Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Servizio immigrazione e promozione dei diritti di cittadinanza (Venezia)

Chiedo asilo! Viaggio dentro l’accoglienza

A cura di Rosanna Marcato

Il giorno 12 dicembre il Servizio Rifugiati del Comune di Venezia ha tenuto un seminario rivolto in particolare ad operatori sociali, sanitari, scolastici del territorio e a colleghi che lavorano nei centri di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati.
Il Seminario ha voluto per una volta dare per scontata la giustezza dell’accoglienza, non parlare di diritti ma vedere come questi diritti si costruiscono e si sostanziano confrontandosi sul lavoro quotidiano e sulle metodologie professionali utilizzate nel sostegno alle persone. Sostegno che diamo all’interno dei nostri centri, ma che ha bisogno dell’apporto di altri servizi e di altri professionisti per affrontare i numerosi problemi di ordine sanitario, sociale, scolastiche queste persone pongono.

Lo scopo del seminario era infatti quello di far conoscere il nostro lavoro, le nostre esigenze e chiaramente i problemi di cui sono portatori i rifugiati e cominciare a creare una rete tra operatori con diverse competenze che possa supportarli conoscendo e tenendo presenti le specificità delle problematiche dell’asilo. In Italia si parla molto di accoglienza, ma quasi mai ci si addentra nei significati non astratti che questa parola pone. Di come cioè si debbano sviluppare metodi di lavoro che provino ad affrontare i diversi e complessi saperi che sono necessari per la buona accoglienza e per costruire con queste persone un futuro possibile.
Le tematiche che noi trattiamo con le persone in accoglienza hanno uno spazio d’azione estremamente complesso: esiste un prima sconosciuto, esiste il viaggio, esiste un tempo vuoto di attesa, esiste un futuro che lentamente si costruisce, esiste il fallimento. Ed esiste un esterno istituzionale e legislativo fortemente condizionante e dal quale è impossibile prescindere.

L’attesa
Abbiamo centrato il seminario sul tempo dell’attesa che è quel tempo che il richiedente asilo trascorre nei nostri centri aspettando la convocazione presso la commissione Centrale che dovrà o meno decidere di concedere l’asilo e quindi di poter acquisire per la persona, quello status che consente di passare dall’essere una “non persona” ad una persona dotata di diritti e di un identità: quella del rifugiato.
Abbiamo analizzato come questo tempo giochi contemporaneamente sul piano dell’inclusione e di richiesta da parte nostra di acquisire una veloce autonomia (vado a scuola, conosco la città, imparo la lingua, comincio a rapportarmi con le persone, divento competente) e dell’esclusione e della dipendenza (non posso lavorare, non posso avere una casa, non ho sufficienti mezzi economici, devo essere accompagnato per poter avere i miei diritti, la mia libertà personale viene delimitata) in un altalena che tentiamo di tenere in equilibrio ma che spesso è fonte di disagio per loro e per noi, di tensioni, di conflitti, di fraintendimenti culturali.
Per sostenere queste persone nella costruzione di un ipotetico futuro noi dobbiamo ripercorrere il passato, quel prima sconosciuto fatto troppo spesso di violenze, distruzioni, lutti, torture, di perdite totali. Dobbiamo iniziare una relazione d’aiuto con una persona che non sa chi siamo, non sceglie di incontrarci, non capisce bene quello che succede (è appena arrivato)ma percepisce il nostro intervento come determinante per il raggiungimento del suo scopo che inizialmente è soprattutto di trovare un letto e del cibo e che poi, una volta accolto, orientato e informato prende corpo in qualcosa di più complesso.
Con queste persone partiamo innanzi tutto da una relazione molto sbilanciata. Il dono (essere accolti non è un diritto) implica un rapporto di potere asimmetrico, dove entrano significati importanti quali la politica dell’ente (regole e non regole, solidarietà politica), le motivazioni degli operatori, l’immagine che hanno di se stessi (salvatori…), il modo di elaborare le forti emozioni che quasi sempre accompagnano il primo impatto con la persona che chiede accoglienza. Persone alle quali tendiamo spesso ad appiccicare un immagine a senso unico: quella di una vittima assoluta, dimenticando che le persone ovunque vadano o siano, sono portatrici di culture, di conoscenze, di conoscenze strategiche di viaggio, di reti solidali e non, di mobilità transnazionali, sono persone attive, che conoscono spesso più lingue, lavori, hanno esperienze stratificate.
E ancora dalla parte del richiedente asilo la sua rabbia, il suo dolore, il suo spiazzamento, la sua umiliazione, la sua impossibilità a raccontare, il suo situarsi od essere invitato a farlo in una immagine di se stesso come vittima : in sintesi estrema la consapevolezza per noi (ogni giorno incontriamo tutto ciò) di trovarci all’interno di un rapporto ad alta possibilità di manipolazione e fraintendimento.

Dobbiamo imparare a viaggiare insieme a lui o lei in quell’inferno che sono i viaggi compiuti con le organizzazioni criminali, o in viaggi che durano anni fino all’arrivo in Europa, o ancora in lunghi viaggi nell’Europa stessa (Convenzione di Dublino) dobbiamo conoscere luoghi e paesi, scavare nel dolore perché tutto ciò servirà a certificare lo status di rifugiato,.e dobbiamo farlo velocemente. Le storie individuali diventano strumento per riconoscere il grado di sofferenza e il conseguente diritto alla protezione.

Il racconto
Ma raccontare il proprio dolore può essere difficile e a volte impossibile. Solo la rimozione consente (in situazioni di deprivazione) di sopravvivere a efferate torture, a violenze prolungate, a perdite affettive e sociali sentite come totali e per sempre. Ecco allora che abbiamo cercato di costruire per queste persone un luogo vivibile e degli operatori formati che li accompagnino nel tempo vuoto, in modo che le emozioni si stemperino e la conoscenza reciproca corregga (ma non sempre ci riusciamo) quel rapporto che spesso sentiamo come predatorio (richieste continue) ma che spesso diviene anche fonte di grande soddisfazione reciproca.
Il tempo, le sconfitte, i conflitti, i risultati e le riflessioni che su tutto ciò che abbiamo compiuto, prima tra noi e poi confrontandoci con dei formatori, ci ha portato ad elaborare alcuni metodi e strumenti e regole, che oggi stiamo sperimentando e che in questa giornata abbiamo voluto confrontare con altri attori che per professione incrociano il nostro operare nelle persone dei rifugiati che a loro si rivolgono, o che con noi condividono identiche problematiche all’interno dei progetti di accoglienza.

Per concludere, pare che la giornata sia riuscita a dare a chi ha partecipato numerosi spunti di riflessione da riportare ognuno nel proprio ambito di lavoro. Crediamo di averlo fatto facendo toccare con mano e con il cuore le problematiche che abbiamo portato. La giornata è infatti iniziata con delle pièce teatrali che hanno avuto come attori richiedenti asilo e operatori, che hanno recitato situazioni usuali.

Una dei nostri principi nell’operare e quindi anche dei momenti pubblici che il nostro lavoro comporta, è quello di far sempre sentire direttamente la voce dei protagonisti giacché troppo spesso chi vive sulla propria pelle i disagi, le incongruenze, le difficoltà, le speranze, le possibili soluzioni non ha voce e non è visibile.
L’azione teatrale ha fatto toccare ai presenti il modo in cui i nostri soggetti vivono le decisioni prese su di loro in momenti cruciali: il diniego della commissione dato nell’assoluta freddezza di una comunicazione impersonale fatta da un funzionario che non “guarda in faccia”, un rinvio della questura ad un altro momento quando il problema è invece urgente, la solitudine e l’apatia che si prova in un centro di accoglienza. Ma ha anche fatto intuire da cosa i funzionari così freddi e anonimi si difendono, la difficoltà del loro lavoro, spesso fatto in modo necessariamente frettoloso e privo di mezzi più efficienti. Si è cercato di offrire le due facce della medaglia, in modo da far comprendere quali sono i meccanismi che loro e noi utilizziamo nei nostri rapporti e nelle nostre azioni.
Lo spettacolo, che è stato il risultato di uno stage di animazione tenuto dal teatro dell’Oppresso ha dato il via agli interventi del pubblico e alla tavola rotonda, creando un clima di partecipazione emotiva che ha attraversato positivamente tutta la giornata.