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Carta di soggiorno – E’ necessario documentare l’idoneità dell’alloggio per il rinnovo del contratto di soggiorno?

Il lavoratore in possesso della carta di soggiorno si è posto questi scrupoli, che però sono del tutto fuori luogo in questo caso. Infatti, nel caso di chi è in possesso della carta di soggiorno nessuna di queste verifiche è prevista dalla legge. Non si prevede l’obbligo di stipulare il contratto di soggiorno, non si prevede assolutamente la verifica sulla disponibilità dell’alloggio e sulla sua idoneità.
Il titolare della carta di soggiorno ha un diritto a tempo indeterminato a soggiornare in Italia, non subordinato a nessuna verifica e, soprattutto, non comportante alcun ulteriore controllo, verifica o garanzia da parte del datore di lavoro. Il titolare della carta di soggiorno va a lavorare alle stesse condizioni di un lavoratore italiano, stipula un normale contratto di lavoro, e il suo avviamento al lavoro viene comunicato alle autorità competenti – Centri per l’Impiego e questura – puramente e semplicemente, senza ulteriori aggiunte di contratti di soggiorno, certificati di idoneità dell’alloggio, o impegni di pagamento delle spese di rimpatrio, proprio perché la condizione del titolare della carta di soggiorno è considerata dalla legge come di una persona che ormai è inserita stabilmente nel tessuto sociale ed economico italiano e non deve più essere sottoposto a controlli, salvo che non commetta dei reati di una particolare gravità. A parte questa ipotesi, si tratta di una persona che non deve più soffrire per quanto riguarda questi adempimenti e non deve più recarsi presso la questura a chiedere rinnovi, proroghe e quant’altro.
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Il certificato di idoneità dell’alloggio
Nel quesito che ci è stato segnalato, stando a quanto risulta in base alle informazioni del datore di lavoro, nonostante il lavoratore immigrato sia titolare della carta di soggiorno, ora dovrebbe non solo stipulare con il datore un nuovo documento cioè il contratto di soggiorno, ma dovrebbe anche inoltrarlo all’UTG presso lo Sportello Unico, corredato della relativa documentazione indicata nella modulistica. Vale a dire corredato anche di certificazione attestante l’idoneità dell’alloggio dove abita. Come è noto, questo certificato va richiesto presso l’ufficio tecnico del Comune dove si trova l’abitazione, oppure alla ASL competente per territorio. I funzionari competenti rilasceranno questo certificato dopo avere verificato che il rapporto tra superficie ed occupanti rispetta gli standard abitativi previsti nella legislazione regionale sugli alloggi di ERP.

Alcune considerazioni sulla attendibilità dei parametri stabiliti dalle leggi ERP
Per esempio in Friuli Venezia Giulia si è scoperto da poco che non esiste una norma regionale che stabilisca questi parametri e che le amministrazioni locali ai fini del rilascio di questo certificato di idoneità alloggiativa in realtà inventano parametri ciascuna in modi diversi dall’altra.
Nel Veneto invece, questa normativa esiste ed ha fissato dei parametri particolarmente elevati di “confort”, che nella pratica costituiscono degli obiettivi da raggiungere e non dei dati di fatto. Più chiaramente, la quasi totalità degli assegnatari di alloggi ERP abita in alloggi in cui questi parametri non sono rispettati anche perché, purtroppo, gli alloggi sono pochi e le domande sono tante e nel momento in cui una famiglia ha urgenza estrema di ottenere l’assegnazione di un alloggio perché prossima a subire l’esecuzione di uno sfratto, è chiaro che deve prendere quello che è disponibile, che nella pratica non corrisponde alle pur legittime aspettative del nucleo familiare.
Poi magari, più per caso che per scelta, si verifica anche che nel corso del tempo si trovino persone che mantengono il possesso di un alloggio al di sopra di questi parametri perché magari il nucleo familiare si disgrega e i figli crescono e vanno a vivere altrove, la coppia si dimezza per decesso di uno dei due coniugi e quindi ecco che può capitare che una persona abiti in un alloggio che sta al di sopra di questi parametri, ma nella realtà pratica per quanto riguarda gli assegnatari di alloggi ERP è difficile rispettare questi parametri, che, peraltro, quando sono stati pensati ed adottati inizialmente non avevano alcun carattere vincolante, prova ne sia che nessuna persona può rivendicare l’assegnazione di un alloggio che rispetti questi parametri dimostrando che l’alloggio attualmente in sua assegnazione non li rispetta.
Questi parametri diventano vincolanti ed addirittura assillanti per i lavoratori immigrati che ora – in base al nuovo regolamento di attuazione – dovrebbero ogni qual volta cambiano datore di lavoro e rinnovano il permesso di soggiorno, dimostrare che abitano in alloggio “idoneo”, vale a dire un alloggio per il quale è stata rilasciata la certificazione di idoneità d’alloggio.
L’art. 36 bis del nuovo regolamento di attuazione prevede infatti che per l’instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro deve essere sottoscritto un nuovo contratto di soggiorno per lavoro, anche ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno.
E’ una formulazione piuttosto ambigua e sembra quasi si voglia dire che se il lavoratore, durante il corso di validità del permesso di soggiorno, stipula un nuovo contratto di soggiorno ma non perfeziona anche l’apposito modulo, ovverosia il contratto di soggiorno, potrebbe rischiare di non poter rinnovare il permesso di soggiorno al momento in cui avrà scadenza e dovrà chiederne il rinnovo.
Questa è una situazione che si può facilmente verificare.
Esempio pratico – Proviamo ad immaginare il caso di un lavoratore che abbia un contratto di lavoro a tempo indeterminato quindi ottenga, al momento opportuno, il rinnovo del permesso di soggiorno per la durata di due anni. Dopo tre mesi, questo lavoratore decide di dare le dimissioni perché non si trova più bene (o viene licenziato per riduzione del personale o per altre cause previste dalla legge) conservando però il permesso di soggiorno in suo possesso, in quanto non esiste nessuna norma che preveda, in questo caso, il ritiro o la revoca del permesso di soggiorno o la scadenza anticipata (semmai, la Conv. O.I.L. 143/75 e l’art.22 del T.U. sanciscono il contrario, ovvero che la perdita del permesso di soggiorno non può mai comportare automaticamente la perdita del permesso di soggiorno). Quindi, se aveva un permesso di soggiorno di due anni e dopo tre mesi perde il posto di lavoro, avrà ancora un anno e nove mesi davanti a sé in cui dispone di un permesso di soggiorno valido con cui dovrebbe poter lavorare regolarmente presso qualsiasi datore di lavoro. Ora, però, la nuova disposizione del regolamento di attuazione (art. 36 bis) prevede che per l’instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro, anche nel caso in cui il pds sia ancora in corso di validità, debba comunque essere sottoscritto e depositato – per il momento, in base alle disposizioni provvisorie, basterà inoltrarlo a mezzo raccomandata — presso lo Sportello Unico UTG, un nuovo contratto di soggiorno per lavoro.
Questa previsione circa l’asserito obbligo – ma vedremo se questo obbligo si potrà considerare valido secondo una corretta interpretazione della legge – di stipula di un nuovo contratto di soggiorno, comporta anche la verifica sulla disponibilità di un alloggio idoneo dunque, la certificazione di idoneità dell’alloggio. Ciò è fonte di preoccupazioni, perché durante la vita del permesso di soggiorno può verificarsi che il lavoratore perda l’alloggio e che tale circostanza, proprio nel momento di maggiore difficoltà quando manca anche il lavoro, impedisca di stipulare un contratto di lavoro e quindi di trovare un nuovo reddito con cui reperire un nuovo alloggio. Tutto questo sembra l’espressione quasi di una volontà diabolica, che tutto sommato traspare abbastanza evidentemente nell’impostazione del Testo Unico come modificato dalla legge Bossi Fini, ma soprattutto ancora di più dal regolamento di attuazione.

Stipula del contratto di soggiorno…sempre e comunque

Commento alla circolare n. 9 del marzo scorso del Ministero del Lavoro

Il regolamento di attuazione della legge Bossi Fini prevede come regola generale all’art 13 che ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno debba sempre e comunque essere stipulato un contratto di soggiorno, che altro non è che un normale contratto di lavoro con l’aggiunta di questa dichiarazione con cui il datore di lavoro assicura di avere verificato la disponibilità di un idoneo alloggio da parte del lavoratore e si impegna a pagare le spese di rimpatrio in caso di necessità.
Sull’impegno al pagamento delle spese di rimpatrio in caso di necessità, non riteniamo di dover spendere molte parole perché è una cosa destinata a non funzionare. Era stata prescritta per tanti anni in base alla vecchia normativa prima della legge Martelli e non aveva dato nessun risultato pratico, perché dal punto di vista dell’effettività non è concretamente possibile far valere questo obbligo e anche quando c’era non è mai stato utilizzato.
A parte questo aspetto, la cosa più rilevante è che in relazione alla stipula del contratto di soggiorno deve essere verificata la disponibilità di un alloggio idoneo nei termini che abbiamo detto. E questo in occasione del rinnovo del permesso di soggiorno, come si legge nell’art. 13 del regolamento di attuazione. Poi, in occasione di ogni nuovo rapporto di lavoro anche durante la validità del permesso di soggiorno, l’art 36 bis ci ripete che è necessario stipulare il contratto di soggiorno e che questo obbligo di stipularlo ogni qual volta si cambia datore di lavoro o si fa un nuovo contratto di lavoro anche con lo stesso datore di lavoro, è necessario stipulare il contratto di soggiorno perché altrimenti successivamente ci potrebbero essere delle conseguenze quando toccherà rinnovare il permesso di soggiorno.

A questo riguardo la circolare n. 9 del marzo scorso del Ministero del Lavoro, ritiene di aver fornito dei chiarimenti dando una serie di indicazioni per quanto riguarda le modalità di funzionamento “provvisorie” dello Sportello Unico presso gli UTG.
Posto che questi uffici per il momento sono privi di risorse umane, strutturali e quant’altro, tutta l’attività di verifica, controllo e tutela che dovrebbero garantire, in realtà non si sa come potrebbe essere effettuata. L’attività si concretizzerebbe nella spedizione di buste e raccomandate contenenti i contratti di soggiorno con le certificazioni di idoneità dell’alloggio o le autocertificazioni da parte del datore di lavoro. Che quindi vi sia una effettiva attività di controllo delle condizioni di lavoro ed abitative per assicurare tutele ai lavoratori è da porsi in dubbio, dal momento che si tratta semplicemente di carte che vengono spedite in uffici che, di fatto, non sono dotati ne di personale ne di strutture aggiuntive.
Tuttavia c’è il rovescio della medaglia, ovverosia che i datori di lavoro – temendo di compiere delle irregolarità – stanno sospendendo i rapporti di lavoro, rifiutando assunzioni, rinnovi di contratti di lavoro perché temono di doversi assumere delle responsabilità per quanto riguarda la stipula del contratto di soggiorno e la relativa verifica della disponibilità di un alloggio idoneo.
I datori di lavoro chiedono ai propri dipendenti – come condizione per l’assunzione, per prorogare il contratto di lavoro a tempo determinato o anche come condizione per proseguire un rapporto di lavoro, instaurato prima ancora del regolamento di attuazione – la documentazione relativa all’alloggio e il certificato dell’idoneità dell’alloggio. In mancanza di questi documenti sospendono o addirittura licenziano il lavoratore, ritenendo che non sia possibile proseguire o stabilire in modo regolare il rapporto di lavoro con queste persone.

Dunque, come abbiamo visto, se chi ha la carta di soggiorno non ha di questi problemi, per quanto riguarda invece le sorti della maggioranza cioè persone che hanno un normale pds, dovranno fare i conti nell’immediato futuro con tutti questi problemi.
Ad appesantire questi problemi ci ha pensato in maniera “provvidenziale” la circolare del Ministero del Lavoro che ha dato le prime indicazioni, relativamente all’utilizzo della modulistica del contratto di soggiorno e all’inoltro dei contratti di soggiorno presso gli Sportelli Unici (UTG)

I rapporti di lavoro in corso da tempo
Sempre la circolare n. 9/2005, prende in considerazione perfino la necessità che sia concluso il contratto di soggiorno, non solo per i nuovi contratti di lavoro, non solo per il rinnovo dei permessi di soggiorno (quando questi vengono ha scadenza), ma addirittura nei casi in cui si tratti di rapporti di lavoro già precedentemente in corso, quindi instaurati da tempo, prima ancora dell’entrata in vigore del nuovo regolamento di attuazione, ossia nell’epoca in cui non era necessario fare nessun contratto di soggiorno, in nessun caso.
Per queste situazioni di rapporti di lavoro già instaurati, il Ministero del Lavoro ritiene che il datore di lavoro e il lavoratore debbano, comunque, senza che vi sia peraltro l’indicazione di un termine entro il quale dovrebbero farlo, stipulare il contratto di soggiorno e inoltrarlo all’ufficio territoriale del Governo.

Se dovessimo ritenere corretta l’interpretazione del Ministero del Lavoro ciò comporterebbe anche per chi è in Italia da prima e per chi sta lavorando da anni presso lo stesso datore di lavoro (non soggetto inizialmente alla disciplina del contratto di soggiorno) la necessità di verificare, nel momento in cui si stipula il contratto di soggiorno, la disponibilità di un alloggio.
Ripetiamo, non di un semplice alloggio ma bensì di un alloggio “idoneo” cioè supportato da una certificazione rilasciata dagli appositi uffici, in cui si dice che l’alloggio è “sufficientemente confortevole”.
Che bello, una legge che obbliga tutti a diventare ricchi, ad avere una casa confortevole, ci vorrebbe anche per gli italiani viene da dire!…
Questa interpretazione del Ministero del Lavoro è molto discutibile perché le circolari ministeriali non possono inventare nuove regole, non previste dalla legge e, in questo caso, si tratta veramente di un’invenzione.
L’obbligo per i rapporti di lavoro già in corso alla data dell’entrata in vigore del regolamento, di stipulare il contratto di soggiorno, non solo non si ricava dalla legge – Testo Unico sull’Immigrazione come modificato dalla legge Bossi Fini – ma non si ricava nemmeno dal Regolamento di attuazione che nulla dice a questo riguardo.
L’art. 36 bis infatti, si riferisce alla instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro, riferendo l’obbligo di stipula del contratto di soggiorno. Ma che dire dei rapporti di lavoro vecchi ancora in corso? Sicuramente devono continuare e non possono essere ritenuti nuovi rapporti di lavoro.
Quindi non si vede perché il Ministero del Lavoro, dovrebbe estendere questa sorta di verifica, di adempimento, anche ai vecchi rapporti di lavoro che non hanno nessuna colpa se sono nati da tempo e stanno proseguendo.

Non solo ci sembra fortemente discutibile questa invenzione dell’obbligo di stipulare il contratto di soggiorno anche per i rapporti di lavoro precedenti e già in corso, ma persino la previsione contenuta nel regolamento di attuazione dell’obbligo di stipulare il nuovo contratto di soggiorno (con la verifica sull’idoneità dell’alloggio) in ogni occasione di nuovo rapporto di lavoro, come pure in occasione di ogni rinnovo del permesso di soggiorno, ci sembrano molto discutibili. Questo perché c’è un’enorme differenza tra quanto è scritto – quindi disposto nel Testo Unico sull’Immigrazione – e quanto invece è previsto e disposto nel regolamento di attuazione.
In realtà gli articoli 5 bis e 22 del Testo Unico sull’Immigrazione – come modificato dalla legge Bossi Fini – prevedono certamente l’obbligo di stipulare il contratto di soggiorno con la relativa verifica sulla disponibilità di un idoneo alloggio ma questo obbligo lo prevedono soltanto in un caso cioè nel caso di autorizzazione del primo ingresso del lavoratore straniero ed il rilascio del primo permesso di soggiorno. Questo testualmente.
Non vi è nel Testo Unico sull’Immigrazione, alcuna disposizione che preveda obblighi di questo tipo, successivamente in occasione del rinnovo del permesso di soggiorno e meno che meno in occasione del semplice rinnovo di un contratto di lavoro, o di stipula di un nuovo contratto di lavoro quando lo straniero ha un permesso di soggiorno in corso di validità.
Questi nuovi obblighi sono previsti, esclusivamente, nel nuovo regolamento di attuazione.
Non trovano alcuna traccia, alcun minimo fondamento, nel Testo Unico sull’Immigrazione così come modificato dalla legge Bossi Fini.

Allora è giusto chiedersi, se un regolamento di attuazione può inventare nuove regole che nella legge non ci sono. Laddove la funzione evidente – e la funzione legale – del regolamento di attuazione è solo ed esclusivamente quella di garantire la corretta e completa attuazione di principi, precetti, regole, stabiliti nella legge.
Ma la legge non prevede nessuna regola di questo tipo. Prevede questo particolare controllo solo in occasione della procedura di autorizzazione del primo ingresso del lavoratore, il che potrebbe avere un suo senso – comunque molto diverso – rispetto alla previsione di un analogo controllo ogni qual volta il lavoratore cambia lavoro e poi rinnova il pds. E’ cosa completamente diversa e non centra niente con l’attuazione delle norme stabilite nel Testo Unico sull’Immigrazione.
Il Regolamento di attuazione non può creare nuove disposizioni di legge, non può allargare la regolamentazione legale. Se lo fa è un Regolamento che può e deve essere disapplicato – in caso di contestazione davanti al Giudice – e solo l’autorità giudiziaria può farlo, a meno che l’amministrazione che ha emanato questo regolamento non abbia il buon gusto di revocarlo o di modificarlo.

Si possono contestare queste norme “allegre”?
Ma quello che vogliamo dire è che poiché non sembra affatto che le disposizioni contenute a riguardo nel Regolamento di attuazione abbiano un mero valore attuativo ma sembra che abbiano un valore creativo (nuove disposizioni che nulla centrano con la legge), riteniamo che queste disposizioni del Regolamento di attuazione si potrebbero contestare, in sede di ricorso, chiedendone al giudice competente la disapplicazione, in pratica la “dichiarazione di inefficacia” per violazione delle regole generali stabilite dalla legge.

Esiste, infatti, una gerarchia ben precisa tra la legge e il regolamento di attuazione. Quindi crediamo di non inventare nulla di nuovo facendo queste considerazioni.
D’altra parte un’interpretazione diversa potrebbe essere molto discutibile, anche sotto un profilo diverso. Se dovessimo ritenere – facendo pur torto a quanto scritto chiaramente nel Testo Unico sull’Immigrazione e quindi volendo leggere quello che non c’è scritto – che il Testo Unico sull’Immigrazione impone, anche per i successivi rinnovi di contratti di lavoro questa cerimonia della verifica sulla disponibilità di un alloggio idoneo sempre e comunque, in occasione di ogni contratto di lavoro o rinnovo del pds, dovremmo dubitare sulla legittimità costituzionale di questa norma cioè delle disposizioni Testo Unico sull’Immigrazione. Quindi se il giudice non ritenesse di disapplicare direttamente queste disposizioni del Regolamento di attuazione incompatibili con la legge, si troverebbe di fronte ad un ulteriore decisione ovvero di valutare se queste disposizioni contenute nella legge, sono rispettose dei principi contenuti nella Costituzione. Questo per un motivo molto semplice, perché la legislazione in materia degli stranieri deve essere sempre conforme alle regole stabilite dai trattati, dalle Convenzioni internazionali a cui la Repubblica italiana abbia già dato adesione.

La parità di trattamento
Fra queste Convenzioni internazionali vi è la che sancisce il “principio di piena parità di trattamento” e di “pari opportunità” tra lavoratori immigrati regolarmente soggiornanti e lavoratori nazionali.
Se parità di trattamento significa intuitivamente stessa paga, stesso contratto collettivo o individuale di lavoro, ecc., questa garanzia assolve alla funzione di consentire o di permettere l’accesso al mercato del lavoro e quindi la stipula del contratto di lavoro, alle stesse condizioni pratiche previste per un cittadino nazionale.
Ecco che, se da un lato sappiamo bene che un cittadino italiano può stipulare correttamente un regolare contratto di lavoro anche se dorme sotto un ponte viceversa, in base a queste disposizioni – se fossero interpretate come vuole il Ministero del Lavoro – dovremmo ritenere che un lavoratore straniero invece non può, anche se è regolarmente soggiornante, andare a lavorare regolarmente a meno che non abbia una casa confortevole. Cosa che agli italiani non è richiesta, e che peraltro non centra assolutamente nulla con le caratteristiche essenziali di un contratto di lavoro.

Il contratto di lavoro non è altro che uno scambio tra un prestazione lavorativa di un certo tipo, di una certa qualifica e somma di denaro con determinate condizioni minime e determinate condizioni accessorie che si riconducono alle assicurazioni sociali in buona sostanza. Non centra niente con la validità e con l’essenza di un contratto di lavoro.
Il fatto che il lavoratore abbia una casa bella, o una casa per così dire sufficientemente confortevole e ampia (difficilmente se non gli si permette di andare a lavorare in regola) è un trattamento diverso stabilito dalla legge tra lavoratori nazionali e lavoratori extracomunitari già regolarmente soggiornanti. Altro non è che una forma di discriminazione, comunque un’evidente lesione del principio, della garanzia di pari opportunità. Un lavoratore straniero non ha le stesse opportunità di lavoro perché deve avere, non soltanto la voglia di lavorare, la capacità di fare un determinato lavoro, ma anche una casa bella.

Poiché sembra evidente che questa normativa – anche se la questione non è stata ancora posta all’attenzione della magistratura competente – se fosse vero che va interpretata in questo modo, ci sarebbe una violazione del principio di pari opportunità che vincola la Repubblica italiana, avendo essa sottoscritto la Convenzione dell’Organizzazione internazionale del Lavoro n. 143 del ’75. Per questa via ci sarebbe una violazione dell’art. 10 della Costituzione che obbliga la legge italiana a conformarsi alle Convenzioni internazionali in materia di trattamento degli stranieri. È una previsione specifica della nostra Costituzione che dimostra la lungimiranza dei nostri costituenti che peraltro, in buona parte, avevano vissuto la condizione di emigranti e anche di asilanti.
Ebbene se queste possibili interpretazioni fossero messe al vaglio della magistratura, potremmo, in termini di possibilità, assistere a un totale stravolgimento dell’impianto del nuovo regolamento di attuazione e dell’istituto del contratto di soggiorno.
In altre parole potrebbe anche essere. Uso il condizionale perché finché non ci saranno pronunciamenti da parte della magistratura non si potrà assicurare il loro orientamento o prevederlo e con sufficiente attendibilità. Certamente non è questione così astratta immaginare che si possa sollevare la questione della disapplicazione del Regolamento di attuazione in materia di contratto di soggiorno e d’idoneità dell’alloggio, dapprima e successivamente, in via subordinata, anche la questione di legittimità costituzionale, dello stesso Testo Unico sull’Immigrazione, se ed in quanto lo si dovesse interpretare, nel senso di imporre, non solo in occasione del primo ingresso, ma in occasione di tutti i rinnovi contrattuali, di tutti i rinnovi dei permessi di soggiorno, queste verifiche che sono discriminatorie e che ledono il diritto alle pari opportunità.

Per fare delle considerazioni di carattere pratico, pensiamo innanzitutto ai rapporti di lavoro in corso. I rapporti di lavoro in corso, non è previsto da alcuna parte che debbano sottostare – se sono nati prima dell’entrata in vigore del nuovo Regolamento di attuazione e quindi prima del 25 febbraio 2005 – a questa cerimonia del contratto di soggiorno e della verifica dell’idoneità dell’alloggio. Non sta scritto da nessuna parte se non nella circolare del Ministero del Lavoro che però non può creare nuove leggi, né può inventare sanzioni che non siano previste dalla legge, quindi i datori di lavoro potrebbero anche – e a mio avviso dovrebbero – ignorare queste indicazioni del Ministero del Lavoro, perché non trovano nessun fondamento legale, e proseguire, serenamente, i rapporti di lavoro che non hanno bisogno di nessuna ulteriore denuncia o formalizzazione.

Tuttavia – questo lo diciamo dalla parte dei lavoratori – se qualche datore di lavoro a fronte della mancata esibizione di documentazione relativa all’alloggio e soprattutto alla sua idoneità, ritenesse di sospendere il rapporto di lavoro o di provvedere al licenziamento, riteniamo che i lavoratori avrebbero una legittimazione ed una certa fondatezza giuridica – salvo poi verificare i pronunciamenti della magistratura – impugnando la sospensione o il licenziamento, chiedendo quindi di essere reintegrati nel posto di lavoro. Salvo naturalmente chiedere anche il risarcimento dei danni subiti, in conseguenza della mancata percezione di reddito e comunque dei danni che, a seconda dei casi, sono liquidabili in base alla legge (nel caso di un licenziamento illegittimo, o inefficace). Questo è un primo risvolto di carattere pratico.
Ma dobbiamo anche pensare a coloro i quali vogliono stipulare un nuovo contratto di lavoro, durante la validità del loro permesso di soggiorno e si vedano opporre, da parte del datore di lavoro, il rifiuto.
Purtroppo dal punto di vista pratico non è facile tutelarsi rispetto ad un rifiuto ad assumere. Innanzitutto perché questo rifiuto viene espresso verbalmente da parte del datore di lavoro quindi, da un punto di vista strettamente legale, è difficile immaginare una tutela, una protezione effettiva a queste situazioni.
Però ci può essere una situazione ancora peggiore cioè quella in cui il lavoratore, chiedendo il rinnovo del permesso di soggiorno, abbia la disponibilità di un datore di lavoro ma non di un alloggio. Oppure – ed è la situazione più frequente – abbia la disponibilità di un alloggio ma non riesca a dimostrarne la idoneità, mediante apposito certificato.
In questo caso possiamo già immaginare – anche se non abbiamo ancora visto provvedimenti di questo tipo – un rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno con invito a lasciare il territorio nazionale, ed è qui che l’interessato dovrebbe tentare di tutelarsi, impugnando il provvedimento nei termini di legge e sottoponendolo alla magistratura.
In questo caso si tratta della magistratura amministrativa che deve indicare l’interpretazione della norma e soprattutto la verifica ovvero se la legge imponga il contratto di soggiorno alla verifica sull’alloggio ogni qual volta c’è un rinnovo, o se invece la legge, non il Regolamento di attuazione, preveda questa cerimonia solo in occasione del primo ingresso e non invece in occasione del rinnovo. Sono tutte questioni che naturalmente rimangono aperte e che dovremo necessariamente affrontare nei prossimi mesi.