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Ciglana e “the jungles”

Intervista a David Varga, ONG Eastern European Outreach

Ciglana, un’ex fabbrica di mattoni, è uno dei luoghi nella rotta balcanica dei migranti. Si trova sulla strada che porta alla frontiera con l’Ungheria, poco fuori dal centro abitato di Subotica, la città più grande che si incontra prima di arrivare al confine.
Luogo dimenticato da tutti, sia dal governo serbo che dalle autorità locali, dal mese di novembre il numero di siriani, afghani e pakistani, che transitano in questa grande area fatiscente, è aumentato di giorno in giorno.

Ce lo racconta David Varga, membro della ONG Eastern European Outreach.

Lui e suo padre offrono il loro sostegno ai migranti in transito nell’ex fabbrica. Portano generi di prima necessità (cibo, prodotti per l’igiene personale, acqua, pane), dipende anche da quello che hanno a disposizione, dalle donazioni che ricevono.
Qui i migranti si fermano solo uno o due giorni per poi tentare di passare il confine.
Il complesso è molto grande. Allontanandosi di qualche centinaia di metri dalle edifici della fabbrica, in mezzo ai campi, ci sono quelle che vengono chiamate “the jungles”: tende, teli tirati, giacigli di fortuna, oggetti personali, tavoli e cucine improvvisati.

Le condizioni di vita all’interno dell’area sono estreme. Non c’è acqua potabile, né luce, né cibo. Durante la nostra visita contiamo sei bagni chimici e una doccia che si trova dall’altra parte della strada.
“A Ciglana arrivano assetati, affamati e hanno bisogno di tutto”, spiega David, “non hanno niente da mangiare e spesso non hanno soldi per continuare il viaggio”. “Le uniche associazioni che intervengono sono la Croce Rossa e Medici senza frontiere“.
A David chiediamo anche di spiegarci come viene utilizzato il “reception center” di Kanjiza. “E’ un centro organizzato, l’amministrazione fornisce acqua, servizi, presidio medico e trasporti fino alla frontiera”. Non c’è nessun tipo di registrazione per chi passa da Kanjiza, solo un foglio di carta su cui i migranti scrivono nome, cognome e luogo di provenienza.

Due o tre volte alla settimana David e suo padre vanno anche alla frontiera a dare un minimo di supporto alle migliaia di persone che camminano sui binari per arrivare in Ungheria. “Il reticolato è quasi completato, è veramente difficile oltrepassarlo ma lungo i binari non c’è la barriera per questo tantissimi passano da li” – racconta David – “ci sono controlli di polizia durante i quali vengono rilevate le impronte digitali. In tanti, per non farsi prendere le impronte cercano di tagliare il reticolato o passarlo comunque in qualche modo”.

E’ un luogo abbandonato da tutti, Eastern European Outreach, da tempo chiede che il governo locale intervenga ma nulla finora è stato fatto.
Nei giorni scorsi le autorità locali e del governo centrale hanno dichiarato che sono previste azioni per migliorare le condizioni. “Vedremo che cosa faranno”, continua David, “sono quattro anni che lo chiediamo”.

Subotica (SRB), 29 agosto 2015

Vedi anche le altre tappe del viaggio:
Sui binari, alla barriera di filo spinato sul confine serbo-ungherese
In transito. Racconto e fotografie dai campi rifugiati a Subotica e a Kanjiža in Serbia /confine con l’Ungheria

Links utili:
noborderserbia.wordpress.com

Redazione

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