Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

tratto da Emilianet - Modena Cronaca

Caritas di Modena: aumenta la povertà e l’intolleranza

L'Osservatorio: i sondaggi non si curano dei bisognosi

Il nostro sistema di vita è diventato intollerante alla povertà

I dati dell’Osservatorio Povertà 2003 delle Caritas di Modena e Carpi e le tabelle

Modena (5 mar. 2004) – Che lo si voglia o no i poveri la povertà è sempre stata presente nel nostro sistema. Ci sono dei periodi nei quali il sistema stesso che produce la povertà è in grado di giustificarla e sopportarla. Ci sono poi della fasi, come quella attuale, nelle quali il sistema che l’ha prodotta non riesce più a tollerarla. Fino a quando si riteneva, sbagliando, che i poveri fossero il frutto di una scelta di vita e che riguardava alcune categorie a rischio come gli stranieri, i barboni, i tossicodipendenti o gli anziani soli, non ci si interrogava a sufficienza sul governo dell’economia e sui risultati che questa produceva. Ora che ci si rende conto che la povertà supera i confini amministrativi degli stati e delle regioni, che intere categorie di lavoratori ritenute immuni sono invece precipitate in condizioni di povertà, i poveri fanno notizia e diventano una situazione intollerabile. Ma come spesso accade si ricorre a delle soluzione che affrontano i sintomi piuttosto che le cause che invece andrebbero ricercate nel sistema stesso.

Da questo punto di vista appaiono di scarso aiuto le innumerevoli indagini svolte negli ultimi mesi e che hanno trovato ampio spazio sui mass media.
Il concetto di povertà è un concetto molto delicato, e soprattutto difficile da definire in quanto la sua definizione non può essere estesa in modo univoco nel tempo e nello spazio.
Proprio in questo senso parlare di povertà relativa, povertà assoluta, rischio di povertà appare un esercizio difficile oltre che scarsamente finalizzato.

Al di là della sua connotazione assiologica, i tentativi di descrivere la povertà partono da misurazioni. La distribuzione dei redditi, dei consumi, delle certificazioni ISEE e quant’altro sono distribuzioni che oltre ad un dato centrale come la media, che ne altera l’idea di concentrazione del fenomeno, hanno modalità di ripartizione che individuano invece delle disuguaglianze. Sulla base di queste distribuzioni, si fissano degli intervalli al di sotto dei quali si individua la povertà.
Per fare un esempio l’ISTAT compie studi sui consumi delle famiglie e attraverso questi dati individua come povertà relativa (incapacità di spesa sufficiente per far fronte alle necessità economiche della vita quotidiana) la soglia di 823 € al mese (relativa ad una famiglia di due persone). Al di sotto di questa soglia definisce l’importo di 574 €/mese come soglia di povertà assoluta (incapacità di acquistare molti dei beni ritenuti essenziali per condurre una vita dignitosa, conforme agli standard del nostro paese). L’ISTAT afferma che il 12,4% della popolazione italiana (7.140.000 di persone) è in stato di povertà relativa e di queste 3 milioni circa vive in condizioni di povertà assoluta. Naturalmente la distribuzione territoriale di queste povertà non è uniforme: maggiore concentrazione al sud rispetto al centro e al nord.

Fissare degli intervalli, porta sempre ad un interrogativo molto forte: spostandosi leggermente dall’estremo di 823 €/mese a 830 €, 850 € o 900 € ci si può chiamare fuori dalla “povertà”? In realtà l’ISTAT crea un intervallo ulteriore di ampiezza ±20% (658 € – 988 €), in cui 823 è il punto centrale e definisce la parte superiore come famiglie quasi povere e le famiglie al di sotto come appena povere.
Basare una definizione di povertà sulla spesa media di una nazione ha notevoli controindicazioni. Sarebbe meglio considerare un’altra misura centrale di distribuzione, come la mediana ad esempio; la povertà si muove a seconda della variabilità totale: in questo senso una famiglia può trovarsi al di sotto della soglia senza aver modificato il suo stile di vita ma solo per effetto della variazione complessiva dei consumi della nazione. In secondo luogo non si capisce bene il ruolo del risparmio e quello dell’anticipazione del reddito. Infine, intesa in questo senso la povertà può connotarsi in senso di non consumo o di anticonsumismo.

D’altra parte la scelta dell’ISTAT di basarsi sui consumi anziché sul reddito (come fa il resto d’Europa) è una scelta fatta al fine di migliorare l’analisi per bypassare lo scoglio del reddito sommerso.
Un’analisi che riguarda direttamente la provincia di Modena è stata svolta da Baldini e Silvestri “Redditi e condizioni di vita a Modena” dalla quale emergono alcune differenze significative rispetto all’indagine ISTAT. Innanzitutto si descrive la povertà partendo non dai consumi, ma dal reddito ed in particolare del cosiddetto reddito equivalente che fissa un intervallo dalla mediana della distribuzione dei redditi (considera il primo decile) e conclude che il valore della linea di povertà per una famiglia mononucleare della nostra provincia è di 11.310 € pari a 942,50 €/mese nel 2002. Anche in questa analisi si sottolineano le inevitabili differenze di percezione della povertà mettendo in guardia su quei fattori che in qualche modo fanno aumentare la probabilità di oltrepassare verso il basso la soglia delle povertà.
Così come avverte l’ISTAT esistono dei rischi che potrebbero in qualche modo far precipitare una situazione di quasi povertà. Questi sono abbastanza trasversali e non sono causa di povertà: il vivere in affitto (il rischio è doppio rispetto ai proprietari quasi poveri); essere in una famiglia con 3 o più figli; essere persone in cerca di una occupazione.

A partire da queste indagini non si può fare a meno di osservare quanto in questi ultimi mesi si stiano utilizzando diversi modi per calcolarla, definirla e usarla; sta di fatto che il termine povertà si sta utilizzando, e forse si sta utilizzando troppo e male. Si è passati da anni in cui la parola povertà era quasi tabù ad oggi dove c’è il vero rischio di inflazionarla: di far “perdere valore” al significato di povertà.
Non è la povertà l’incognita più pericolosa in quanto appare far parte del sistema che l’ha generata. Nella società occidentale la povertà esiste. Ed esiste anche un certo grado di tolleranza al numero di persone che fanno parte di questo sottoinsieme. I problemi nascono o ancor meglio sono avvertiti come tali dal sistema quando non è più capace di garantire che non si superi quella soglia di tolleranza. Quali sono allora le possibili contromosse che il sistema mette in atto per garantire la sopravvivenza di se stesso? Può agire con una ridistribuzione del reddito ad esempio, può intervenire con agevolazioni al consumo, e può intervenire direttamente con servizi diretti. Nel momento in cui si allarga l’intervallo dei quasi poveri e si estende fino a toccare una parte di popolazione che non si aspettava questo peggioramento, una popolazione che si vede coinvolta in un gruppo nel quale non pensava di entrarci mai, il sistema può entrare in crisi se non adotta una misura correttiva.

In questo senso la povertà è intesa non tanto come importo mensile da spendere, quanto come percezione profonda di una situazione precaria che in qualche modo dà segni di degenerazione. L’annullamento dei risparmi da un lato, l’aumento della precarietà lavorativa dall’altro sono due forze che agiscono sulla percezione dei redditi presenti e futuri e che, quando non sono garantiti, acuiscono la sensazione di povertà. Se a questo aggiungiamo la percezione di una mancanza di valori condivisi come l’uguaglianza, il rispetto delle regole in uno stato di diritto, allora il sistema si impoverisce ulteriormente. Non si può neppure parlare di sviluppo effettivo di una popolazione se oltre al dato economico di migliore ripartizione dei redditi non consideriamo il raggiungimento e il consolidamento dei diritti umani, sociali e politici.
Le povertà economica e non economica fanno parte del sistema, ma il sistema ha il compito di tenerle sotto osservazione per non farle degenerare.
Ecco perché la mera misurazione di redditi o consumi non può essere sufficiente per descrivere la povertà e per predisporre le politiche di intervento. Meglio affiancare alle metodologie vigenti altri metodi di ricerca con il compito di sondare il senso della precarietà. Svolgere indagini qualitative ancorché quantitative, come le storie di vita che permettono una migliore comprensione delle cause della povertà e della precarietà, quindi operare una sorta di generalizzazione con le dovute cautele per predisporre gli interventi collettivi oltreché individuali.

Dalle storie di vita e dalle biografie dei soggetti in situazione di indigenza e di grave difficoltà economica si individuano tutta una serie di eventi di rottura (come separazioni familiari, perdita del lavoro, sfratti, abbandoni scolastici, ecc.) che hanno condizionato l’innescarsi di meccanismi di impoverimento, isolamento e emarginazione. Gli stessi soggetti li individuano come punti di svolta e chiavi di lettura del proprio passato biografico in relazioni alle condizioni attuali di vita. Questi “meccanismi” di pluri cause effetto risultano essere interpretazioni della degenerazione del rischio povertà e possono essere presi come campanelli d’allarme qualora si manifestassero in altri individui.
In relazione alle storie di barbonismo condotte in ambiti di studio anglosassoni, ad esempio, è stato osservato che la maggior parte degli eventi critici che hanno scatenato la degenerazione appartiene alla sfera relazionale come la rottura familiare; mentre altri tipi di fattori come l’esclusione lavorativa, il disagio psichico, l’alcoolismo, sono intervenuti in un secondo momento e hanno contribuito al peggioramento delle condizioni di vita della persona.

L’analisi dello sviluppo della povertà può essere senza dubbio un valido strumento nell’individuazione delle politiche sociali. Questo non è l’ambito della Caritas che non opera con gli interventi propri delle istituzioni pubbliche, ma attraverso queste analisi migliora la capacità di ascolto, riesce con maggiore consapevolezza a tendere la mano accompagnando e consolando i più piccoli e poveri figli di Dio, affinchè tutti possano ricevere il segno della sua carezza e della sua affettuosa custodia.