Il tribunale civile di Lecce, in composizione collegiale, riconosce lo status di rifugiata come definito dall’art. 1A della Convenzione di Ginevra del 1951 e dall’art. 2 comma 1 lett. e) del d.lgs. 251/2007 ad una donna camerunense, ritenendo sussistente il pericolo, in caso di rientro in patria, di essere nuovamente vittima di abusi e maltrattamenti, persecuzioni di genere legate al luogo di provenienza ed alla sua appartenenza al genere femminile.
Il Collegio ha ritenuto che, nel caso in esame, alla luce degli elementi raccolti e dall’esame dell’audizione avvenuta innanzi alla Commissione Territoriale, il racconto della richiedente appare coerente e plausibile.
Il Collegio, a seguito di un attento approfondimento delle COI anche in riferimento a quelle richiamate dalla Commissione ha evinto che i fatti narrati dalla richiedente in sede di audizione, costretta a scappare per sottrarsi alla pratica diffusa nel suo Paese dei matrimoni forzati, come indicato nelle COI, attengono a persecuzioni per motivi di appartenenza al sesso femminile in quanto non vi è dubbio che la ricorrente sia stata, e potrebbe esserlo ancora, vittima di un fondato timore di persecuzione legata al genere di appartenenza.
In caso di ritorno, la stessa, potrebbe essere esposta a violazione dei diritti umani fondamentali ed oggetto di ritorsioni o nuove esperienze di tratta. Pertanto il Collegio riconosce che la ricorrente è sottoposta al rischio specifico, legato all’appartenenza di genere, derivante dall’esteso fenomeno della tratta di essere umani a fini sessuali nell’area di provenienza, quale atto di persecuzione per motivi di appartenenza ad un determinato gruppo sociale.
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Tribunale di Lecce, decreto del 30 marzo 2020