1. Dopo la bocciatura della norma che prolungava a sei mesi la detenzione amministrativa nei centri di identificazione ed espulsione (CIE) il ministro Maroni è chiaro : “Sulla sicurezza non accetterò altri errori gravi. La norma sui Cie e quella sulle ronde vanno approvate in tempi stretti. Senza questi strumenti il problema non sarà mio, ma dell’intero governo”. Evidentemente il ministro è rimasto deluso dall’ultimo guizzo di autonomia da parte del Parlamento, che durante l’esame del ddl 733 aveva già bocciato il prolungamento della detenzione amministrativa a diciotto mesi, ed ammette il suo fallimento, dopo che lo scorso gennaio aveva annunciato che avrebbe rimpatriato tutti i migranti arrivati a Lampedusa. Afferma ancora il ministro che il 26 aprile, dopo la scadenza del decreto legge 11 del 2008, «esattamente usciranno mille e 38 stranieri. Per Maroni questo costituisce “un vero e proprio indulto”. Il ministro punta il dito contro quelli che si sono opposti alle sue proposte :“è giusto far sapere ai cittadini – ha dichiarato – che io avevo proposto misure contro l’immigrazione clandestina e il Parlamento le ha bocciate con un emendamento firmato da Dario Franceschini, il capo del Partito Democratico. È stato un errore grave voluto dalla sinistra, la stessa che poi ci accusa di non fare abbastanza”. E’ giusto far sapere ai cittadini quali sono le vere ragioni di questo “fallimento” che si misura soprattutto sull’aumento delle vittime dell’immigrazione irregolare, oltre che sul raddoppio degli “sbarchi” nel territorio siciliano.
2. Non si può dare per scontato quello che il Parlamento deve ancora approvare. Di indulto, riguardo la liberazione dei migranti sbarcati a Lampedusa e detenuti in diversi CIE italiani, non si può proprio parlare perché il reato di immigrazione clandestina non è stato ancora introdotto nel nostro ordinamento ed il disegno di legge 733 che lo prevede, è ancora lontano dalla approvazione definitiva. A meno che qualcuno non voglia ancora riprovarci a colpi di decreto legge. Di certo, quando sarà introdotto il reato di immigrazione clandestina, tutti questi parziali insuccessi del governo (più che successi di una opposizione che si stenta a vedere) saranno riassorbiti da una nuova disposizione legislativa che sancirà definitivamente la criminalizzazione di tutti gli immigrati irregolari. Persino la probabile rinuncia alla norma che abolisce il divieto di segnalazione degli irregolari che si rivolgono alle strutture di cura, si trasformerà per l’opposizione in una vittoria di Pirro. Su tutti gli “incaricati di pubblico servizio”, negli ospedali come nelle scuole, potrebbe scattare l’obbligo di denunciare chiunque non sia in regola con il permesso di soggiorno. Per questo rischio gravissimo, adesso, occorre moltiplicare ancora le forze per contrastare, in Parlamento e nel paese, la introduzione del reato di immigrazione clandestina e l’approvazione finale del disegno di legge sulla sicurezza.
3. Maroni denuncia “tradimenti” anche da parte degli alleati di governo e subito dopo annuncia di nuovo battaglia «È vero – ammette – la sinistra ha goduto delle complicità di chi nella maggioranza sposa politiche buoniste che sono deleterie e masochiste. Sappiano tutti che non mi arrendo, la riproporrò per la terza volta nel disegno di legge perché è fondamentale. Se non abbiamo la possibilità di trattenere gli stranieri almeno sei mesi nei Cie siamo a mani nude. E invece non possiamo permetterci di arrivare all’estate senza il potere di espellere chi non ha i requisiti per restare in Italia ». Ma il “potere di espellere”, possiamo ribattere, non dipende solo dalla durata della detenzione amministrativa, ma dagli accordi di riammissione con i paesi di provenienza e di transito, e comunque dalla politica estera seguita dall’Italia. Una politica estera fallimentare, nonostante i viaggi di ministri e sottosegretari in Libia e in Tunisia, e le dichiarazioni rassicuranti sulla collaborazione dei paesi di transito e di provenienza dei migranti irregolari. Dopo il cattivo esempio del Trattato di pace e di amicizia sottoscritto da Berlusconi con la Libia, adesso anche la Tunisia rialza il prezzo della sua collaborazione e rivendica altri vantaggi economici per consentire altre operazioni di rimpatrio forzato dall’Italia.
4. Sugli accordi con la Libia, che secondo il ministro dell’interno dovrebbero andare a regime a partire dal prossimo 15 maggio, con la entrata in azione delle sei motovedette che l’Italia ha donato a Gheddafi, le previsioni del governo sono ancora ottimistiche, malgrado il raddoppio degli sbarchi rispetto allo scorso anno ed anche se si è costretti a riconoscere che la maggior parte dei migranti che arriva a Lampedusa, e che l’Italia vorrebbe respingere verso la Libia, sono potenziali richiedenti asilo. Malgrado questo riconoscimento, si continua ad assistere al fermo dei migranti in acque libiche. Domenica 26 aprile, come informa l’ANSA, “ la Guardia costiera libica ha fermato 200 migranti in un’imbarcazione salpata da Tajura, presso Tripoli, verso l’Italia. I 200 migranti provenivano da Niger, Nigeria, Ghana e Mali, stipati in un traballante barcone che a malapena ne poteva trasportare 60. La nave è stata bloccata e rimorchiata a riva dalla Guardia costiera di Tripoli, dove gli immigrati hanno ricevuto assistenza” Possiamo immaginare facilmente quale tipo di assistenza sia stato praticato dalle autorità libiche, soprattutto nei confronti delle donne e dei minori ed attendiamo di conoscere a quanti di loro sarà riconosciuto il diritto di chiedere asilo…
Il Ministro Maroni, che ammette adesso come tra i migranti la maggior parte siano richiedenti asilo, sarà intanto già informato di quanto sta succedendo nelle acque di competenza della Libia e non appare minimamente preoccupato della violazione dei diritti umani in quel paese. «Mi aspetto una drastica riduzione –afferma- e intanto mi occupo di quanto sta accadendo perché la maggior parte di chi arriva ha diritto all’asilo visto che proviene da Paesi in guerra. I trentamila giunti nel 2008 erano quasi tutti in questa condizione. Ecco il motivo che mi ha spinto ad appellarmi all’Europa”. E quelli che saranno respinti in acque libiche, o saranno “salvati” dalle motovedette di Gheddafi, per loro quale riconoscimento varrà del diritto di asilo? E per coloro che giunti in Italia non potranno ottenere il riconoscimento dell’asilo o della protezione sussidiaria? Anche per loro il ministro dell’interno ha idee chiare. “Ho chiesto a Barrot una direttiva che distribuisca tra gli Stati membri chi ottiene l’asilo o il permesso per motivi umanitari – continua Maroni – per i clandestini devono essere creati centri di accoglienza europei gestiti da Frontex. Era nata come agenzia europea per il controllo delle frontiere e non ha funzionato: ora si occupi di chi è senza permesso e dei rimpatri “.
Dai rapporti internazionali su Frontex emerge però chiaramente come questa agenzia non abbia le risorse per svolgere i suoi compiti originari, e varie divisioni tra i paesi partecipanti, anche sul nodo del porto di sbarco dei migranti, ne hanno paralizzato l’azione. In molti casi l’azione di pattugliamento congiunto di Frontex si può risolvere nella violazione del divieto di respingimenti collettivi.
Il “Burden Sharing”, parola magica che significa condivisione degli oneri, rimbalza da un vertice comunitario ad un altro, senza che si riesca a trovare una linea condivisa tra i 27 paesi membri dell’Unione, soprattutto per quanto concerne la suddivisione all’interno della comunità dei richiedenti asilo che raggiungono quegli stati che hanno frontiere esterne, come la Spagna, l’Italia, Malta, la Grecia e Cipro.
Non si vede poi come Frontex possa essere chiamata ad ampliare il suo mandato, proprio quando tra i paesi comunitari della sponda nord del Mediterraneo esplodono sempre più forti i contrasti, come nel caso di Italia e Malta, dopo il “respingimento” dal porto de La Valletta di una unità militare italiana carica di profughi, la nave Minerva a marzo, ed il caso della nave Pinar, nel mese di aprile.
5. I “centri di accoglienza europei gestiti da Frontex” non sono una ipotesi praticabile perché non sono previsti (né finanziati) dal regolamento comunitario che istituisce questa agenzia. Secondo il regolamento CE n.2004/2007, Frontex “ aiuta gli Stati membri in circostanze che richiedono una maggiore assistenza tecnica e operativa alle frontiere esterne; ed offre agli Stati membri il supporto necessario per l’organizzazione di operazioni di rimpatrio congiunte”, ma da queste scarne previsioni non si può ricavare la possibilità di istituire di centri di detenzione direttamente gestiti (e sovvenzionati) da Frontex, che peraltro non esistono in nessuna parte d’Europa. Centri di detenzione che neppure risulterebbero efficaci perché come il ministro Maroni dovrebbe ben sapere, il problema è sempre lo stesso, non (solo) la scarsa recettività dei centri di detenzione, o la limitata durata del trattenimento, ma la indisponibilità dei paesi di provenienza e di transito a collaborare con l’Italia nelle operazioni di rimpatrio e ad assumerne anche in parte gli enormi costi.
E d’altra parte, in questa materia non si possono trasmettere dati taroccati, prima o poi qualcuno se ne accorge e si rimediano solo brutte figure.
Nelle scorse settimane, dopo il trasferimento dei migranti giunti a Lampedusa nei centri di identificazione ed espulsione italiani (Caltanissetta, Crotone, Roma, Torino, Gradisca di Isonzo), quando si sono stilate le prime statistiche che avrebbero dovuto rassicurare l’opinione pubblica sulla efficacia dell’azione del governo nel contrasto dell’immigrazione illegale, si è appreso che erano stati rimpatriati in Tunisia appena trenta (circa) immigrati irregolari a settimana, mentre, nel silenzio più totale, molti altri venivano rimessi in libertà con l’intimazione a lasciare entro cinque giorni il territorio nazionale. Sembrava però che almeno una parte dei migranti Tunisini giunti a Lampedusa, a partire dalla fine dello scorso anno, sarebbe stata ricondotta in patria. Ma non è andata neppure così. Di certo si è proceduto alla deportazione di alcuni di quelli che avevano fatto richiesta di asilo in quanto ricercati dalla polizia tunisina per avere partecipato alle proteste sociali nella regione mineraria di Redeyef.
Soprattutto, si sono rimpatriati i tunisini che erano detenuti in carcere. Per molti altri invece, ben prima che il decreto legge 11 fosse convertito in legge senza l’art.5 che estendeva a sei mesi la durata della detenzione amministrativa, si aprivano le porte dei CIE nei quali erano stati trasferiti, ed alla spicciolata venivano rimessi in libertà, con la consegna dell’intimazione a lasciare entro 5 giorni il territorio italiano.
6. I conti qualche volta non tornano proprio. Dal Corriere della sera del 23 aprile si apprende infatti che la Tunisia ha bloccato in questi giorni le pratiche di riammissione dall’Italia dopo avere verificato che alcuni degli immigrati rimpatriati erano risultati tossicodipendenti sieropositivi, come purtroppo lo sono una parte degli immigrati stranieri reclusi nelle carceri italiane. Carceri al collasso, con oltre 63.000 detenuti, dopo che gli ultimi provvedimenti del governo hanno moltiplicato le fattispecie penali connesse alla tossicodipendenza ed all’immigrazione irregolare. Secondo il governo di Tunisi “le precedenti operazioni di rimpatrio hanno rivelato numerosi casi di contaminazione dal virus HIV nonché gravi casi di tossicodipendenza tra parecchi immigrati clandestini, al momento del loro rientro in patria”. Risulta dunque evidente che una parte degli immigrati rimpatriati nelle settimane scorse dall’Italia verso la Tunisia non erano quelli sbarcati irregolarmente a Lampedusa, ma tanti altri che si trovavano nelle carceri italiane, alcuni dei quali sieropositivi, e che l’Italia ha deciso di espellere verso il paese di origine, malgrado le precarie condizioni fisiche, e malgrado la certezza che queste stesse persone, in Tunisia, non avrebbero avuto accesso alle stesse cure salvavita alle quali avevano diritto in Italia. Forse perché solo gli ex detenuti erano già identificati e dunque si potevano espellere più rapidamente di quelli appena arrivati a Lampedusa per i quali mancava il documento di viaggio fornito dalle autorità consolari.
7. Adesso dunque il governo italiano, proprio alla vigilia dell’estate, stagione nella quale tradizionalmente aumentano gli sbarchi, si trova senza la struttura di prima accoglienza e soccorso di Contrada Imbriacola, trasformata a partire dal 23 gennaio 2009, con decreti continuamente prorogati, ma mai pubblicati nella Gazzetta Ufficiale, in un Centro di identificazione ed espulsione, mentre i lavori per la creazione di un CIE nella ex base militare della LORAN sono stati bloccati per la mancanza delle prescritte autorizzazioni ambientali. E non si comprende come la magistratura di Agrigento non abbia ancora chiuso il CIE provvisorio di Contrada Imbriacola, nel quale manca evidentemente il rispetto di tutte le prescrizioni antincendio richieste per i centri di detenzione amministrativa in un documento dello stesso ministero dell’interno nel 2005.
8. Altre scelte politiche e vecchie prassi amministrative contribuiscono nel frattempo ad aumentare il numero delle persone costrette ad entrare irregolarmente in Italia. Nel 2008 il governo non ha emanato alcun decreto flussi annuale, e l’unico decreto flussi utilizzabile per chi voglia entrare legalmente per motivi di lavoro riguarda 80.000 ingressi per lavoro stagionale, con procedure tanto rallentate da fare presumere che le autorizzazioni potranno essere concesse ( ai fortunati vincitori della lotteria) solo dopo che le campagne agricole o le occasioni di lavoro stagionale si saranno esaurite. La normativa sull’asilo viene applicata dalle commissioni territoriali con crescente rigidità, ed il numero dei dinieghi è in continuo aumento, come confermato anche dall’aumento dei ricorsi, malgrado le difficoltà frapposte in molte sedi all’accesso al patrocinio a spese dello stato. Ma sono anche tanti i richiedenti asilo che dopo il primo diniego ricadono in una condizione di clandestinità, magari nel tentativo di raggiungere un altro paese europeo. Per un altro aspetto, la situazione alle frontiere marittime dell’Adriatico (Venezia, Ancona, Bari, Brindisi) rimane ancora assai critica ed i respingimenti di minori sono sempre all’ordine del giorno, malgrado le rassicurazioni fornite dal governo italiano all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ed alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo.
9. Basterà ancora invocare la solidarietà europea per accrescere la efficacia delle misure espulsive o la diffusione dei centri di detenzione? Per quanto tempo ancora l’opinione pubblica continuerà a premiare una parte politica che in nome della paura e della sicurezza sta producendo disastri sociale e catastrofi umanitarie a ripetizione? Quale credibilità conserva ancora l’Italia a livello internazionale, dopo gli accordi falliti con la Tunisia e la Libia ? E quali sono i possibili margini di intervento delle istituzioni comunitarie?
Nel dicembre del 2008 la Commissione europea ha adottato alcune proposte di modifica di tre degli strumenti legislativi vigenti nell’ambito del sistema comune europeo d’asilo: la direttiva relativa all’accoglienza dei richiedenti asilo;il regolamento Dublino che stabilisce lo Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo; il regolamento che istituisce Eurodac, la banca dati contenente le impronte digitali dei richiedenti asilo, che agevola l’applicazione del regolamento Dublino. Queste proposte di modifica sono le prime proposte concrete presentate dalla Commissione per attuare il Piano strategico sull’asilo, definito come il “Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo”. Il loro obiettivo è garantire a tutti i richiedenti asilo equità e parità di trattamento, a prescindere dal luogo in cui presentano la domanda di asilo nell’UE, e migliorare l’efficacia del sistema europeo d’asilo. Il vicepresidente della Commissione Jacques Barrot, commissario responsabile del portafoglio libertà, sicurezza e giustizia, ha dichiarato: “Il nostro obiettivo è mettere i richiedenti asilo al centro di una procedura umana ed equa. È necessario assicurare norme di protezione più elevate, condizioni più eque e un sistema più efficace”. Ha poi aggiunto: “Modificando la direttiva relativa all’accoglienza miglioriamo le condizioni di vita dei richiedenti asilo, consentiamo l’applicazione del trattenimento in circostanze limitate e giustificate, escludendo in ogni caso i minori, e affrontiamo adeguatamente le esigenze delle persone vulnerabili, come le vittime di torture. Modificando i regolamenti Dublino e Eurodac vogliamo garantire una maggiore efficacia ed equità del sistema europeo d’asilo. Infine, come primo segno di solidarietà interna, ho proposto l’istituzione di un meccanismo che sospenda i trasferimenti attuabili nel quadro del regolamento Dublino per evitare che gli Stati membri i cui sistemi di asilo risultano più sollecitati siano sottoposti ad un onere eccessivo”. Da quest’ultimo punto di vista si tratta di impedire ”che i richiedenti asilo non siano inviati negli Stati membri che non possono offrire loro un adeguato livello di protezione, soprattutto in termini di condizioni di accoglienza e di accesso alla procedura di asilo”. Non sono però noti né prevedibili i tempi nei quali l’Unione Europea adotterà la nuova disciplina.
10. In realtà a livello Europeo ci si può attender molto poco, come confermato dalle ultime dichiarazioni del Commissario agli affari interni ed alla sicurezza Barrot e dalla Commissaria alle relazioni esterne Ferrero-Waldner.
Barrot, per quanto concerne le pratiche di riammissione ripropone il ricorso agli accordi bilaterali, dopo il fallimento degli accordi multilaterali che l’Unione Europea, nel suo complesso, avrebbe dovuto stipulare con i paesi di provenienza. Fallimento che ha caratterizzato anche i rapporti UE-Libia dopo la sonora bocciatura da parte di Gheddafi del c.d. Patto Euro-mediterraneo voluto da Sarkozy e sostenuto anche dal governo italiano.
Non si possono eludere allora le responsabilità di governo in materia di immigrazione ed asilo invocare una Europa che ancora non c’è, vittima sempre di più degli egoismi nazionali(stici) e dello strapotere dei potentati economici transnazionali. In tempi di crisi l’immigrazione viene spacciata dalle classi dirigenti come una minaccia per la sicurezza e per il residuo livello di benessere, senza cogliere le opportunità di sviluppo e di crescita democratica che una diversa politica dell’integrazione potrebbe comportare.
Si può essere purtroppo certi che il governo italiano non si arrenderà neppure davanti all’evidenza, almeno fino a quando il consenso elettorale continuerà a sostenere le scelte demagogiche e populiste che hanno fatto degli immigrati il capro espiatorio, il nemico interno per eccellenza, il principale responsabile della crisi e della insicurezza. Finché gli italiani ci crederanno questi governanti continueranno a produrre disastri, che finiranno per moltiplicare ancora paure, insicurezza e razzismi quotidiani, una spirale che non si vede oggi quando potrà essere spezzata.
Eppure alcune soluzioni ragionevoli ci sarebbero, se solo si avesse il coraggio di praticare una politica radicalmente diversa da quella in qui seguita dal governo Berlusconi, senza subire le scelte ed i terreni imposti dall’avversario. Ma ci vorrebbe anche la capacità di progettare un modello sociale diverso per tutti, e non solo per i migranti, e battersi senza compromessi per realizzarlo, con la capacità di spiegare che solo questo cambiamento di rotta può rispondere alle domande di sicurezza sociale e di legalità democratica che la parte più ampia della nostra società comunque avverte.
11. E’ innanzitutto evidente che il mantenimento o l’incremento di una elevata quota di lavoratori clandestini in Italia risulta funzionale ad un mercato del lavoro fortemente influenzato dalla occupazione (e non solo dalla immigrazione) irregolare. La prima scelta di svolta, in questo settore, accanto ad una lotta serrata contro il lavoro nero, deve essere la introduzione di meccanismi di regolarizzazione permanente ad personam, in modo che quanti maturino alcuni requisiti minimi come la durata del soggiorno nel territorio, una stabile dimora e un rapporto di lavoro da formalizzare, possano ottenere un permesso di soggiorno anche se sono entrati irregolarmente.
La seconda scelta di svolta sarebbe costituita da una legge organica sul diritto di asilo che, al di là delle formulazioni restrittive contenute nella Convenzione di Ginevra e nelle direttive comunitarie desse finalmente piena attuazione all’articolo 10 della Costituzione in base al quale “ lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Una legge organica che l’Italia attende da troppo tempo, dopo che nel 1998 la materia dell’asilo venne stralciata, all’ultimo momento, dalla legge n.40 Turco Napolitano. Il regolamento di attuazione del decreto legislativo n.25 del 2008 , nell’attuale quadro politico, ben difficilmente potrà costituire quel punto di svolta che occorre dare effettiva attuazione al dettato costituzionale. Va ricostruito al più presto il Sistema nazionale di accoglienza per richiedenti asilo, dotando di risorse finanziarie gli enti locali e sottraendo ai prefetti il potere di decidere la destinazione dei migranti, potere che va trasferito ad una unità centrale, composta, oltre che dai rappresentanti degli enti locali, dalle associazioni umanitarie e dalle agenzie internazionali che difendono i diritti dei rifugiati.
Va ripristinato al più presto il “sistema di accoglienza” che aveva permesso lo scorso anno il transito da Lampedusa di oltre 30.000 migranti, con la riconversione immediata del Centro di Contrada Imbriacola in un centro di prima accoglienza e soccorso e con l’abbandono dell’idea di costruire un CIE nell’isola.
La terza scelta dovrebbe essere costituita da una revisione di tutti gli accordi bilaterali di riammissione con la inserimento di clausole che garantiscano effettivamente, e non solo sulla carta, i diritti fondamentali dei naufraghi e dei richiedenti asilo, e dei soggetti più vulnerabili, come le donne ed i minori non accompagnati. In questo ambito andrebbe estesa anche alle acque internazionali la clausola prevista dall’art. 12 del Testo Unico sull’immigrazione n.286/98 che afferma la non punibilità degli interventi di soccorso e di assistenza in favore degli immigrati irregolari. Deve essere prevista espressamente la possibilità di richiedere l’asilo al di fuori delle frontiere italiane (asilo extraterritoriale) per potere poi entrare legalmente nel nostro paese. Solo in questo modo tante vite potranno essere sottratte allo sfruttamento dei trafficanti. Ma occorre rivedere anche i rapporti con alcuni paesi dell’Unione Europea. Deve essere denunciato l’accordo di riammissione stipulato nel 1999 con la Grecia, un accordo che viola persino il Regolamento Dublino II, e consente il respingimento “informale” in frontiera, nei porti dell’Adriatico, ai danni di centinaia di potenziali richiedenti asilo, di minori, di vittime di torture.
Si deve rinnovare alle unità della Marina Militare il mandato ad operare interventi di salvataggio anche in zone SAR che sarebbero di competenza di Malta, della Tunisia o della Libia, esattamente come accadeva fino allo scorso anno. Una diversa scelta imposta dalle autorità politiche potrà comportare un numero di vittime ancora più elevato che in passato. Come è dimostrato dall’aumento dei morti e dei dispersi nel Canale di Sicilia nei primi mesi di questo anno.
Va concluso al più presto un accordo con Malta per stabilire le aree di effettivo intervento delle unità militari in caso di rischio di naufragio, prevedendo il divieto di respingimento verso le acque libiche o tunisine e imponendo precisi obblighi di salvaguardia della vita umana a mare. In questa stessa direzione va rinegoziata la partecipazione dell’Italia alle missioni dell’Agenzia per le frontiere esterne Frontex. Se le intenzioni di Maroni saranno tradotte in istruzioni operative, se dunque gli interventi di salvataggio delle unità della nostra marina dovessero essere limitate alle acque territoriali ed alla zona contigua ( entro 24 miglia dalla costa) , per demandare gli altri interventi alle unità di Frontex o ai maltesi, se non ai libici, quegli interventi che lo scorso anno erano compiuti dalla nostra marina, sulle vie dell’immigrazione clandestina dovremo contare ancora centinaia di cadaveri. Ed il numero degli immigrati che sbarcheranno sulle nostre coste continuerà comunque ad aumentare, basterà solo che i trafficanti modifichino le loro rotte, come si è già verificato dagli inizi del 2009.
La quarta scelta dovrebbe essere costituita dalla riconduzione degli istituti del respingimento in frontiera (art. 10.2 T.U. 286/98) della espulsione (art. 13 T.U. 286/98) e della detenzione amministrativa ( art. 14 T.U. 286/98)ai parametri costituzionali che impongono la riserva di legge (art. 10.2 Cost.) e la riserva di giurisdizione (art. 13.2 Cost.). Questo vuol dire l’immediato blocco di quelle pratiche amministrative come il “respingimento differito”,disposto dal Questore che non sono assistite dalla garanzia di un effettivo controllo giurisdizionale. Nei procedimenti di convalida dei trattenimenti i giudici di pace vanno sostituiti da giudici ordinari. Non si comprende perché quegli organi di garanzia che sono chiamati ad intervenire nel caso dei cittadini comunitari possono essere ritenuti superflui per gli immigrati “extracomunitari”. La detenzione amministrativa andrebbe prevista solo per i casi più gravi di espulsione, e dunque gli attuali CIE dovrebbero essere ridimensionati e finalizzati esclusivamente all’esigenza di rendere effettive le misure di allontanamento forzato.
La quinta scelta politica di fondo dovrebbe riguardare infine la seconda parte del Testo Unico, rimasta sostanzialmente immutata dopo la legge Bossi-Fini del 2002, e invece “colpita” dalle più recenti disposizioni in materia di federalismo, di ICI e di nuovi poteri consegnati ai sindaci-sceriffi. Si tratta di restituire alle regioni ed agli enti locali capacità di programmazione e mezzi finanziari, in modo da rispondere alle nuove sfide dell’accoglienza e dell’integrazione, senza un improprio trasferimento di competenze statali agli enti locali in materia di ordine pubblico. Vanno garantiti i diritti all’alloggio, all’unità familiare, alla istruzione, alla salute, per tutti ed anche per i migranti. In modo soprattutto da non contrapporre ancora i bisogni dei ceti più deboli con i doveri di accoglienza ed i principi di solidarietà. Altro che istituzione e finanziamento delle ronde!
12. Alcune di queste proposte sono note da tempo, in parte erano persino recepite dal disegno di legge Amato-Ferrero, la cui mancata approvazione, al di là della sua formulazione restrittiva, e dunque ancora oggi criticabile, costituì uno dei fallimenti più gravi del governo Prodi. Oggi siamo consapevoli della difficoltà che queste stesse proposte si possano trasformare in legge. Ma intanto non si può rinunciare a sostenere quelle che costituiscono le uniche soluzioni a problemi altrimenti insolubili, o affrontabili solo con la dichiarazione dell’ ennesimo stato di emergenza e con l’abbattimento di tutte le garanzie dello stato democratico. Non è dunque solo una questione di buonismo, o di “masochismo”, come è stato detto da Maroni di fronte al fallimento della sua politica. Con le questioni dell’immigrazione e dell’asilo è in discussione la possibilità di garantire ancora in Italia il principio di divisione dei poteri ( legislativo, amministrativo, giudiziario) e le garanzie della riserva di legge e della riserva di giurisdizione, lo stato di diritto, non solo per i migranti, per tutti.