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da La Repubblica del 6 ottobre 2005

Ceuta, c’è l’Europa oltre la rete. Ogni giorno una “valanga umana”

Incastonate in territorio marocchino, Ceuta e Melilla alzano le barriere contro i migranti. E il governo spagnolo invia nuovi soldati

Ceuta – Il sogno dell´Europa sta nascosto lì dietro, oltre quel canneto. Si lascia guardare senza vergogna: case ben dipinte, strade asfaltate, macchine potenti e corrente elettrica. Bastano 30 metri per raggiungerlo: una tentazione troppo forte per resistere. Ci cadono a migliaia nelle notti chiare e fresche. La città bianca a pochi metri dal canneto chiama come una sirena incantratrice.

“Ceuta, città aperta”, recita il cartello al posto di frontiera: non per chi passa da qui, nei boschi dove il Marocco e l´Africa finiscono e l´Europa inizia.
C´è una recinzione alta qualche metro, lunga otto chilometri, a segnare il confine che la natura non ha voluto: divide l´Africa dal suo ultimo spicchio, Ceuta appunto, quel promontorio che guarda negli occhi Gibilterra e che la Spagna, insieme all´enclave gemella di Melilla, non ha voluto lasciare quando ha abbandonato l´Africa.

Oggi queste due cittadine tenacemente difese negli anni sono diventate la spina nel fianco del governo di Josè Luis Zapatero. Migliaia di immigrati nelle ultime settimane hanno tentato di superare le barriere che le difendono ed entrare: in Spagna, in Europa. La maggior parte ci sono riusciti, ma qualcuno ha pagato per tutti. Giovedì scorso, intorno alla doppia recinzione che divide Ceuta dal territorio marocchino, sono rimasti a terra cinque corpi, tutti uomini, tutti dell´Africa subsahariana. Sapere qualcos´altro di loro è impossibile: i compagni che con loro hanno diviso i mesi di viaggio attraverso l´Africa e l´attesa nelle tende piantate nei boschi qui intorno non vogliono ricordarli. La loro morte però non si farà dimenticare presto: da giorni riempie le pagine dei giornali dai due lati della frontiera. Il fuoco incrociato di perizie balistiche e testimonianze per appurare chi ha sparato ha riportato la tensione fra Rabat e Madrid al livello più alto dopo la crisi di Perejil, quando i due paesi arrivarono alle armi per difendere l´isolotto.

La sera della morte dei cinque immigrati Hakmed, poliziotto marocchino, non c´era, ma di passaggi attraverso il filo spinato ne ha visti così tanti che uno in più o in meno per lui non fa differenza: «Quando arrivano in massa non c´è niente che può bloccarli – dice fissando i colleghi dall´altra parte del filo – gli spagnoli vogliono alzare la rete, ma non basterà. Quelli che arrivano qui sono disperati».
Hakmed fa la guardia al canneto da cui è partito l´assalto di giovedì notte: entrare è vietato, ma bastano le piante calpestate a raccontare da dove è partita e dove puntava la corsa dei disperati. Mohammed, 20 anni, della Guinea, giovedì scorso era nel canneto, alla testa del gruppo che si è gettato contro le recinzioni. «Ero nei boschi qui intorno da più di un anno – racconta – non ce la facevo più. Giovedì abbiamo deciso di provare a passare: siamo scesi dal bosco al villaggio, e da lì al canneto. Poi abbiamo iniziato a correre, abbiamo messo sulle recinzioni le scale che avevamo costruito e siamo saltati giù, in Spagna». Dei morti dice di non sapere nulla: «Io sono passato fra i primi, quello che è successo dietro non lo so». Resta in silenzio il ragazzo che lo accompagna. Ha una mano fasciata: tutto quello che accetta di dire è che sì, si è ferito giovedì notte sulle reti. Ma la sua storia finisce lì.

Mohammed ieri era in fila al centro di assistenza della Croce Bianca per le vie di Ceuta. È vestito con una tuta sportiva nuova e ha in mano il foglio della polizia spagnola che gli impone di lasciare il paese entro 45 giorni. Con aria serena spiega di aspettare solo l´arrivo di nuovi immigrati. Quando Ceuta sarà piena i poliziotti porteranno quelli arrivati da un po´, come lui, «sulla penisola», in Spagna: da lì ripartirà, non certo per il suo paese.
Sapere quanto tempo Mohammed dovrà aspettare è impossibile: dopo le ondate di assalti dell´ultima settimana a Ceuta e a Melilla, il governo Zapatero ha inviato nelle due enclave altri 700 soldati. Resteranno in permanenza, ha fatto sapere Madrid, per coprire la frontiera più a sud del Paese e dell´intera Europa. La loro presenza si nota a vista d´occhio: alcuni camminano a coppie nello stretto sentiero che separa la doppia recinzione lungo il confine, altri sono impegnati nei lavori di rinforzo e innalzamento delle barriere. Ma non basta: nelle prime ore di lunedì 350 africani hanno scavalcato le reti a Melilla, l´ingresso più numeroso registrato finora. Altri 500 ci hanno provato ieri, e nessuno dice ancora come sia finita.
Poche ore prima i militari marocchini avevano smantellato le centinaia di tende che affollavano i boschi fra Ceuta e il villaggio di Bel Younech, dove gli immigrati si accampavano in attesa del salto. Dei teli di plastica e dei fuochi notturni dopo l´incursione di domenica non rimangono che resti: bottiglie di plastica, scarpe, spazzatura. «Tutti sapevano che erano qui, c´è voluto tutto questo per cacciarli», dice il tassista. In lui, come nella maggior parte dei marocchini di questa zona, c´è rabbia e razzismo nei confronti dei noirs. In un rapporto presentato pochi giorni fa, l´organizzazione umanitaria Medici senza frontiere ha denunciato i soprusi della polizia e delle forze armate marocchine nei confronti degli immigranti, ma non ha risparmiato neanche gli spagnoli: «Queste persone sono intrappolate in una violenza inaudita e non giustificata da entrambe le parti, e non possono difendersi», dice Javier Gabaldonne, capo missione della ong in Marocco.

Per le strade di Ceuta in realtà i due mondi sembrano convivere: gli spagnoli riconoscono gli immigrati appena arrivati dai vestiti, e ne parlano con compassione.
Ma per trovare l´altra faccia della medaglia non ci vuole molto: ieri sera centinaia di persone si sono riunite nel centro della città al grido di «Ceuta è Spagna». Chiedevano a Madrid provvedimenti urgenti contro «las avalanchas», le valanghe umane come le chiamano qui. Andando via molti hanno gettato uno sguardo alla montagna alle spalle della città: nulla dice che stanotte da lì non scenderà un´altra valanga umana.