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da PeaceReporter.it

Chiusa in chiesa

Negli Usa la lotta di una messicana contro l'espulsione riapre il dibattito sull'immigrazione.

Per alcuni è una criminale che ha violato più volte la legge. Per altri, è una paladina del diritto all’immigrazione, e un simbolo dell’inefficienza della E per sfuggire all’ordine di deportazione, si è rifugiata in una chiesa, come facevano i richiedenti asilo centroamericani negli anni Ottanta. Così Elvira Arellano, messicana di 31 anni, è diventata il nuovo fronte del dibattito sull’immigrazione ispanica negli Stati Uniti.

Il rifugio. Dal 15 agosto, la donna è ospite di una chiesa metodista di Humboldt Park a Chicago, un quartiere a larga prevalenza messicana e portoricana. Ha con sé il figlio Saul, 7 anni, cittadino statunitense perché nato negli Usa. Ma lei, arrivata negli Stati Uniti nel 1997 passando illegalmente il confine (dopo esser stata ricacciata indietro qualche giorno prima), rimane tuttora una clandestina. Nel 2002, quando puliva le cabine degli aerei all’aeroporto di Chicago, un raid anti-immigrazione la portò allo scoperto. E’ stata condannata per aver lavorato con un falso numero della Social Security, e per questo – oltre ad aver perso ogni speranza di cittadinanza – avrebbe dovuto presentarsi all’Ufficio immigrazione del dipartimento per la Sicurezza Interna. Per essere espulsa. Lei non lo ha fatto, e automaticamente è diventata una fuggitiva, come altri 600mila immigrati nella sua stessa situazione. Ma ha sfidato il sistema rifugiandosi nella chiesa.

La causa. Intorno al luogo di culto, in queste due settimane si sono tenute veglie e manifestazioni a suo sostegno. Già presidente della United Latino Family, un’associazione che difende il diritto al ricongiungimento familiare degli immigrati illegali, la Arellano è stata “adottata” da vari gruppi ispanici e pro-immigrati. Lei stessa si divide tra toni militanti (“Non parlo solo per me, ma per milioni di famiglie come la mia”) e dichiarazioni più miti (“Non sono una terrorista, né una criminale. Sono una mamma single, e lui è mio figlio”). Non vuole tornare in Messico, dice, perché è giusto che suo figlio abbia la possibilità di rimanere nel paese di cui è cittadino. Negli Usa, oltre 3 milioni di bambini sono nella stessa condizione di Saul.

Irruzione possibile. Il fatto di essersi rifugiata in una chiesa non la mette al riparo dalla legge, e la polizia ha lo stesso potere di arrestarla lì come lo avrebbe se fosse per strada. Lei comunque sfida le autorità: “Se la Sicurezza Interna deciderà di inviare i suoi agenti in un luogo sacro, saprò che Dio vorrà che io, con il mio esempio, mostri l’odio e l’ipocrisia dell’attuale amministrazione”, ha detto, aggiungendo di avere con sé una telecamera per filmare il momento del suo arresto. L’Ufficio immigrazione ha però ammesso che non ha intenzione di fare irruzione nella chiesa, per non fare della Arellano una martire.

Il dilemma di una nazione. Quindi, lo stallo continua, e probabilmente finirà con un’espulsione forzata quando sulla storia si saranno spenti i riflettori. Ma intanto, così come molti hanno abbracciato la sua causa, la Arellano si è anche attirata una massa di critiche. Inevitabilmente, in gran parte dall’America bianca. Chicago è divisa: il sindaco democratico Daley difende la donna (“Bisogna capire la sua storia, non è solo un numero”), mentre il quotidiano Chicago Tribune ha preso posizione contro di lei. Sui blog è muro contro muro: c’è chi la invita a tornare in Messico con il figlio, e chi ricorda che gli Usa sono un paese di immigrati. Chi sarebbe disposto a farla restare, ma facendole pagare le tasse e restituire i sussidi di cui ha goduto finora, e chi vorrebbe ricacciare tutti i messicani oltreconfine. Comunque andrà a finire, la Arellano riassume su di sé tutte le divisioni sulle politiche di immigrazione negli Usa, il dilemma ancora irrisolto da Washington: se bisogna privilegiare i valori familiari, o il rispetto delle regole. Con una popolazione ispanica in forte crescita, il volto futuro degli Stati Uniti dipenderà anche da questa scelta.

di Alessandro Ursic