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I diritti dei familiari extracomunitari di cittadini comunitari o italiani non sempre vengono rispettati.

Carta soggiorno comunitaria – Una nuova prassi non ancora recepita

A cura dell' Avv. Marco Paggi

Esempio pratico – Un familiare extracomunitario già presente sul territorio italiano, non potrebbe essere trattato come un extracomunitario normale e di conseguenza espulso perché non ha già ottenuto un permesso di soggiorno. Di fronte alla semplice dimostrazione del possesso di qualifica di familiare di cittadino italiano o comunitario questi dovrebbe essere messo nella condizione di ottenere il titolo di soggiorno previsto per i familiari di cittadini U.E..
Casi di questo genere si sono già verificati e continua ad accadere che queste persone, pur avendo il pieno diritto di godere dello status giuridico di comunitario, continuano ad essere erroneamente trattati dall’autorità di polizia come clandestini.

Il caso di una signora cubana, prima espulsa e poi arrestata.
A titolo di esempi citiamo il caso recente di una cittadina cubana di età inferiore ai 21 anni – quindi munita dei requisiti per essere riconosciuta come familiare – viene fermata in territorio italiano senza permesso di soggiorno. L’interessata, pur avendo spiegato di essere figlia di una cittadina di paese extracomunitario ma coniugata con cittadino italiano, quindi di avere il titolo per soggiornare in Italia, è stata colpita da provvedimento di espulsione del Prefetto di Rovigo con diffida a lasciare il territorio nazionale entro cinque giorni. Quindi, non essendosi allontanata entro 5 giorni è stata arrestata e si è reso necessario sostenere la sua difesa davanti al G.I.P. che, pur avendo convalidato l’arresto dal punto di vista formale, constatando la qualità di parente di cittadino dell’Unione, o comunque l’assoggettamento di questa persona allo status giuridico di comunitario, ne ha disposto l’immediata scarcerazione e l’ha quindi prosciolta dichiarando che il fatto illecito non sussiste. In seguito è stato necessario fare ricorso contro il provvedimento di espulsione che è stato poi annullato dal competente Giudice di Pace di Rovigo, il quale ha recepito interamente le motivazioni del ricorso, constatando la piena applicabilità a questa persona dello status giuridico comunitario e quindi delle disposizioni stabilite dal decreto legislativo n.30.

Si tratta dell’ennesimo caso che dimostra come le nostre autorità spesso abbiano difficoltà ad adeguarsi alle nuove leggi, in particolare quando queste recano qualche vantaggio ai cittadini stranieri.

Il caso di una signora brasiliana a cui è stato negato il visto.
Altro caso recente. Il Tribunale di Milano doveva decidere della questione di legittimità del provvedimento di rifiuto del visto di ingresso adottato da un consolato italiano in Brasile. Si trattava della moglie brasiliana di un cittadino italiano che aveva richiesto il visto di ingresso per venirsi a stabilire in Italia, in quanto coniuge di cittadino italiano. L’interessata si è vista rifiutare il visto poiché risultava precedentemente segnalata per un espulsione nella banca dati Schengeen. La signora non aveva commesso alcun reato ma era irregolarmente soggiornante. Il fatto che poi si sia sposata con cittadino italiano comportava il cambiamento del regime giuridico, quindi non doveva più essere considerata extracomunitaria ma aveva il diritto di godere dell’applicazione delle norme di circolazione previste per i comunitari. Di conseguenza il precedente provvedimento di espulsione –adottato in presenza del diverso status giuridico di extracomunitaria- avrebbe dovuto essere considerato come privo di efficacia. Nonostante questo – e sebbene questo sia stato fatto presente al consolato italiano in Brasile – il consolato stesso ha continuato a negare il visto di ingresso, adducendo che il visto avrebbe potuto essere rilasciato solo all’esito favorevole della richiesta di speciale autorizzazione al rientro di cui all’art.13, comma 13, del T.U., che peraltro non costituisce un atto dovuto ma comporta una valutazione ampliamente discrezionale, ovvero aleatoria, e comunque tempi di attesa normalmente lunghi. Si è reso necessario fare ricorso presso il Tribunale civile di Milano e poiché si trattava di un provvedimento che ledeva il diritto all’unione familiare, in base all’art. 30 del T.U. (in quanto norma più favorevole può essere applicata per tutelare anche situazioni di persone non extracomunitarie) il Tribunale con un recente provvedimento non ancora pubblicato, ha constatato l’illegittimità del provvedimento del rifiuto del visto di ingresso proprio per mancanza di motivazione e per il fatto che non si può opporre come automaticamente ostativa la segnalazione Schengeen, trattandosi di coniuge di cittadino italiano che dunque gode di una tutela rafforzata, anche alla luce della normativa e della giurisprudenza comunitaria.
La segnalazione Schengen, peraltro adottata quando la persona non godeva ancora dello status comunitario, avrebbe potuto comportare il rifiuto legittimo del visto di ingresso solo nel caso in cui si fosse trattato di una persona che costituisse una minaccia effettiva, attuale e grave per la collettività, solo in caso di pericolosità per la sicurezza dello Stato o per l’ordine pubblico. Diversamente, invece, quel provvedimento di espulsione avrebbe dovuto essere considerato totalmente inefficace e doveva invece essere riconosciuto il pieno diritto a questa persona di entrare in territorio italiano.

Questi esempi, come i casi in cui l’autorità di polizia ha continuato ad indicare agli interessati di andare presso gli uffici postali per richiedere la carta di soggiorno (anziché accettare direttamente in questura la domanda, da inoltrare gratuitamente), dimostrano come vi sia una certa difficoltà a recepire, almeno da parte di alcuni uffici, la corretta applicazione di queste norme.

Un ulteriore considerazione che si può fare è che la quantità di familiari di cittadini comunitari non è sicuramente tale da costituire un pericolo di invasione da ostacolare in qualche modo. Sembra più un problema culturale che un problema giuridico o di sostanza. E’ un sintomo di come vi sia una certa difficoltà nel considerare gli stranieri anche come soggetti titolari di diritti e non solo come soggetti destinatari di semplici misure sanzionatorie.

Quale permesso viene rilasciato?
Già il T.U. regolava e riconosceva il diritto dei familiari dei cittadini UE di esercitare, unitamente ai cittadini UE, il diritto di libertà di circolazione, quand’anche si trattasse di familiari extracomunitari. Per esempio, la moglie brasiliana di un cittadino tedesco poteva spostarsi liberamente –sia unitamente al coniuge e sia raggiungendolo successivamente- in Italia e aveva diritto di essere trattata come una cittadina comunitaria a tutti gli effetti, senza essere esposta all’applicazione delle norme, anche sanzionatorie, come quelle in materia di espulsione previste per gli extracomunitari in generale.

Il D.lgs. n. 30 del 6 febbraio 2007 ha recepito le ulteriori disposizioni contenute nella direttiva. Ma come abbiamo esemplificato non tutte le questure però hanno ancora recepito integralmente il contenuto di queste disposizioni.
C’è una tendenza a trattare i familiari extracomunitari di cittadini comunitari, come pure i familiari extracomunitari di cittadini italiani come se il decreto non fosse intervenuto.

Dal punto di vista del trattamento giuridico, i familiari extracomunitari di cittadini comunitari, devono essere considerati come fossero comunitari a tutti gli effetti.
Per esempio, tornando alla moglie brasiliana di un cittadino tedesco o di un cittadino italiano che vivono in Italia, molte questure continuano a ritenere che, in questi casi, non si debba rilasciare la carta di soggiorno per i cittadini comunitari, ma si debba invece rilasciare il permesso di soggiorno previsto dall’art. 19 del T.U. sull’immigrazione, il permesso previsto nei casi in cui è vietata l’espulsione.
Si tratta di un permesso di soggiorno che prevede diritti diversi e più precari rispetto alla vera e propria carta di soggiorno, di cui i familiari extracomunitari di cittadini comunitari avrebbero pieno titolo.
Il titolare di un permesso di soggiorno rilasciato in base all’art. 19 del T.U. sull’immigrazione, ad esempio, non ha la possibilità di accedere al pubblico impiego, ha notevole difficoltà ad accedere all’assegnazione di alloggi popolari, non ha la possibilità di ottenere le prestazioni di assistenza sociale a carico dello Stato italiano.
Si tratta quindi di differenze molto importanti, inoltre, il titolare di un permesso di soggiorno rilasciato in base all’art. 19 del T.U. sull’immigrazione è più facilmente esposto al rischio di un provvedimento di espulsione o al rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno.
Viceversa, i titolari di una carta di soggiorno per i cittadini comunitari hanno una posizione giuridica molto più garantita, per esempio, hanno tutto il diritto, come è stato anche precisato dalle circolari del Ministero dell’Interno, di rivolgersi direttamente alle questure per ottenere il titolo di soggiorno, senza quindi la necessità di intraprendere la lunga, farraginosa e costosa procedura di rilascio dei titoli di soggiorno attraverso il noto sistema delle poste, attualmente lento e complicato.

Questo però continua a verificarsi
La nuova procedura per il rilascio del titolo di soggiorno, legata al sistema postale, espone gli interessati ad ulteriori complicazioni non derivanti da norme di legge, piuttosto dalla strutturazione informatica della modulistica e soprattutto del software a cui è affidata l’elaborazione dei dati.
Tutto il sistema di inoltro delle pratiche tramite sistema di servizio postale è stato concepito e progettato prima dell’entrata in vigore di queste disposizioni, quindi, senza tenerne conto, ancorché queste disposizioni fossero di imminente approvazione e perfezionamento.
Difficilmente qualcuno sarà chiamato a pagare il conto per le lentezze dovute, non tanto a responsabilità di chi compila i moduli, quanto invece a carenze strutturali del sistema che comporta inoltre un notevole costo a carico degli immigrati.

I cittadini comunitari, ora, possono iscriversi direttamente all’anagrafe e non hanno più bisogno di chiedere un titolo di soggiorno.
I loro familiari devono invece continuare a chiedere un vero e proprio titolo di soggiorno rilasciato dalla questura, diverso dal normale permesso di soggiorno: la carta di soggiorno per i cittadini comunitari.
Queste persone hanno il diritto di chiedere direttamente alla questura il rilascio della carta di soggiorno così come i familiari extracomunitari di cittadini italiani.
L’art. 23 del D.lgs. n. 30 del 6 febbraio 2007 prevede espressamente che lo stesso trattamento riservato ai familiari extracomunitari di cittadini comunitari debba essere riservato ai familiari extracomunitari di cittadini italiani.

È chiaro che, rivolgendosi direttamente alla questura, il tempo di attesa sarà sicuramente inferiore a quello impiegato per ottenere una risposta attraverso la complessa procedura del sistema postale. Inoltre, azionando la richiesta di rilascio della carta di soggiorno per i familiari di comunitari o per i familiari di italiani presso il servizio postale si deve affrontare una spesa di 30 euro, mentre i cittadini comunitari ed i loro familiari hanno diritto di usufruire di tutte le prestazioni in regime di assoluta gratuità, senza pagare la marca da bollo e effettuare altri versamenti per ottenere il titolo di soggiorno.