Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

Chios: le condizioni di un’isola hotspot a 3 anni dall’accordo UE-Turchia

Un report di Alessia Zabatino, volontaria partecipante alla carovana solidale di Stay Human sull’isola greca

L’Accordo Ue-Turchia, firmato nel marzo 2016, ha conferito un ruolo di rilievo alla Turchia nella gestione dei flussi migratori e ha trasformato le cinque isole greche prossime alla costa turca – Chios, Kos, Samos, Lesbos e Leor – in luoghi di confino e di attesa.
Attraverso l’Accordo infatti, a fronte di un finanziamento di 6 miliardi di euro da parte dell’UE, il governo turco si è impegnato a bloccare i flussi migratori che, passando dalla Turchia alla Grecia, tentano di raggiungere diversi paesi europei. Da marzo 2016 la militarizzazione delle coste turche ed elleniche è stata dunque immediata, attraverso un dispiegamento di forze della Guardia Costiera turca con il supporto di Frontex.
Secondo l’Accordo Ue-Turchia coloro i quali riescono comunque ad arrivare irregolarmente nelle isole greche devono presentare domanda di asilo presso gli hotspot delle isole. Le persone che non fanno domanda di asilo e alle quali quest’ultima non viene accolta devono essere riportate in Turchia, riconosciuta come un paese sicuro sebbene non lo sia per quasi la totalità delle persone che vi transitano.
A più di tre anni dalla firma dell’accordo, nonostante il controllo del tratto di mare tra Turchia e Grecia, i tentativi di attraversamento non si arrestano e le isole continuano a registrare numeri elevati di nuovi arrivi.
Secondo Aegean Boat Report, soltanto nelle prime due settimane di agosto la Guardia Costiera e la polizia turca hanno bloccato 217 barche, 1.242 in tutto l’anno.
Nonostante tali blocchi, al 17 agosto 2019, si contano più di 23.000 persone, rifugiati e richiedenti asilo, nelle cinque isole. Secondo Amnesty International non si affrontava un’emergenza umanitaria di tale portata dal 2016 con un conseguente sovraffollamento dei campi profughi. A Lesbo il campo destinato a 3.000 persone ne ospita 7.933; a Kos 1.971 richiedenti asilo vivono in un campo adibito per 816 persone; a Leros 1.253 persone sono ospitate in un campo per 860; il campo profughi di Samos accoglie 3.949 persone a fronte della capienza per 648; Chios ha un campo destinato a 1.014 persone, ma al suo interno nella metà di agosto se ne trovano 2.330.
L’aumento della portata dei flussi è dovuto non solo alle condizioni climatiche che rendono la stagione estiva la migliore per l’attraversamento del confine, ma è dovuto anche ad un aumento dei somali che percorrono la rotta Somalia-Turchia-Grecia, potendo arrivare in Turchia in aereo senza la necessità di alcun visto per poi tentare l’attraversamento via mare per raggiungere la Grecia.

Chios: isola di confino

Arrivo a Chios il 31 luglio con una carovana umanitaria gestita dall’organizzazione di volontariato Stay Human, alla sua terza carovana nell’isola di Chios e alla dodicesima in terra greca dall’inizio dell’emergenza umanitaria nel 2016.
Rimango per due settimane di volontariato ad elevata intensità, non solo per i ritmi di lavoro, ma soprattutto per i contatti umani. L’immersione nella quotidianità dell’isola è immediata e totale attraverso i tre punti nevralgici delle attività della carovana umanitaria: il campo profughi di Vial, il centro per minori non accompagnati e una cucina popolare.

Il campo profughi di Vial è l’unico campo rimasto a Chios dei tre allestiti nel 2016. In seguito a proteste da parte degli abitanti e ad attacchi incendiari da parte di gruppi di estrema destra, è rimasto l’unico campo aperto, isolato, in collina, ad un’ora e 40 di cammino o 20 minuti circa di macchina dal centro del paese più vicino.
Sebbene un numero elevato di abitanti di Chios abbia trovato un impiego legato al flusso migratorio, nell’isola non si respira un clima sereno e accogliente. Ciò si deve in massima parte al calo delle presenze turistiche che gli operatori denunciano dal 2016, anche se i dati mostrano una netta ripresa dall’estate 2018.
La resistenza all’accoglienza da parte di un numero consistente degli abitanti dell’isola ha avuto un impatto anche sulle possibilità educative dei richiedenti asilo in età scolare. Soltanto dallo scorso anno, in seguito ad una raccolta firme degli abitanti più aperti e accoglienti, i ragazzi e le ragazze del centro per minori non accompagnati possono frequentare la scuola insieme ai loro coetanei e alle loro coetanee dell’isola. Ma ciò non è ancora possibile per le minori e i minori che vivono nel campo profughi di Vial.

Le difficili condizioni di vita nel campo profughi di Vial sono state denunciate diverse volte e su diversi media, anche attraverso delle proteste dei richiedenti asilo, ma non accennano a migliorare.
Le persone vengono suddivise nello spazio del campo in base al paese di provenienza, chi si trova in particolari condizioni di vulnerabilità (minori non accompagnati, persone con disabilità o con malattie gravi, donne incinta o con neonati, genitori single con minori, vittime di violenza e tortura, persone con disturbo da stress post-traumatico) ha la possibilità di vivere in appartamenti fuori dal campo profughi, molti dei quali versano in condizioni poco abitabili.
Ogni richiedente asilo, che viva dentro il campo profughi o negli appartamenti, riceve un pocket money giornaliero di 3 euro. All’interno del campo vengono distribuiti 3 pasti al giorno, mentre le persone che vivono negli appartamenti esterni non accedono a tale distribuzione. Gli abitanti del campo lamentano la qualità e la quantità del cibo distribuito, ci sono evidenti segni di malnutrizione e denutrizione sulla pelle di bambini e adulti. Diverse malattie della pelle sono dovute anche alla costante carenza di acqua che rende difficile mantenere condizioni igieniche adeguate.

vial3.jpg

Gli spostamenti da e verso il campo di Vial non sono facili ed economici da quando è stato soppresso il bus pubblico che collegava il campo con il centro di Chios. È dunque usuale vedere almeno due o tre taxi davanti l’ingresso del campo. Il prezzo della corsa è standard: 10 euro per arrivare in centro, 10 euro per tornare, 12 euro se viene richiesta una ricevuta fiscale. A fronte di un pocket money giornaliero di 3 euro e alla possibilità di dividere il costo della corsa in un massimo di 4 persone, è inevitabile che gli spostamenti dal campo vengano limitati al minimo indispensabile. Eppure la libertà di movimento sarebbe di vitale importanza per garantire ai richiedenti asilo migliori condizioni di vita e la possibilità di iniziare un percorso di inclusione sociale. All’interno del campo infatti vengono offerte solo attività per bambini, mentre le attività per adulti, come i corsi di greco e inglese, vengono effettuati in strutture esterne, spesso gestite da volontari, lontane dal campo come l’Athena Center for Women. Il problema dei trasporti rimane dunque cruciale.
La mancanza di attività per adulti all’interno del campo penalizza in particolare le donne che, a prescindere dalla presenza o meno di mezzi di trasporto, sono responsabili della cura dei figli e non possono allontanarsi per tempi lunghi e brevi dal campo profughi.

Il sovraffollamento del campo di Vial non è dovuto solo al numero dei nuovi arrivi, ma anche ai tempi di attesa tra la domanda di asilo e la risposta. Si tratta di tempi lunghi e imprevedibili nonostante il governo greco abbia varato la Legge n. 4375 nell’aprile 2016 per velocizzare i meccanismi di valutazione. Gli avvocati dell’isola che assistono gratuitamente i richiedenti asilo hanno un numero elevato di persone da seguire e questo ha un impatto sui tempi e sugli esiti delle procedure. Alcuni richiedenti asilo decidono dunque di investire ciò che possono e pagare un avvocato che dedichi più tempo e attenzione alla delicata procedura, come un richiedente asilo libanese ormai da tre anni bloccato nell’isola e al suo quinto e ultimo ricorso possibile per ottenere lo status di rifugiato.
Nel periodo di attesa dell’esito della domanda di asilo le persone possono muoversi per la Grecia, ma non possono uscire dalla nazione e non possono svolgere alcuna attività lavorativa, dunque non hanno alcuna possibilità di integrare il pocket money giornaliero. Il campo profughi di Vial, seppur offra pessime condizioni di vita, rimane dunque l’unica possibilità di un rifugio.

Una testimonianza esemplare

Così racconta un giovane richiedente asilo di cui per sua richiesta mantengo l’anonimato:

Vi parlo della mia esperienza in questo campo iniziata dal primo giorno del mio arrivo via mare sull’isola di Chios. Ci ha ricevuto una nave greca e ci hanno trattato bene, ci hanno offerto cibo e vestiti e ci hanno trasferito al campo di Vial con dei bus ufficiali. Al campo hanno rilevato le nostre impronte e hanno dato a tutti noi una borsa con all’interno una coperta e un materasso, e ci hanno lasciato dentro senza appositi posti per dormire. A nessuno importava che fine faremo.
Questo è stato il mio primo shock quando ho visto la quantità di gente dentro il campo e le tende che apparivano ovunque.
Facendo come hanno fatto gli altri, ho trovato un posto libero e sono rimasto lì fino il giorno successivo per andare dopo a condividere una tenda con un mio connazionale.
Da quel momento è cominciata la mia convivenza con il campo perché era l’unico posto disponibile.
Ogni mattina andavo a fare una fila molto lunga per prendere la mia colazione, composta da: un succo e un piccolo pezzo di torta.
Ogni giorno avevamo tre pasti, i fagiolini era un piatto fisso per cinque volte a settimana, il cibo era cotto male. Ho perso tanti chili per questo motivo, sempre soffrivo di giramento di testa per malnutrizione.
Per abitudine andavo a fare la doccia ogni mattina, ma al campo tante volte non c’era l’acqua e arrivava per poche ore, la corrente andava via a mezzanotte e tornava alle 11 di mattina del giorno dopo e poi dalle ore 16 fino le ore 18. A volte restiamo più di due giorni senza doccia.
Le persone hanno malattie della pelle a causa della mancanza di acqua e molti amici di diverse nazionalità sono d’accordo nel dire che vivere nel campo di Vial è una cosa disastrosa. Piangono ricordando le loro vite precedenti prima di dover fuggire.
Un giorno sono andato a chiedere un appuntamento all’ospedale per un urgente problema di salute. Mi hanno dato un appuntamento due mesi dopo
“.

Un’isola di confino dunque, dove la mancanza di attenzione ai bisogni fondamentali e le deprivazioni emergono in modo palese a prima vista, oltre che dai racconti dei richiedenti asilo con i quali la carovana umanitaria è entrata in contatto.

Photo credit: Jenny Zinovia Kali
Photo credit: Jenny Zinovia Kali

L’ecosistema solidale

C’è anche un altro pezzo di Chios che è necessario raccontare: un ecosistema solidale fatto di grandi e piccole organizzazioni, attivisti di Chios e volontari provenienti da ogni parte del mondo.
La carovana umanitaria di Stay Human Odv ne è diventata parte e collabora con molti altri soggetti di questo ecosistema. Vivere ogni giorno con i compagni della carovana e dentro questo ecosistema determina una destabilizzante coesistenza tra l’orrore e il dolore per le condizioni dei richiedenti asilo, la meraviglia per un’umanità accogliente e la speranza nella possibilità di un contagio di solidarietà.
Medici Senza Frontiere, Salvamento Maritimo Humanitario e Sietar Switzerland sono le organizzazioni più grandi che fanno parte di questo ecosistema dall’inizio dell’emergenza umanitaria. Accanto a loro ci sono anche le piccole organizzazioni e le singole persone, con storie e provenienze diverse che disegnano la geografia di un’umanità senza confini.
Tra queste, Chio’s People Kitchen è una cucina popolare fondata da un noto ristoratore di Chios, oggi autogestita interamente da un team di rifugiati che cucinano e distribuiscono pasti alle persone che più ne hanno bisogno, tra le quali i richiedenti asilo che vivono negli appartamenti fuori dal campo di Vial. Nella pagina Facebook della Chio’s People Kitchen si legge: “è un posto per l’empowerment dei rifugiati che fanno volontariato qui ed è anche un esempio positivo per l’intera comunità perché mostra come i rifugiati possano vivere e lavorare accanto ai residenti dell’isola in modo pacifico, armonioso e con successo”.
La famiglia Hoff non vive a Chios, ma arriva dalla Norvegia in furgone circa tre volte all’anno per distribuire tende, asciugamani, lampade solari e tutto ciò di cui le persone hanno bisogno dentro e fuori il campo. Hanno fondato una piccola ONG, One family no borders, per gestire le donazioni che hanno iniziato a raccogliere in quantità sufficiente da permettere delle distribuzioni costanti e importanti per la vita del campo. “Mama e Baba” così vengono chiamati dai rifugiati e dai richiedenti asilo. Il pomeriggio, nel piazzale antistante il cancello del campo profughi di Vial, con uno stereo e un’allegria contagiosa, danno il via alle danze per i più piccoli. In tutte le loro attività sono supportati da un gruppo di giovani richiedenti asilo che vivono nel campo di Vial e che la famiglia Hoff chiama i loro “volontari”.

Bev Waise è una donna americana in pensione, attivista per i diritti umani nelle aree di frontiera tra Messico e Stati Uniti e nelle isole greche. Nei luoghi di confine e di confino per i migranti, Bev organizza corsi di inglese per le donne in modo da sopperire alla mancanza di attività ad esse rivolte. All’esterno del campo profughi di Vial, su un telo bianco, ogni pomeriggio sotto gli alberi di ulivi, circa 20 donne di provenienza differenti si sono aggregate e si sono concesse del tempo per loro. Dopo la partenza di Bev alla volta di Samos, il corso d’inglese viene portato avanti dalle volontarie della carovana umanitaria di Stay Human odv. Jenny Zinovia Kali, una insegnante dell’isola, è rimasta una delle poche attiviste locali nonostante abbia avuto dei problemi con alcuni genitori di suoi alunni poco contenti dei suoi contatti con i richiedenti asilo. All’inizio dell’emergenza umanitaria nel 2016 erano un centinaio gli attivisti dell’isola, mi racconta, adesso la gente si è stancata. Jenny è un punto di riferimento fondamentale per tutti i volontari che arrivano nell’isola e collabora attivamente con tutte le parti che compongono l’ecosistema solidale, regala il suo tempo, le sue energie e tutto ciò che può servire.
Quattro storie, alle quali potrebbero aggiungersene molte altre, per raccontare anche un altro volto dell’isola di Chios.

In estate l’arrivo della carovana umanitaria di Stay Human odv e di molti altri volontari da ogni parte del mondo regala linfa vitale, braccia ed energia all’ecosistema solidale, ma non basta sebbene faccia moltissimo.
Ho sentito tanti volontari scusarsi con i richiedenti asilo a nome di un’Europa di cui sentiamo di far parte, ma che non ci rappresenta in questo modo cieco e feroce di trattare chi varca i nostri confini. Mi sono scusata anche io, tante volte, sentendola come una cosa forse ridicola, ma necessaria.

Le condizioni di vita nel campo, i tempi delle procedure per la valutazione della richiesta di asilo, le attività per le persone bloccate nell’isola non possono essere affrontate e risolte solo dalle organizzazioni e dai volontari. Sono questioni politiche perché la politica dovrebbe occuparsi del rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, sono questioni urgenti date le circostanze e il numero dei nuovi arrivi. Sono questioni che andrebbero affrontate mettendo in discussione accordi come quello UE-Turchia che toglie la libertà di movimento e di futuro a migliaia di persone.

vial1.jpg