, possono essere rimpatriati nell’arco di questi sessanta giorni.
Per le modalità di espulsione, bisogna innanzittutto che il Console riconosca le persone e che quindi accetti il rimpatrio di queste persone, quindi si organizzano autobus o aerei a seconda di dove si è. In questo caso da Caltanisetta si arriva a Palermo e da Palermo a Roma.
Ci sono cifre bassissime di rimpatrio. Si parla del 20% per Caltanisetta. Con la nuova legge, visto che la motivazione per cui si passa dai trenta ai sessanta giorni è quello di poter fare queste operazioni in uno lasso di tempo maggiore, per avere la possibilità di espellere più persone. In realtà, almeno stando ai primi mesi, non è così.
Le percentuali di rimpatrio non si sono affatto alzate, questo testimonia il fatto che una grossa spesa e un grosso finanziamento per il CPT che si stanno progettando, non sia giustificata neanche dal punto di vista di un aumento delle espulsioni effettive.

D: E’ a conoscenza di episodi di autolesionismo o di violenze verificatesi all’interno del centro?

R: Al tempo avvenne una cosa molto curiosa perchè parlando con le autorità, naturalmente mi dissero che non c’erano state e non si verificavano praticamente mai episodi di autolesionismo. Gli operatori della Croce Rossa mi dissero che qualche caso, nella norma, avveniva.
Parlando con alcuni avvocati che di rado riescono ad entrare, ma che hanno spesso contatti con queste persone una volta uscite, hanno invece detto l’opposto, cioè che gli episodi di autolesionismo erano molto numerosi.

D: Le risulta che i detenuti possano ricevere visite da familiari o amici?

R: Esiste un regolamento sulle condizioni dei detenuti all’interno dei CPT. E’ un regolamento molto vecchio, uscito con la vecchia legge, in cui si dice che dovrebbero avere questo diritto. Io, per mia esperienza, non ne ho mai sentito parlare, se non un caso una volta a Brindisi di un mio amico che non è potuto andare a visitare la persona.