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Ciechi per scelta

di Andrea Panico

di Andrea Panico

Aeroporto di Kos. Lascio Kos.
Quello che ero è già andato via da tempo, insieme alle promesse mai mantenute e alle giacche e alle cravatte dello studio legale di Via Piave n. 8.
Non ho nascosto nulla in un cofanetto di un armadio, stavolta i resti maciullati di quella vita di secoli fa sono in fondo al mare. Coordinate precise, profondità.
Ricordo tutto.
Dove come e perché.
La quotidiana strage di diritti a cui ho assistito e il fumo denso della plastica, che a Idomeni bruciava a qualunque ora del giorno e della notte, devono avere ostruito qualche valvola cardiaca. Perché da quel caos sussurrato in sette lingue differenti nel fango della tendopoli qualcosa uscendo ha aggredito il mio sistema immunitario, fortificato l’anima e rigettato ogni idea di compromesso con la storia.
Che non avvenga in mio nome, né nel nome di coloro che amo: le vostre politiche restrittive, la vostra applicazione pratica di idee di sicurezza e di caccia allo straniero, la vostra follia contenuta in accordi di dolore e morte.
Questa è roba vostra e delle vostre commissioni e sottocommissioni parlamentari.
A noi "solo" la colpa di avere permesso che tutto ciò potesse accadere lasciandovi banchettare sulle carcasse dei siriani.
E degli afgani.
E degli iracheni.
E dei pakistani.

Angelo Aprile, campo di Idomeni

Stamattina nella warehouse Solidarity, Kiki, nel mostrarmi le foto della mattanza nell’Egeo, aveva le mani che le tremavano e le lacrime agli occhi.
Mi sono visto catturato dal colore della sua pelle diventata scura sotto i raggi del sole nei devastanti giorni di "raccolta".
L’ho immaginata stringere al petto i corpi inanimati di ogni singolo componente di ogni singola famiglia che i nostri governi hanno condannato a morte.
Ho dato una forma alla sua disperazione, disegnando nella mia testa le sue lacrime di madre per la perdita di figli non suoi.
La rabbia, la frustrazione.
Il terrore intimo di ogni donna e uomo che ho incontrato che tutto ciò resti solo una goccia nell’oceano. Di non avere fatto abbastanza.

E ieri, anche per Murtaza è stata eseguita la sentenza di condanna a morte.
Le forze di polizia turca, in complicità con l’Unione europea, l’hanno fatto salire su un aereo come fosse un pacco da rispedire al mittente perché difettoso.
Botte e calci e tanti saluti a tutta la famiglia e non farti vedere mai più.
Murtaza è un afgano Hazara; e con gli Hazara i Talebani prima abusano del corpo e poi si prendono lo scalpo.
Murtaza morirà, è un dato di fatto.

Angelo Aprile, campo di Idomeni

Nel hangar dell’aeroporto, intanto, vite anonime rotolano tra panini farciti e acquisti sproporzionati di alcool, profumi e sigarette.
Duty free! Eliminiamo le tasse, abbiamo inventato la libertà di movimento per animali e merci e, tuttavia, persistiamo nell’esigere la vita da chi la vita la anela.

Mio dio. Cosa siamo.
Che cosa siamo diventati.
E l’assenza di punti interrogativi nelle precedenti due proposizioni e’ dovuta al fatto che nessuno di noi ha più il diritto di porsi domande. I dati e le statistiche, sono le risposte.
Ciechi per scelta. Tutti noi. Ngo, nazioni unite, paesi e popolazioni.
Un giorno di queste mani sporche di sangue scuro, di quello arterioso che nel macchiare non vien più via, dovremo dare conto ai nostri figli.
Quando, seduti intorno a un tavolo, con i libri di storia tra le mani, chiederanno il perché delle migliaia di vite sterminate.
Pretenderanno spiegazioni per questa nostra scelta di guardare le cose da lontano lasciando che gli eventi si susseguano. Come davanti uno schermo con pop corn e coca cola si osserva annoiati un film muto, concentrandosi più sul cibo che sulla trama, sperando che la pellicola termini il prima possibile.

Vedi anche

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  • Persone oltre i confini. Le rivendicazioni di Idomeni all’interno della Fortezza Europa
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  • Lo spettro di Idomeni
  • Racconti di uno sgombero: quello che ho vissuto dentro il campo di Idomeni
  • Kos. Di ritorno dall’isola del Diritto che non c’è
[ 23 maggio 2016 ]
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Angelo Aprile, campo di Idomeni

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