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da La Repubblica del 4 giugno 2006

Cercavano la Spagna, morti alle Barbados

Barca di clandestini africani arriva ai Caraibi dopo 4 mesi nell'Atlantico

di Giovanni Maria Bellu

Erano partiti in 47 la notte di Natale, con un’imbarcazione di 6 metri hanno navigato per migliaia di chilometri. I loro corpi ritrovati il 29 aprile

Roma – Una barca di 6 metri, bianca, senza nome, senza bandiera. È un pescatore ad avvistarla alle 5 del mattino del 29 aprile a 76 miglia di Ragged Point, la punta più orientale delle isole Barbados.
Dondola tra le onde, nessuno la governa, anche se a bordo s’intravedono degli uomini. Sono sdraiati sul ponte, immobili.
Il pescatore chiama la Guardia costiera. Alle 6 della sera, la piccola barca bianca, trainata da una motovedetta, entra nel porto di Bridgetown. A bordo ci sono i corpi quasi mummificati di 11 giovani uomini neri.
Resta sorpreso, il medico legale, quando scopre che hanno documenti africani e uno di loro ha in tasca banconote per un totale di 1.300 euro. Dei pirati, forse, che si sono impadroniti della barca di qualche europeo che navigava per il mar dei Caraibi. Nessuno può immaginare di essere davanti a una delle tante tragedie dell’emigrazione dall’Africa all’Europa.
La risposta arriva poco dopo. C’è un biglietto in mezzo ai 1300 euro. È scritto in francese. “Vengo dal Senegal. Ho vissuto un anno a Capo Verde. Sto molto male. Non credo che ne uscirò vivo. Ho bisogno che chi mi troverà invii questo denaro alla mia famiglia. Per favore, contattate per telefono il mio amico Ibrahime Drame”. Quindi il numero e una firma: Diew Sounkar Diemi.
È passato poco più di un mese. La notizia arriva ora in Italia, ma ormai tra le Barbados e il Senegal si sa quasi tutto della nave fantasma giunta in America dall’Africa, spinta prima dalla disperazione dei suoi 47 passeggeri, tanti erano all’inizio, e poi solo dall’aliseo. Si sa da dove partirono, il porto di Praia, a Capo Verde, si sa quando, la notte del 25 dicembre, si sa dove credevano d’essere diretti, le Isole Canarie, lembo di Spagna nell’Atlantico africano. Si conoscono persino i nomi di quelli che li mandarono a morire dopo aver prelevato a ognuno di loro dai 1.200 ai 1.500 euro. Non c’è dubbio che le cose siano andate così. Eppure ancora si fa fatica a crederci.
Fa fatica un uomo di mare come Pasquale De Gregorio, uno dei due italiani che hanno portato a termine la Vendée Globe, il giro del mondo in solitario senza scalo. Sbalordisce davanti al programma del viaggio proposto a Diew e ai suoi compagni. Secondo i trafficanti, quella barca di 6 metri, con un motore da 20 cavalli, 40 litri di gasolio, e un vela latina tesa malamente su un albero di 3 metri, avrebbe dovuto risalire l’Atlantico da Capo Verde alle Canarie. «Solo quello – dice De Gregorio – è un tragitto difficile anche per un marinaio esperto e una barca moderna. Per fare una cosa del genere in quella stagione bisogna non avere alcun’idea del mare».
Non ne avevano alcuna, infatti. Al contrario di Robledo. È questo, secondo il quotidiano El Pais, il nome del trafficante spagnolo che reclutò i migranti e, un attimo prima della partenza, saltò a terra, lasciando il comando a uno dei ragazzi senegalesi. Per loro fortuna, intuendo il pericolo, in cinque lo imitarono e così hanno potuto raccontare quel momento.
La ricostruzione dei momenti successivi è il risultato di un mosaico di telefonate disperate fatte coi cellulari, di risultanze medico legali, oltre che di quel che si sa dell’Atlantico nei mesi invernali.
L’albero si spezzò quasi subito, ricomparvero, su una barca più grande, i trafficanti.
Lanciarono una fune e cominciarono a trainare quel rottame galleggiante. Ma non verso le Canarie, né verso Capo Verde. Quando furono in pieno Oceano, tagliarono la cima e li lasciarono in balia della corrente.
Secondo i medici legali, erano tutti morti dopo il primo dei quattro mesi della deriva verso le Barbados. Molti di loro, secondo De Gregorio, morirono quasi subito, scaraventati in mare dal primo incontro con l’aliseo. Altri di fame e di sete nelle settimane successive. Non avevano la minima idea su come sopravvivere, su come nutrirsi col pesce, su come dissalare l’acqua.
In mezzo ai cadaveri sono state trovati barattoli di sardine, di pomodoro piccante, di succo di frutta, tutti vuoti. L’ultimo ha finito di vivere quando la piccola barca bianca era a un terzo del viaggio verso l’America. Forse è suo il messaggio che è stato trovato sul ponte, in mezzo alle povere cose dei ragazzi che volevano raggiungere l’Europa: “Questa è la fine della mia vita nel grande mare del Marocco”.