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tratto da Migra news

“Cerchi d’acqua”, una cooperativa per contrastare il fenomeno della violenza in famiglia

di Rosa Juarez Ramirez

Milano – Le donne immigrate di Milano che soffrono maltrattamenti fisici, violenza sessuale o psicologica, abuso in famiglia (da parte del marito o del partner), possono chiedere aiuto. Esse saranno ascoltate da altre donne, professioniste che da 10 anni lavorano su questa problematica. “Cerchi d’Acqua”, cooperativa sociale nata nel 2000 da un progetto dell’Associazione milanese CADM (Casa d’Accoglienza delle Donne Maltrattate), si occupa di contrastare il fenomeno della violenza in famiglia.

Abbiamo parlato con Simona Scalzi e Francesca Scardi, rispettivamente Presidente e Vicepresidente della Cooperativa. Abbiamo chiesto loro qual è il percorso che deve seguire una donna che ha subito violenza ed anche una piccola sintesi del loro operato.

«La donna che vuole denunciare, prima deve fare una telefonata a “Cerchi d’Acqua”; ci sono persone che accolgono la telefonata e si fissa un primo colloquio. Queste persone, che fanno il “consulente d’accoglienza”, sono professioniste che hanno fatto un corso e un tirocinio presso di noi. Con questi primi passi si comincia un percorso insieme alla donna. Dopo il primo colloquio si fissano, se è necessario, altre consulenze: legale, di sostegno psicologico, d’orientamento al lavoro. Esiste anche la possibilità di iniziare una psicoterapia, ma questo è un trattamento a lungo termine. Per risolvere il trauma della violenza, abbiamo creato gruppi d’autoaiuto che si sono rivelati molto importanti per una buona riabilitazione della donna».

«Per “Cerchi d’Acqua” non esistono problemi di documenti, qualunque donna immigrata è accettata senza difficoltà. L’anonimato e la riservatezza sono cose importanti per chi subisce violenza, perciò una donna può venire qui e darci un nome falso, noi non chiediamo documenti. Tuttavia, non è mai capitata una tale situazione perché la stragrande maggioranza delle donne immigrate che arrivano da noi hanno i documenti in regola. Ogni donna decide il suo percosso e noi l’aiutiamo a riflettere: se vuole rimane in casa, oppure lascia il compagno; l’importante è che sia lei a decidere, noi ci limitiamo ad illustrarle le varie possibilità».

«L’anno scorso abbiamo iniziato un progetto che si rivolge ai figli delle donne che hanno subito violenza. Abbiamo coinvolto questi bambini in un ambito in cui si lavora sulla relazione mamma-bambino e sul recupero degli spazi di gioco. I bambini che hanno vissuto violenze in prima persona sono spesso traumatizzati, non hanno una relazione serena con la mamma. Anche la madre molto spesso ha tanti problemi, si occupa di mille faccende e non ha il tempo per fare cose piacevoli con il suo bambino. Abbiamo creato dei momenti tra mamma e bambino in modo che possano stare insieme per disegnare, per costruire delle cose insieme, ecc. È un gioco, un divertimento che evita però di fare il percosso di psicoterapia».

«La violenza c’è sempre stata ma prima non se ne occupava nessuno, mentre ora è diverso. Per esempio, si sta facendo la campagna di Amnesty International contro la violenza alle donne. Inoltre, in Italia sono nati tanti istituti che si occupano del problema e le donne sono più informate, conoscono di più e quindi, in caso di bisogno, si rivolgono ad un centro come il nostro. Insomma, la questione della violenza sulle donne in Italia sta emergendo di più perché se ne parla di più».

«Se la donna vuole lasciare il luogo dove subisce violenza, fisica o mentale, esiste la “Casa della Donna”, in cui ci si occupa dell’ospitalità e si costruisce un percorso per chi deve allontanarsi da casa, eventualmente con i figli. Di questo servizio possono usufruire anche le donne immigrate, ma, in questo caso, devono avere i documenti in regola. Purtroppo, garantire l’ospitalità alla donna immigrata “clandestina” è molto difficile in quanto, per tenere in piedi questo servizio, è necessario il contributo dell’assistenza sociale e le istituzioni richiedono i documenti».