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Un giro di osservazione dei Cpt in Sicilia

Centri di Permanenza Temporanea. I nostri alberghi per cittadini immigrati?

Negli stessi giorni in cui Padova ospitava la parata delle camicie verdi di Bossi sui temi della sicurezza, della prostituzione e dell’immigrazione, e la consecutiva proposta di aprire un centro di permanenza temporanea nella città stessa, in Sicilia abbiamo avuto modo di poter vedere da vicino quale è lo stato di queste strutture, che ricordiamo essere state create dalla precedente legge emanata dal governo di centro-sinistra (la cosiddetta legge Turco- Napolitano), e inasprita dal gentile tocco del nostro attuale Ministro alle Riforme Umberto Bossi.

Il nostro viaggio comincia a Trapani, dove si trova il C.P.T. “Serraino Vulpitta”, una ex casa di cura per anziani adibita oggi a questa funzione, dove il 28 dicembre 1999 tre persone persero la vita e altre tre rimasero gravemente ferite (uno di questi è però morto poco dopo) a seguito di un incendio scoppiato dentro ad una cella e per cui è oggi indagato l’ex prefetto Cerenzia.

Da allora alcune realtà delle associazioni locali hanno dedicato il proprio lavoro alla denuncia delle condizioni disumane in cui gli immigrati vivono. Ammassati in poche celle nelle due ali dell’edificio (una controllata dai reparti della Polizia e l’altra dai Carabinieri), il trattamento subito non è certo dei migliori, o paragonabile a quello di un albergo: obbligati a dover rimanere chiusi nelle celle per tutto l’arco della giornata, le persone hanno il diritto di poter uscire solo per una mezz’ora (quando addirittura nelle carceri il diritto all’uscita è di due ore) nel parco recintato adiacente alla struttura, in piccoli gruppi di dieci; la distribuzione dei pasti, nei periodi di maggior tensione, avviene direttamente nelle celle; vengono somministrati psicofarmaci in maniera indiscriminata, al fine di tranquillizzare le persone più “agitate” (non sono rari episodi di autolesionismo, dati da casi di depressione dovuti alla detenzione) e che alla lunga provocano casi di dipendenza; nei periodi di sovraffollamento, dove la gente viene stipata un po’ ovunque si trovi un buco, le strutture versano in condizioni di fatiscenza dovute all’insufficienza dei servizi e all’incuria delle organizzazioni che gestiscono il funzionamento del centro, provocando legittime proteste che vengono sedate con la violenza e le minacce.

Oggi il centro è chiuso dal 13 dicembre scorso, e solo adesso veniamo a conoscenza del fatto che la causa è l’inizio dei lavori di ampliamento dei locali affinché possano contenere un numero maggio-re di persone.

Seconda tappa del nostro viaggio è Agrigento, dalla cui prefettura dipende anche il Centro di Lampedusa, e dove proprio l’anno scorso si verificarono due gravi stragi: la prima l’8 marzo, in cui una imbarcazione con 70 persone, per lo più sudanesi, in avaria da ben otto giorni affondò mentre veniva trainata da un’altra imbarcazione, sotto la scorta della marina militare che ricevette l’ordine di non intervenire e per cui si è aperta una indagine condotta dal pm De Francisci (ma della quale non si sa più niente). I superstiti furono 9, 11 i corpi recuperati e il resto disperso! L’altra strage risale allo scorso settembre, nelle acque dei pressi di Porto Empedocle (AG), in cui i superstiti furono 13, i corpi recuperati circa 20 e una decina i dispersi.

Il Centro di Permanenza Temporanea di questa città sorge nella zona industriale, in un ex capannone industriale. Il perimetro della struttura è circondato da mura di cinta in cemento alte 5 o 6 metri con alla sommità spuntoni di ferro. Cosa vi accada dentro è un mistero: nessuno è autorizzato a poter entrare nel centro, a parte gli addetti ai lavori; chiunque cerchi di documentare con immagini le condizioni che gli immigrati vivono in questo posto, viene sottoposto al sequestro del materiale e degli stessi strumenti (come è accaduto all’on. Lillo Miccichè – vedi ns. servizio del 20 dicembre scorso). Il taboo che circonda questo centro la dice lunga su quello che accade, e i racconti di chi ha potuto visitarlo descrivono una situazione in cui le condizioni igienico-sanitarie sono pessime, esistono solo pochi materassi senza rete e la maggior parte delle persone è costretta a dormire per terra, la struttura è divisa in compartimenti divisi da tende e la promiscuità della sistemazione non fa che esasperare le condizioni di chi è costretto a doverci alloggiare. Non sono rare le notizie di rivolte e di tentativi di fuga da parte degli immigrati, ma questi vengono repressi duramente dalla Polizia, che massacra i più resistenti a suon di manganellate. Esistono anche qui realtà locali del mondo associativo che da alcuni anni stanno conducendo una campagna per la chiusura del centro e per la difesa dei diritti delle persone detenute, ma l’assoluto silenzio della prefettura e del suo capo Nicola Simone, e l’impossibilità ad ottenere l’autorizzazione ad entrare nel centro, rendono il lavoro molto difficile e non permettono a nessuno di poter dimostrare la quotidiana violazione dei diritti fondamentali che questi cittadini sono costretti a dover subire.

Oggi il centro ospita 108 persone, 96 uomini e 12 donne, la struttura può ospitarne al massimo 100, le provenienze sono delle più varie: ci sono 20 marocchini, un gruppo di 8 tunisini, il resto sono 1 o 2 persone delle più svariate nazionalità (jugoslavi, nigeriani, sudanesi ecc.) e provenienti da tutto il Paese (chi da Pavia, da Alessandria, dal Veneto ecc. – dati dalle Prefettura di Agrigento), a testimonianza che ci sono persone che hanno già scontato una pena in carcere e successivamente vengono spediti in questi centri in attesa di rimpatrio (un po’ come una pena aggiuntiva per il fatto di essere non solo “criminali” ma anche immigrati).

A causa dell’attuale legge (la Bossi-Fini) in materia di immigrazione, chi non viene identificato entro i sessanta giorni previsti, riceve un foglio di via che intima la persona a lasciare il Paese entro 5 giorni dal rilascio: una possibilità remota per chi non ha alcun mezzo finanziario anche solo per pensare di tornare al proprio Paese, e che lo espone nuovamente al pericolo di una replica di questa esperienza, e magari nello stesso C.P.T. dove già è stato (caso testimoniato da un operatore del centro di Agrigento).

Ecco perché è giusto continuare a lottare, a discutere, a disobbedire a questi centri che senza ombra di dubbio dobbiamo chiamare “LAGER”, e sui quali c’è ancora complicità tra i partiti sia della desta che della sinistra!

Ecco perché non vogliamo assolutamente accettare, o tacere su leggi discriminatorie e razzi-ste, da qualunque governo esse vengano emanate!

Ribadiamo che un altro mondo non è solo possibile, ma è necessario.

Ribadiamo che è giusto smontare, chiudere, impedire la costruzione di nuovi Centri di Permanenza Temporanea, per difendere i diritti e la dignità di tutte/i le/i cittadine/i del mondo, ovunque si trovino!

SIAMO TUTTE/I CLANDESTINE/I

NO ALLA LEGGE BOSSI-FINI

CHIUDIAMO TUTTI I LAGER

Contributo di Massimiliano, con la collaborazione delle persone del Coordinamento par la Pace di Trapani, del Laboratorio di Idee di Agrigento, del Centro di Santa Chiara di Palermo e di tutti e tutte coloro che sono attivamente impegnati sul fronte dei diritti degli immigrati e non solo.