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Centro America: scomparsa, migrazione e trasferimento forzato

Movimento Migrante Mesoamericano, Città del Messico - Luglio 2016

Migranti in transito in Messico Foto: @RubenFigueroaDH

Dalla fine del 2013, la situazione in Messico – e anche in America centrale – si è deteriorata fino a raggiungere livelli di vera e propria crisi sistemica che qui sintetizziamo solamente in due dei suoi sintomi più evidenti: in America centrale, l’estrema violenza della criminalità, in combinazione con l’incapacità o la mancanza di volontà dei governi di controllare le violenze sulla popolazione, che hanno reso la migrazione un fenomeno di espulsione forzata, e in Messico il consolidamento di uno stato militar-poliziesco caratterizzato dalla repressione feroce della protesta sociale e dalla sparizione di persone.

Foto: @RubenFigueroaDH
Foto: @RubenFigueroaDH

Migrazione America Centrale-2014

A partire dall’ultimo trimestre del 2013, i flussi migratori dell’America Centrale in transito attraverso il Messico, hanno mostrato un aumento sostanziale che si è reso evidente a partire dal febbraio 2014 ed è diventato una vera e propria valanga nei mesi di aprile, maggio e giugno. Tutto questo è caratterizzato da un significativo aumento dei minori non accompagnati tra i 14 e i 18 anni, da un numero insolito di donne con figli tra gli 0 e 12 anni, e da un nuovo attore sulla rotta migratoria, il gruppo etnico Garifuna proveniente dai Caraibi centro-americani, che viaggia in gruppi di 50-100 persone, intere comunità che si sono messe in viaggio dopo che le loro terre ancestrali sono finite nelle mani delle “città modello“, mega-progetti turistici ed estrattivi che hanno cacciato i proprietari originali.

Fuori dall’ambito degli “alberghi”, si è osservato un aumento importante delle persone che viaggiano sotto la protezione dei trafficanti. La presenza di trafficanti è stata molto evidente nelle stazioni degli autobus di Tabasco, Chiapas e Veracruz, dove trasportano i minori non accompagnati a cui i genitori, dagli Stati Uniti, pagano il viaggio con i contrabbandieri.
Sette su 10 migranti intervistati dichiarano di fuggire dal proprio paese a causa delle minacce di morte, delle estorsioni o dell’uccisione di un familiare, sia da parte delle gang che dei “narcos“. Tra le gang è diventata pratica comune cercare di reclutare i minorenni per impiegarli come informatori o per vendere droga nelle scuole e chi non accetta viene ammazzato.

Chiedono il pizzo per tutto: a chiunque abbia un’attività, grande, media o piccola, e persino ai venditori ambulanti. L’estorsione è così diffusa da comprendere il pagamento di una quota per chi parenti negli Stati Uniti. Questa violenza da parte della criminalità organizzata va di pari passo con la violenza di stato, alimentata dalla mancanza di opportunità di lavoro, di salute, istruzione e di soddisfazioni minime per vivere; dove regna l’impunità totale e le vittime non possono denunciare perché, secondo diverse testimonianze, molti sono ammazzati dopo aver sporto denuncia, a causa della complicità delle autorità con il crimine organizzato.
La recrudescenza generalizzata della violenza nella regione è esemplificata dalla nomea di città più violenza del mondo che la città honduregna di San Pedro Sula si è guadagnata. Ciò dà l’idea del livello della violenza che giorno dopo giorno rovina la vita delle famiglie centro-americane. I bambini sono diventati il bersaglio preferito delle bande del narcotraffico e delle estorsioni, non solo nelle principali città dell’Honduras, come Tegucigalpa e San Pedro Sula, ma anche nelle zone più periferiche.

Una spiegazione molto chiara della situazione in Honduras ce la offre la lettera, pubblicata l’8 gennaio 2015, che l’ex presidente Manuel Zelaya ha indirizzato al cardinale Oscar Rodríguez, in risposta alle critiche mosse al modello economico alternativo proposto dall’ex presidente, e della quale riportiamo alcuni paragrafi:

Con tutto rispetto, mi rivolgo a Lei in relazione alle Sue recenti dichiarazioni che criticano la validità del socialismo democratico che abbiamo proposto come progetto alternativo al brutale modello socio-economico di sfruttamento che viene applicato nel nostro paese con effetti spaventosi su migliaia di honduregni/e che sono crudelmente esclusi dal modello economico e ammazzati da squadroni della morte e sicari“.
…Gli organismi internazionali riconoscono i pericolosi indicatori dell’Honduras, quando ci qualificano come uno dei paesi più impoveriti dell’America Latina, il più violento del mondo e uno dei più corrotti. Mi riferisco alla Commissione Economica per l’America Latina (CEPAL), all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e Transparency International (TI). Le cifre dell’OMS indicano il tasso di omicidi in Honduras come il più alto al mondo: 103,9 ogni centomila abitanti. Senza dare troppa importanza alla differenza numerica in questa macabra disputa statistica sui dati ufficiali, si deve riconoscere che viviamo in un clima di crescente violenza, insicurezza quotidiana e paura collettiva.
…La militarizzazione dello Stato honduregno, gli abusi di potere e le costanti violazioni dei diritti umani che mostrano la crisi in materia di sicurezza e la violenza che dissangua la nostra società, è stata denunciata dalla Commissione Inter-Americana dei Diritti Umani (CIDH) durante la sua visita “in loco” in Honduras alla fine dell’anno appena concluso. Anche il rapporto annuale di “Human Rights Watch” (World Report, 2014) mette in luce tale crisi.”

Foto: @RubenFigueroaDH
Foto: @RubenFigueroaDH

Le parole dell’ex-presidente Zelaya spiegano l’esodo che osserviamo, quello che funzionari del governo degli Stati Uniti, come anche tutti i governi della regione, compreso quello messicano, hanno descritto come una crisi umanitaria attribuita ai bambini non accompagnati, che arrivando alla frontiera nord si consegnano all’autorità migratoria chiedendo asilo. Ignorando la corresponsabilità degli Stati, i mass media sono stati inondati di notizie riguardanti la tragedia dei bambini detenuti in “alberghi” di emergenza istituiti dal Dipartimento di Sicurezza Interna degli Stati Uniti, il cui governo ha attivato una collaborazione con i governi della regione per cercare soluzioni condivise alla “crisi umanitaria” generata dall’“aumento esponenziale di minori non accompagnati che entrano in massa nel paese”.

I minori non accompagnati detenuti dalla polizia di frontiera degli Stati Uniti dal primo di ottobre 2013 al 30 settembre 2014 (anno fiscale) sono 65.005 (15.800 dal Salvador, 16.528 dal Guatemala, 17.975 dall’Honduras e 14.702 dal Messico), mentre i “nuclei familiari”, di cui quasi non si parla, sono un totale di 64.804 (14.070 dal Salvador, 11.433 dal Guatemala, 33.972 dall’Honduras e 5.329 dal Messico).
I “bambini non accompagnati” (0-17 anni) minori di 5 anni sono solo 500, 1.300 quelli tra i 5 e i 12, mentre la maggioranza ha tra i 13 e i 18 anni, e difficilmente possono essere considerati “bambini”, dato che le condizioni socioeconomiche in cui hanno trascorso la loro vita li hanno costretti ad assumersi responsabilità da adulti. Molti hanno lavorato per anni aiutando la propria famiglia e molti altri hanno già una famiglia propria da mantenere.

Inesatto è anche usare il termine “non accompagnati”, perché dà la falsa impressione che questi bambini e ragazzi viaggino da soli. Il termine si riferisce infatti al tecnicismo migratorio statunitense rispetto al fatto che non viaggiano con un “genitore o tutore” formale, senza però considerare che viaggiano con familiari, amici o trafficanti.

Migliaia di minori sono stati deportati dagli Stati Uniti e altrettanti sono detenuti in Messico, violando il principio universale della “protezione dell’interesse superiore del bambino”, dato che vengono reinseriti in situazioni dalle quali stavano scappando e che spesso riguardano casi di violenza domestica o un’imminente minaccia di morte nel caso tornassero nei luoghi in cui sono minacciati per non aver accettato di unirsi alle maras locali che li reclutano con la forza.

In interviste dirette, alcuni giovani migranti hanno dichiarato che le gang controllano i porti di entrata per individuare i deportati con cui hanno conti in sospeso e quelli che devono pagare loro “la tassa di guerra” arretrata, per il tempo in cui sono stati via. In altre interviste hanno riferito che alcuni dei loro compagni sono stati assassinati dopo essere stati deportati.

Le testimonianze di cui sopra sono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno che ha raggiunto le dimensioni di una crisi incontenibile, prodotto della violenza strutturale esercitata in tutti i paesi della regione sulla popolazione povera e vulnerabile: l’attuale crisi umanitaria è il prodotto del mix letale delle politiche di immigrazione degli Stati Uniti, l’irrigidimento dei controlli di frontiera, la militarizzazione e i modelli economici regionali che hanno sfollato i piccoli produttori agricoli e i lavoratori delle città; modelli e politiche economiche che alla fine sono insostenibili per la povertà, la disuguaglianza e la violenza che hanno generato nell’intera regione, disarticolando le strutture governative e spingendo al limite la governabilità della popolazione.

La campagna mediatica iniziata dagli Stati Uniti e adottata dal Messico e dall’America Centrale, che riassume la crisi migratoria del 2014 nella questione dei “bambini”, si è focalizzata sull’addossare la responsabilità del fenomeno ai genitori che irresponsabilmente lasciano che i loro figli si mettano in pericolo intraprendendo il viaggio, e al business del traffico, che, dicono, si fa pubblicità dichiarando che, all’arrivo, i bambini riceveranno regolari documenti.

In realtà questa campagna ha come obiettivo fondamentale mascherare il fatto che ciò che sta avvenendo è un fenomeno di spostamento forzato provocato dalla violenza sociale e strutturale, dalla militarizzazione, gli espropri, la povertà e tutte le conseguenze dei modelli economici predatori imposti dai paesi dominanti, e che perciò i migranti attualmente in transito attraverso il Messico devono essere identificati come rifugiati, a quali il sito dell’UNHCR si riferisce in questi termini: “i rifugiati devono spostarsi se vogliono salvare la propria vita o libertà. Non hanno protezione nel proprio Stato – anzi, è spesso il loro governo a minacciarli di persecuzione. Se altri paesi non garantiscono loro la protezione necessaria e non li aiutano una volta entrati, così facendo potrebbero di fatto condannarli a morte – o a una vita insopportabile nell’ombra, senza sostentamento e senza diritti”.

Tuttavia, né i governi regionali né la Organizzazione delle Nazioni Unite con la sua agenzia specializzata UNHCR hanno riconosciuto che, sotto il principio di responsabilità condivisa, si devono attuare misure di estrema emergenza per risolvere le situazioni tragiche in cui si trovano le vittime della migrazione forzata, che non possono restare dove sono né hanno posto dove andare: sono perseguitati dalla povertà e in pericolo di vita se rimangono nel loro paese di origine, sono sfruttati dal crimine organizzato e dalle autorità corrotte, sequestrati e uccisi nel paese di transito e, quando riescono a giungere a destinazione, detenuti e deportati, senza possibilità di difendersi.

I migranti in transito attraverso il Messico

I movimenti migratori verso gli Stati Uniti dal 2016 ad oggi si sono verificati nel mezzo di un importante aumento dell’insicurezza che costringe le persone migranti in uno scenario di estorsioni, aggressioni, violenze, sequestri e morte, situazione che si è accentuata e aggravata con l’aumento della violenza in Messico, Honduras, El Salvador e Guatemala, parallelamente alla politica migratoria degli Stati Uniti, in particolare dopo gli attentati dell’11 settembre 2011, che ha giustificato un severo irrigidimento del controllo al confine con il Messico, con gli effetti della guerra alla droga e con le costanti, e sempre più violente, detenzioni dei migranti senza documenti da parte del governo messicano in tutto il paese.

Nonostante manchino delle statistiche attendibili sulla dimensione dei flussi di migranti in transito, diversi gruppi di accademici suggeriscono che nell’anno 1995, circa 200.000 centro-americani hanno attraversato il territorio messicano; nel 2005 erano circa 400.000, quando il flusso ha iniziato a diminuire, e nel 2010 si stima che 110.000 persone migranti siano passate per il Messico. Nel 2012 c’è stato un nuovo aumento del flusso migratorio che si è poi intensificato a fine 2013, per arrivare, nella prima metà del 2014, verso gli stessi numeri del 2005.

Non tutti arrivano a destinazione, anzi un po’ più del 80% non centra il suo obiettivo e sale sulla giostra di tentativo, deportazione, nuovo tentativo, nuova deportazione, tentando la fortuna per arrivare negli Stati Uniti (quelli che ce la fanno sono il 18,3%).

Il Messico è l’ostacolo principale sul percorso dei migranti verso la propria destinazione, e raggiunge una percentuale di detenzioni del 52,2%, mentre gli Stati Uniti detengono il 29,5%. Le stime sul numero di migranti che attraversano il Messico non comprendono quelli di cui si è persa traccia, sui quali non esistono dati certi e attendibili che ne determinino la quantità. Sono invisibili tra gli invisibili.

Le stime più attendibili sul numero di migranti scomparsi durante il viaggio attraverso il Messico si basano sul secondo Rapporto Speciale sul Sequestro di Migranti in Messico, realizzato dalla Commissione Nazionale dei Diritti Umani e pubblicato in febbraio 2011, che riporta 214 sequestri con un totale di 11.333 vittime in soli sei mesi. I migranti non rintracciabili in transito attraverso il Messico a partire dal 2006 sono i 70.000 e i 120.000.

Tra il 22 e il 23 agosto 2010, 72 migranti di centro e sud America sono stati assassinati a San Fernando (Tamaulipas) da membri della criminalità organizzata di cui si sospetta la complicità della polizia locale. Un anno dopo, in aprile 2011, almeno 193 persone sono state trovate in fosse clandestine in quel comune e a Cadereyta.
In novembre 2013, protetta dalla Legge sulla Libertà di Informazione degli Stati Uniti, l’organizzazione National Security Archive è riuscita a riclassificare alcuni documenti diplomatici che rivelano la collusione dei funzionari federali, statali e municipali con le organizzazioni criminali che operano a Tamaulinas e, quasi quattro anni dopo il massacro, la Procura Generale della Repubblica del Messico (PGR), obbligata dall’Istituto Federale di Accesso alle Informazioni e Protezione dei Dati (IFAI), ha consegnato copie di accordi, relazioni di monitoraggio degli accordi, email, ecc. riferite alla detenzione di 16 membri della polizia municipale di San Fernando (Tamaulipas), effettuata in aprile 2011, che fino a quel momento aveva mantenuto riservata, consegnando le relazioni al National Security Archive. I documenti confermano che i poliziotti della municipale di San Fernando sono coinvolti nella morte dei migranti assassinati, occupandosi di “pattugliamento, intercettazione di persone e mancato esercizio del proprio dovere di fronte ai delitti commessi dai membri dell’organizzazione criminale ‘Los Zetas’.”

Il 13 maggio 2013 quarantanove cadaveri decapitati e mutilati sono stati abbandonati su un’autostrada vicino alla città di Monterrey, i corpi in decomposizione di 43 uomini e 6 donne sono stati ritrovati nella comunità di San Juan, comune di Cadereyta, nello stato di Nuevo León. “Sono tutti senza testa e sono stati mutilati degli arti inferiori e superiori, cosa che complica l’identificazione”, ha dichiarato il procuratore di stato, Adrián de la Garza, specificando di non aver ricevuto denunce di scomparsa nei giorni precedenti, potendo trattarsi di persone di altri stati messicani o migranti centro-americani. Due anni dopo, in luglio 2014, dopo un lungo processo di identificazione, la Cancelleria Honduregna ha annunciato l’arrivo dei corpi di 11 honduregni morti a Cadereyta per essere riconsegnati ai propri familiari in Honduras. Resta sconosciuta l’identità dei restanti 42.

E mentre il Messico massacra i suoi migranti, i paesi mesoamericani e il Messico stesso si vincolano all’emergenza esogena della “sicurezza regionale”, avendo sottoscritto trattati come il Piano Mérida, per il beneficio esclusivo della sicurezza statunitense, in cui si identifica il controllo del transito migratorio verso gli Stati Uniti come parte dell’Alleanza per la Sicurezza e la Prosperità dell’America del Nord (ASPAN), la cui vera intenzione è assicurarsi e appropriarsi delle ricchezze del Messico. La ASPAN, concordata e sottoscritta illegalmente aggirando il potere legislativo, va nella direzione della creazione di uno stato sottoposto al controllo degli Stati Uniti, violando la Costituzione e imponendo alla società messicana un caos promosso dalla complicità delle autorità messicane con il crimine organizzato.

Foto: @RubenFigueroaDH
Foto: @RubenFigueroaDH

Quando, nel 1994, è stato firmato il Trattato di Libero Commercio dell’America del Nord (TLCAN), non sospettavamo che il TLCAN sarebbe stato ampliato ad altri ambiti della vita e della nazione – alle spalle del congresso e degli abitanti dei tre paesi – per comprendere un’area fino ad allora considerata fuori dal contesto dei trattati commerciali: la sicurezza nazionale. In marzo 2005, in Texas, i governi di Canada, Messico e Stati Uniti (Martin, Bush e Fox) annunciarono l’Accordo di Sicurezza e Prosperità dell’America del Nord (ASPAN). L’accordo faceva parte di un piano per “armare il Trattato di Libero Commercio” dandogli una struttura militare/poliziesca ed estendendo il “perimetro di sicurezza” degli Stati Uniti ai suoi vicini, in concomitanza con la riformulazione radicale della politica estera degli Stati Uniti dopo gli attacchi dell’11 settembre, che impone la sua egemonia come unica garanzia per la pace mondiale e giustifica l’interventismo inteso come “l’uso risoluto e deliberato di strumenti politici, economici e militari da parte di un paese per influenzare la politica interna o estera di un altro paese”. Approccio che giustifica anche attacchi unilaterali e preventivi in tutto il mondo, sostenuti da questa dottrina che costringe al libero commercio e alla sicurezza come due pilastri del nuovo ordine mondiale voluto dagli Stati Uniti.

Per il Messico questo si è tradotto nell’assumersi l’onere della sicurezza statunitense sul proprio territorio, in nome del nuovo concetto di “sicurezza regionale”. Con questi accordi, il Messico si è assunto delle responsabilità che non erano considerate prioritarie nel programma di sicurezza interna messicana, tra cui: guerra contro il terrorismo, contenimento dei flussi migratori dell’America Centrale e guerra contro la droga.

… “gli sforzi per scoraggiare la migrazione dall’America Centrale agli Stati Uniti e sigillare il confine sud hanno provocato una crisi umanitaria, trasformando le persone migranti in facili prede per il crimine organizzato e funzionari corrotti sul territorio messicano. Contenere la migrazione verso gli Stati Uniti con la criminalizzazione, la violenza e il terrore è costato migliaia di vite nel paese”.

Non soddisfatti dell’ingerenza degli anni passati, allarmati dall’aumento nei flussi migratori e nel cambio di strategia dei migranti, che hanno optato per consegnarsi all’autorità per obbligare il sistema a iniziare un processo migratorio amministrativo, Washinton ha decretato la “crisi umanitaria” dei minori non accompagnati, cosa che ha provocato una serie di riunioni tanto ordinarie, come il vertice del SICA (Sistema dell’integrazione centro-americana) a Punta Cana e della CRM (Conferenza Regionale sulla Migrazione) a Managua, quanto straordinarie, bilaterali e multilaterali, stringendo accordi per l’utilizzo degli strumenti economici che vengono offerti ai governi del triangolo nord e delle azioni militari dirette dal capo del comando sud e dai ministri della difesa. Il risultato è un irrigidimento brutale nelle misure di contenimento della migrazione con la collaborazione di tutti i governi coinvolti, a beneficio dei soli Stati Uniti.

Le nuove misure annunciate dal Governo messicano per disincentivare la migrazione illegale comprende la creazione di un organismo ad hoc: “il Coordinamento per il Supporto Integrale alla Migrazione al confine sud, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Federazione l’8 giugno 2014, responsabile dell’operazione del Piano Confine Sud, che parla di inversioni per migliorare l’economia, di soluzioni, e si giustifica affermando che tutto questo è per dare dignità ai migranti e rispettare i loro diritti. La pratica, finora, è stata all’opposto della retorica.

Il Programma Confine Sud (Programa Frontera Sur) risulta ambiguo rispetto al “proteggere e salvaguardare dei diritti umani dei migranti che entrano e transitano per il Messico, organizzare transiti internazionali per incrementare lo sviluppo e la sicurezza della regione”. Per esempio, nel Decreto con cui si stabilisce la creazione del Coordinamento per l’Attenzione Integrale della Migrazione al Confine Sud non si trovano sufficienti riferimenti a meccanismi atti a garantire il rispetto dei diritti umani, né al fatto che questi siano punti focali del suddetto Programma. Al contrario, si fa riferimento a un adeguato flusso di persone, senza specificare né definire a cosa si riferisce il termine “adeguato”. Questo programma rivela la strategia geopolitica che fa del Messico il paese-diga per la migrazione irregolare e l’approccio regionale al contenimento dei flussi migratori dal sud, ancora una volta imposto dal governo degli Stati Uniti, a cui il governo messicano è subordinato”.

Nell’ambito di questo piano i paesi coinvolti hanno promosso massicce campagne istituzionali per scoraggiare la migrazione, in Messico sono stati creati i Centri per il Supporto Integrale al Transito Frontaliero (CAITF) e il programma “Passaggio Sicuro” per il confine meridionale del Messico. In Guatemala il territorio viene militarizzato con le nuove “task force” che, con il finanziamento degli Stati Uniti all’Iniziativa Merida, vengono schierate al confine con Honduras ed El Salvador. Questi strumenti hanno spinto la politica di immigrazione dei diversi paesi della regione a perdere ogni pudore e a trasformarsi apertamente in una politica di sicurezza.

Nel sud del Messico, la polizia dell’immigrazione controlla sempre più spesso i valichi di frontiera, obbligando i migranti a diversificare il proprio tragitto verso altri punti e a cercare nuove rotte migratori, spesso più rischiose. Oltre a intraprendere misure per impedire loro di viaggiare clandestinamente sul treno conosciuto come “La Bestia“, il nuovo programma prevede incursioni in alberghi e case presenti lungo il percorso, così come controlli della polizia stradale sulle strade vicino al confine con il Guatemala. I migranti hanno quindi cercato nuove rotte, ancora in parte sconosciute, e con essi le bande criminali, che ora hanno la possibilità di operare in maggiore invisibilità. Uomini, donne e bambini sono obbligati a viaggiare in clandestinità attraverso nuovi percorsi inospitali, dove il crimine organizzato e le gang locali, in complicità con i vari attori governativi o civili, li stanno aspettando.

Il tema delle violazioni dei diritti umani dei migranti in transito per il Messico, l’estorsione, il sequestro e la scomparsa dei migranti, così come l’enorme giro di denaro del crimine organizzato con la complicità dei funzionari a tutti i livelli della sicurezza nazionale e delle multinazionali, che si è sviluppato intorno al traffico e alla tratta di esseri umani, ancora non rientrano tra le preoccupazioni collettive dei messicani e il tema si limita ai difensori degli stessi, mentre il crimine organizzato raccoglie i frutti della vulnerabilità seminata da una politica dell’immigrazione che obbedisce a una logica di sicurezza nazionale incarnata dalla Legge sulla Migrazione e attualmente nel Programma Confine Sud, che mira a rafforzare il confine con il Guatemala e che opera secondo la logica del “perseguire, catturare e deportare”.

Il Programma Frontiera Sud è il rilancio di strategie messe in pratica durante le amministrazioni passate, dal 2006 al 2012, che non hanno dato i risultati sperati. Nonostante le strategie messe in atto per rafforzare la sicurezza e controllare il flusso migratorio, la regione ha visto crescere il traffico illegale di droga e persone. La migrazione senza documenti del Centro America seguirà questa tendenza al rialzo mentre continuano le violenze, l’esproprio di terreni e delle sue risorse, l’ineguaglianza, la povertà e le altre condizioni che obbligano le persone ad andarsene.

Messico svegliati

Il Messico sta subendo episodi di repressione, sparizioni forzate, molestie e uccisioni di attivisti, giornalisti, studenti, difensori dei diritti umani, indigeni, contadini, leader delle diverse comunità, e di altri settori sociali vulnerabili.
Il 26 settembre, 2014, a Iguala (Guerrero), la polizia municipale hanno fatto sparire 43 studenti della Scuola Normale Rurale di Ayotzinapa, a Guerrero, in Messico, di cui uno è stato trovato senza vita, mentre altri tre sono stati uccisi sul posto. Queste atrocità comprendono il rapimento, la tortura e l’uccisione dei giovani nelle mani della polizia locale e probabilmente l’esercito, collusi con la criminalità organizzata.

L’inchiesta che è seguita al massacro degli studenti nella Normale di Ayotzinapa è stata messa in piedi deliberatamente per relegare la colpa a livello locale e calmare le proteste, senza rivelare le radici del crimine. In quel momento, l’esercito federale era presente e consapevole degli attacchi.

Nonostante il sindaco di Iguala sia stato incolpato ed arrestato, nonostante il governatore di Guerrero abbia dato le dimissioni e nonostante più di cinquanta poliziotti della municipale, presumibilmente coinvolti nei fatti, siano stati arrestati, i 43 studenti non sono stati ritrovati – è stato solo dichiarato che alcuni dei resti analizzati appartengono a uno di loro – né è stato spiegato il movente, né sono stati identificati i mandanti intellettuali di quei delitti. Peggio ancora, c’è il fondato sospetto che l’Esercito e la Polizia Federale abbiano avuto parte attiva nei fatti. L’esercito federale stesso si è reso colpevole dell’assassinio di massa di 22 giovani, nel paese di Tlatlaya, nello Stato del Messico, nel giugno del 2014. In quel caso, l’esercito e il governo federale cercarono di coprire gli omicidi di Tlatlaya con molestie e minacce ai testimoni.

La profondità della crisi in Messico, la violenza di stato e la criminalità organizzata, costringono i movimenti sociali a lavorare in una condizione di repressione e violenza simile alla “guerra sporca” della decade tra il 1970 e il 1980, quando il governo messicano ricorse all’omicidio e alla sparizioni forzate per indebolire le crescenti proteste sociali e i movimenti di guerriglia, cosa che non ha mai smesso di fare, seppur con minor slancio, durante le decadi seguenti, e che ripreso con maggior impeto a partire dal 2006, soprattutto da quando il Partito Rivoluzionario Istituzionale è tornato alla presidenza della repubblica nel 2012.

Gli Stati Uniti sono profondamente coinvolti in questa situazione, grazie agli accordi militari sottoscritti con le forze armate messicane per attuare atti di repressione con il pretesto della guerra al narcotraffico, giustificazione scelta per la nuova edizione della “guerra sporca”, quando il motivo nascosto è la tutela degli interessi economici e geopolitici degli stati più potenti. Stati Uniti e Canada sono particolarmente coinvolti, in quanto principali responsabili della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di opportunità di sopravvivenza per i giovani, l’espropriazione delle terre dei contadini messicani e le aggressioni alle comunità in mano ai cartelli del narcotraffico, la polizia e le forze armate. Le compagnie minerarie canadesi rubano e saccheggiano acqua e terra dei contadini messicani con brutali atti di repressione per mano degli eserciti privati supportati da vari livelli del governo messicano e attraverso gli accordi stretti con la criminalità organizzata.

“Freedom of Transit” ¡ URGENT ! Foto: Ruben Figueroa
“Freedom of Transit” ¡ URGENT ! Foto: Ruben Figueroa

Inoltre, le riforme della Costituzione messicana, orgoglio dell’attuale governo, prevedono l’incremento dell’espropriazione ai danni delle comunità rurali per la privatizzazione del petrolio e di altre risorse naturali, e porteranno il governo a sfrattare intere comunità a beneficio dello sfruttamento delle risorse. Le multinazionali del petrolio saranno protette dalle proteste popolari dalle forze armate messicane con l’assistenza militare degli Stati Uniti.

Tutto questo grazie a un governo che si allea e protegge i grandi capitali e il crimine organizzato, punta al controllo poliziesco-militare delle zone di conflitto, e lascia impuniti i crimini contro l’umanità perpetrati contro la popolazione messicana, totalmente indifesa di fronte a queste forze poderose, in un paese dove le denunce di fronte alla magistratura godono del 98,2% di impunità e spesso si trasformano in molestie e rivitimizzazione di chi denuncia.

Gli atti di resistenza sono emersi con grande energia sociale, esemplificati dalla formidabile risposta della cittadinanza organizzata per i 43 desaparecidos di Ayotzinapa. Un movimento che sta dimostrando un’ammirevole capacità di resistenza, che ha sfidato lo Stato messicano e che verrà sconfitto facilmente perché le madri e i padri continueranno a cercare i propri figli scomparsi, così come le madri delle carovane delle madri centro-americane che cercano i loro figli migranti scomparsi mentre attraversavano il Messico non smetteranno di cercare anche dopo anni senza ricevere alcuna notizia, aggrappandosi alla speranza di ritrovarli.

Oltre a questo grande movimento, si sono moltiplicate le forme di resistenza: dallo sforzo autonomista dei Caracoles dell’EZLN in Chiapas all’iniziativa diretta dal vescovo Raúl Vera per creare una Nuova Costituente; dalle esperienze di polizia e organizzazione comunitaria a Michoacán e Guerrero, agli sforzi di autogestione dei giovani e alle diverse lotte contro la miniera a cielo aperto e i megaprogetti idraulici ed energetici, senza dimenticare i difensori dei migranti, i lottatori per i diritti umani e i movimenti delle donne.

Anche porzioni sempre più grandi della gerarchia ecclesiastica si sono attivate. Al tavolo di discussione “La Chiesa di fronte alla corruzione, l’ingiustizia e la violenza in Messico”, dell’8 di gennaio di quest’anno, i capi della Chiesa Cattolica, tra cui alcuni dei sacerdoti che si sono distinti per la ferrea difesa dei diritti dei migranti, hanno convenuto che l’istituzione ha la capacità di essere una rete strategica contro l’impunità e di “creare una rete per riformare il Messico, non dalla testa, ma dal basso verso l’alto”. Hanno dichiarato che “il Messico è una fossa comune e ci sono più di 500 mila sfollati”, e che, mentre si svolge questo tavolo di discussione, da qualche parte qualcuno scompare con la complicità di tutti. “È ora di camminare con il popolo, come Chiesa camminare come il popolo, in maniera articolata”, affermando che è il momento di guidare le iniziative che sono emerse in seguito ai recenti casi di violenza nel paese.

Attenzione speciale meritano gli insegnanti messicani, da mesi in mobilitazione di massa contro la riforma impropriamente chiamata educativa, che è piuttosto uno strumento di controllo lavorativo contro gli insegnanti indipendenti che lottano contro la standardizzazione dell’educazione e la sua privatizzazione. Gli insegnanti sono stati sottoposti a una spietata campagna di discredito e criminalizzazione, che però non è riuscita a spegnere il movimento, e che anzi ha spinto alla solidarietà molti genitori e movimenti sociali del paese.

Gli insegnanti chiedono di essere ascoltati e consultati in merito alla Riforma Educativa, mentre il governo va avanti dichiarando che non ci saranno ripensamenti, e ha già cominciato a reprimere le proteste nel sangue e nel fuoco. La polizia, sparando contro i manifestanti disarmati, ha già causato delle morti.

E se cresce e si manifesta vigorosamente il disagio sociale, crescono anche gli atti di repressione. Il governo ha praticamente annullato il movimento di autodifesa di Michoacán, arrestandone i leader più emblematici e cooptando molti dei seguaci con strategie perverse con cui lascia le armi in mano a chi fa parte delle organizzazioni criminali come La Famiglia Michoacana e le sue versioni successive, mentre disarma i cittadini che si difendono dalle loro aggressioni. Il governo è riuscito anche a spegnere il movimento dei giovani “Somos 132”, attivando, con grande esperienza storica, la strategia di repressione fulminante associata al suo contrario: corrompere e cooptare. Di conseguenza il nuovo movimento sociale di resistenza, frammentato e costantemente assediato dallo stato, si trova in una situazione di estrema vulnerabilità.

Marta Sánchez Soler
Ciudad de México
Luglio 2016