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di Nicola Flamigni

Carta Blu: l’Unione Europea apre ai cervelli?

Dopo molte polemiche il Parlamento Europeo approva un testo di direttiva sull’immigrazione altamente qualificata che rimane controverso

Che l’iter legislativo della controversa discussa Carta Blu venga al termine sotto il cappello della presidenza francese del Consiglio dell’Unione Europea può sembrare logico. I francesi hanno fatto tanto rumore fin dall’inizio: effetto Sarkozy. Alla già urlata immigration choisie della campagna elettorale ha fatto seguito, all’apertura del semestre, il Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo.
Di che si tratta veramente?
Nulla di nuovo. Le linee guida europee c’erano già e sono rimaste tali.
Political impetus? Forse. Ma l’impressione generale è che un personaggio come il presidente francese non si sarebbe accontentato di una consueta seduta del Consiglio europeo per lasciare la sua impronta e allora ha tirato fuori dal cappello un “patto”. Cosa mai sentita prima in campo comunitario e che ha preso in contropiede la Commissione europea, già in difficoltà a gestire il consenso degli Stati membri in una materia così ostica. Insomma l’attesa per qualche cambiamento era stata dovutamente costruita. Ma in fine niente di nuovo. La direttiva Carta Blu sull’immigrazione altamente qualificata arriva in porto dopo un annoso dibattito e il merito è solo della Commissione, se di merito si può parlare.

La Carta Blu è un piccolo passo in avanti nella regolamentazione a livello europeo dell’immigrazione legale, settore che aveva accusato una amara battuta d’arresto nel 1999 quando la Commissione propose un progetto di direttiva unica che coprisse l’intera sfera dell’immigrazione economica, rigettato poi dagli Stati membri. Si scelse allora di continuare sbriciolando il pacchetto e di riproporre agli Stati direttive specifiche e che facessero meno paura, cominciando dalla più gradita: quella sui professionisti, sui “talenti” da contendere a Stati Uniti, Canada, Svizzera e Nuova Zelanda, tutti paesi con indici di attrazione molto più alti di quelli europei (fatte le dovute e rare eccezioni, vedi Regno Unito).
La direttiva nasce quindi come “meglio poco che niente”, ma risponde a necessità reali.
In Europa interi settori strategici per lo sviluppo soffrono di mancanza di risorse umane non reperibili nel mercato comunitario: telecomunicazioni, informatica, biotecnologie ecc. Da anni è in corso una battaglia globale per la conquista del capitale umano necessario ad alimentare l’industria dell’alta-tecnologia, la cosiddetta caccia ai cervelli e l’Europa non può tirarsi indietro. Facile quindi immaginare i problemi politici sollevati dai lavori sulla direttiva, senza parlare di quelli etici.

Innanzi tutto lo sfondo. Si parla di invecchiamento della popolazione, di sistema pensionistico destinato allo sfascio, di generalizzata domanda di mano d’opera extracomunitaria a basso costo, di continuo e spregevole uso della mano d’opera irregolare e l’Unione europea risponde con uno strumento che apre le porte solo a quei migranti che possono dimostrare di guadagnare tre volte tanto il salario minimo riconosciuto dallo stato membro d’accoglienza.
Quanti saranno questi migranti di lusso? Un numero irrilevante. Come dare da mangiare una caramella a un morto di fame.

Veniamo allo specifico della direttiva. Vero è che la direttiva ha un alto valore simbolico: è il primo strumento comunitario in materia di immigrazione legale. Qualcosa si comincia a rosicchiare alla sovranità nazionale in favore di una idea di sistema europeo più armonizzato ed aperto. Vero è anche che se l’Europa vuole continuare caparbiamente a perseguire gli obiettivi della Strategia di Lisbona, allora di talenti ne servono eccome: le stime dicono almeno 700.000. A ciò si sommano però alcuni problemi.
Primo, la fuga di cervelli. Non esiste teoria unanime sul Brain drain. C’è chi dice che le politiche della caccia ai cervelli affamano ancor di più i paesi poveri, privandoli di risorse fondamentali. Altri dicono che gli sono favorevoli per la ricezione delle rimesse e i conseguenti obbligati investimenti nell’educazione per alimentare il ritorno economico. Certo è che alcuni settori come la sanità e l’educazione non possono essere trattati alla stregua di altri. Importare indiscriminatamente medici dall’America Latina senza assicurarsi di non aggravare le già precarie condizioni sarebbe indecente. La Commissione ha quindi negoziato alcune clausole etiche inserite nel testo, sotto forte pressione del Parlamento Europeo. Difficile sapere quanto saranno efficaci. Si parla di dare la possibilità agli stati d’origine di adeguare i flussi in uscita tramite accordi bilaterali con i paesi di arrivo europei. A tal riguardo la Commissione sviluppo del Parlamento ha espresso molte perplessità.
Secondo, le ineguaglianze all’interno della stessa Unione. I paesi nuovi entranti di nuova generazione (Romania e Bulgaria), ma anche di vecchia (ad esempio, Polonia) devono ancora espletare un periodo transitorio durante il quale i loro cittadini non potranno godere degli stessi diritti di circolazione (fondanti della cittadinanza europea) che godono il resto dei cittadini europei. Sono per questo chiamati cittadini di serie B. Ora, se la direttiva venisse trasposta in tempi brevi, tali cittadini rischierebbero di diventare cittadini di serie C, superati dai migranti altamente qualificati che potrebbero muoversi da uno stato all’altro con più libertà (solo dopo due anni di lavoro in uno stato membro).
Terzo, a cosa sta puntando l’Europa? I futuri progetti di direttiva sull’immigrazione economica riprendo tutti l’impianto di migrazione temporanea della direttiva Carta Blu.
L’Europa pensa veramente di poter rispondere ai suoi bisogni economici attraverso l’immigrazione temporanea? Non si rischia di ripetere gli stessi errori del modello Guestarbeit tedesco pre-1974, quando si chiedevano braccia e arrivavano uomini?
Il piano presentato dalla Commissione per il futuro affronta il problema della domanda di lavoro extracomunitario attraverso il principio dell’ immigrazione scelta e non dà una risposta alla necessità di regolazione della mano d’opera immigrata bassamente qualificata. Ciò lascia presagire che la domanda di lavoro continuerà ad essere soddisfatta dai migranti irregolari che rischiano la vita per arrivare fin qui, per poi essere sfruttati. Non abbiamo imparato nulla dagli anni 70’? L’ipocrisia invece di diminuire, sembra crescere.