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Ci vediamo alle Canarie!

Xavier Aldekoa, La Vanguardia - 2 dicembre 2020

Spiaggia di Kayar - Photo credit: XAVIER ALDEKOA

traduzione di Giulia Brugnetti

Senegal – Scorci di Kayar, villaggio di pescatori a nord di Dakar, uno dei punti di partenza per la rotta delle Canarie.

Se osservassimo Kayar dall’alto, vedremmo mille sfumature di colore puntate sul mare. E non è un buon segno. In questo villaggio di pescatori di 28000 abitanti a nord di Dakar sono quasi le undici e sulla spiaggia, una lingua di sabbia bianca che si perde all’orizzonte, sonnecchiano più di 1300 barche con la prua rivolta verso l’oceano. C’è qualcosa che non va. Il quarantaduenne Abdou Fall, pescatore da sempre, è fuori di sé. «Stamattina siamo stati in mare con 800 barche e siamo tornati con una manciata di pesci. Una miseria! Tra il vento e i pescherecci stranieri che ci rubano il pesce siamo esasperati». A riva, una ventina di ragazzi tira una corda legata a una grossa imbarcazione per capovolgerla. Abdou si avvicina deciso. «Ecco, ascolta un po’», mi dice. Poi si rivolge a loro e chiede, indicandomi: «Sapete da dove viene? Dalla Spagna!». Ed ecco che si scatena il caos. «Io ci vado per primo!», dice un ragazzo con la maglietta marrone con il logo della Nike sul petto. «E io per secondo!», parte un altro. «Io sarò il terzo», urlano due ragazzi contemporaneamente. Si mettono a saltare tutti insieme, lanciando grida festose e alzando le braccia verso il cielo. Tornata la calma, Ibrahima Diallo, un ragazzo con un berretto di lana rosso e nero, si stacca dal gruppo, mi prende in disparte, si presenta e mi dice, con tono più serio: «Sarò io il primo, stanne certo, le cose qui in Senegal non vanno bene. Ci vediamo alle Canarie! Vero che quando arrivo ti chiamo e mi dai una mano?».

L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha registrato 511 decessi dall’inizio dell’anno, ma con ogni probabilità il numero reale è ben più elevato: a causa del vento e delle correnti, il tasso di mortalità sulla rotta delle Canarie è sei volte maggiore rispetto a quella del Mediterraneo. «Lo so, è rischioso», ammette Ibrahima, «ma qui non c’è niente».

«Stamattina con 800 barche abbiamo catturato una manciata di pesci; i pescherecci stranieri ce li rubano»

Nell’Africa orientale ci sono decine di punti di partenza per le Canarie e Kayar è uno di questi. Lungo tutta la costa africana migliaia di giovani sognano di unirsi ai quasi 20000 africani, partiti per la maggior parte da Senegal, Mauritania, Sahara Occidentale e Marocco, approdati quest’anno sulle coste dell’arcipelago spagnolo. Questa cifra, record storico per la regione, conferma la crisi migratoria in corso, dovuta in larga misura al devastante impatto della pandemia e al saccheggio delle risorse ittiche della zona da parte dei grandi pescherecci cinesi, turchi, coreani ed europei. Secondo il senegalese Abdoulaye Ndiaye, responsabile della campagna Oceani di Greenpeace, alla pesca intensiva di circa 200 navi battenti diverse bandiere internazionali e alle decine di pescherecci “senegalizzati” (ovvero stranieri ma autorizzati a operare come se fossero locali), si devono aggiungere anche i nuovi stabilimenti di produzione di farina e olio di pesce. «Negli ultimi dieci anni sono stati aperti 50 stabilimenti, che vanno a impoverire ulteriormente il litorale. Per di più esportano pesce e prodotti in Asia o in Europa come mangime per l’itticoltura, per il bestiame e persino per gli animali da compagnia o i pesci d’acquario».

(La Vanguardia Digital)
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Alle Canarie le cifre degli sbarchi a cui abbiamo assistito quest’estate hanno distrutto equilibri già instabili a una delle frontiere con i maggiori tassi di disuguaglianza su scala globale. Mentre nel gennaio 2019 in media due migranti al giorno raggiungevano l’arcipelago dall’Africa orientale, nei primi quindici giorni di questo mese il dato quotidiano è salito a 360 persone. Txema Santana, originario dell’arcipelago e membro della Commissione Spagnola di aiuto al Rifugiato (CEAR), pensa che la situazione attuale sia dovuta alla pandemia. «Dal settembre 2019 ad agosto abbiamo riscontrato un aumento degli sbarchi di sfollati per ragioni economiche o per i conflitti del Sahel; da quest’estate è cresciuto il numero di persone, soprattutto provenienti dal Marocco, colpite dall’impatto economico del coronavirus, dalla chiusura delle frontiere e dal crollo del turismo». La rotta delle Canarie è tornata in auge anche per un effetto domino. All’aumento dei controlli sulla rotta del Mediterraneo centrale, ai pericoli del deserto e alla crudeltà delle mafie libiche si è aggiunta la chiusura della frontiera del Marocco con la Spagna, che ha mandato alle stelle i prezzi delle traversate clandestine: ora attraversare lo Stretto di Gibilterra costa anche 3000 euro. Per molti l’unica alternativa è volgere lo sguardo verso le Canarie.

Quasi 20000 africani sono sbarcati alle Canarie quest’anno, spinti dalla mancanza di opportunità

Nel suo studio del consiglio locale di pesca artigianale di Kayar, un edificio color crema dove la sabbia si infiltra per i corridoi, il coordinatore Mor Mbengue ci racconta di migliaia di famiglie, prive di qualsivoglia rete di sostegno, spinte nel precipizio. Nonostante i dati ufficiali del Senegal parlino di 16000 contagi e di soli 333 decessi dall’inizio della pandemia, il blocco degli scambi nel corso del confinamento è pesato come una condanna sul Paese. «Il divieto agli spostamenti ha interrotto la vendita di pesce e altri alimenti e ovviamente questo ha portato molte persone a migrare». Secondo i dati in suo possesso, almeno 200 abitanti di Kayar hanno raggiunto le Canarie quest’anno, ma dato l’aumento dei pattugliamenti, in molti preferiscono partire da altre spiagge, come quelle di Mbour e Saint-Louis, ancora più estese e difficili da sorvegliare. Secondo Mbengue, l’ondata migratoria si protrarrà per molto tempo. «Qui non troverete un solo pescatore che non pensi ad andarsene», avverte.

(La Vanguardia Digital)
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Anche i dossier economici di alcune organizzazioni internazionali segnalano l’aumento della disuguaglianza. La settimana scorsa uno studio dell’Unicef riportava come 50 milioni di africani vivranno in condizioni di povertà estrema per la recessione economica del continente scatenata dalla pandemia. Inoltre, la crisi economica in Europa provocata dal virus ha messo fine anche a buona parte degli invii di denaro dall’estero, rete di salvezza per la regione; infatti, secondo la Banca Mondiale, le rimesse verso l’Africa sono diminuite del 21% dall’inizio della pandemia.

Lo zio di un naufrago dice che molti giovani se ne vogliono andare per disperazione

Per chi è tornato non è facile convincere gli amici a non tentare la traversata. Khoy Lo, arrivato in Spagna nel 2006 durante la cosiddetta “crisis de los cayucos” (con “cayuco” si intende la tipica imbarcazione senegalese simile a una canoa, N.d.T.), nel 2014 è tornato in patria con un amaro ricordo. «Non ci rimetterei mai più piede su un barcone, ma manco per sogno, è pericolosissimo», racconta in uno spagnolo dall’accento sivigliano. «Ricordo di aver pensato che ci sarei morto lì sopra». Ma il suo messaggio non fa presa tra i pescatori più giovani di Kayar. «Dico loro che non ne vale la pena, ma non vogliono ascoltarmi. A dire il vero, ultimamente mi fanno ancora più domande. Sono in molti a sognare di partire».

(La Vanguardia Digital)
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In fondo alla spiaggia, accanto allo stabilimento artigianale di produzione di imbarcazioni, Abdu Koly è seduto sul bordo di una barca che guarda verso il mare; è tra i pochi al villaggio a indossare la mascherina. Dice che, avendo sessant’anni, deve stare attento. Mi parla con tono tranquillo, ma subito dopo affiora la tristezza. L’anno scorso suo nipote Bubackar Dio è annegato durante la traversata. «Sapevo che voleva andare in Spagna, avevo insistito perché non partisse, gli avevo detto che non era una buona idea, ma non mi ha dato retta». Secondo Koly, non è che i giovani se ne vogliano andare per il Covid, il motivo che li muove è la disperazione. «Eravamo in crisi già prima, il problema più grave è che i giovani hanno perso la speranza ed è questa la ragione di tutto. Perdere la speranza è peggio che morire».
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