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Cina: appartenenza ad una house church e riconoscimento dello status di rifugiata

Tribunale di Bologna, decreto del 18 gennaio 2020

Con decreto del 18 gennaio 2020 il Tribunale di Bologna ha riconosciuto lo status di rifugiata ad una richiedente cinese scappata dal paese d’origine per timore di essere perseguitata a causa del suo credo religioso ossia l’appartenenza ad una house church.
La giovane ragazza ha raccontato di essere entrata, seguendo l’esempio della madre, a far parte di una house church legata al movimento dei Sola fede, gruppo cristiano protestante non registrato in Cina e pertanto illegale. Ha narrato di essersi battezzata, insieme al fidanzato, di essersi dedicata allo studio del cristianesimo e al proselitismo. Ha infine raccontato di aver saputo, tramite la madre, di essere stata denunciata dai genitori del fidanzato per via delle sue credenze religiose e di temere pertanto, di essere arrestata dalle autorità cinesi.
La Commissione Territoriale di Bologna aveva rigettato la domanda di protezione internazionale della richiedente affermando che le sue dichiarazioni sono apparse vaghe, generiche, e non in linea con i parametri forniti dall’art. 3 comma 5 D.Lgs. n. 251/2007 in quanto la stessa “non ha fornito dichiarazioni ed elementi che caratterizzano un alto profilo religioso, dato che non avrebbe mai avuto particolari mansioni o ruoli all’interno della sua house church; – ha dichiarato di avere fatto parte di un gruppo molto piccolo che, alla luce della documentazione consultata e citata, difficilmente viene preso di mira dalle autorità cinesi; – non ha chiarito le circostanze dell’uscita dal Paese, dal rilascio del passaporto quando avrebbe avuto a suo carico una denuncia, fino al superamento dei controlli di frontiera. Come riferito dalle COI consultate, i controlli di frontiera e il rilascio del passaporto sono momenti in cui le autorità cinesi eseguono controlli molto severi; – non ha chiarito quale sarebbe il timore in caso di rientro non riferendo elementi precisi e coerenti in merito alla denuncia né in merito alla posizione dei genitori del fidanzato”.

Il Tribunale emiliano con il decreto del 18.01.2020 ha affermato: “Orbene da quanto premesso emerge che l’appartenenza ad un culto non registrato costituisce fonte di pericolo per i credenti. Questi sono esposti a minacce di imprigionamento e di violenza fisica. Quanto alla particolare situazione della ricorrente, si osserva che […] ha reso un racconto dettagliato della propria esperienza religiosa e delle vicende che l’hanno portata a lasciare il proprio Paese. […]
Il racconto reso soddisfa i criteri della attendibilità intrinseca ed estrinseca- mediante, cioè, il riscontro nelle COI -, che sono richiesti dall’art.3 co.5 d.lgs. 251/07 per poter esprimere un giudizio di credibilità della ricorrente. Non è elemento idoneo a smentire la credibilità della ricorrente il fatto che la stessa sia riuscita ad ottenere un passaporto per poter fuggire dalla Cina. Ed infatti tale circostanza ben si può giustificare se si considera che, secondo quanto dalla ricorrente narrato, ella non ha, mentre era in Cina, subito arresti in ragione del proprio credo. […] Da quanto dalla ricorrente dichiarato e dalle verifiche circa il trattamento delle House Churches in Cina, sopra riportato, si deve inferire che la ricorrente, tornando nel proprio Paese, verosimilmente sarà esposta al rischio di subire limitazioni nell’esercizio della propria libertà religiosa ed addirittura di essere arrestata, a causa dei controlli che vengono praticati – seppure con diffusione ed intensità varia a seconda dei gruppi religiosi-nei confronti degli appartenenti alle house churches. Il rischio si spinge sino a quello di essere imprigionata perché appartenente ad un gruppo religioso non riconosciuto. Tanto trova conferma nel fatto che, secondo quanto dalla ricorrente riferito in modo coerente sia in udienza che innanzi alla Commissione, la madre stessa anni orsono è stata tratta in arresto proprio per le sue convinzioni religiose. Tra l’altro, il dato dell’arresto della madre, che a quanto risulta non ricopriva un ruolo di rilievo nella house church di appartenenza, smentisce la tesi sostenuta nel provvedimento impugnato, per la quale solo gli esponenti rilevanti dei gruppi religiosi clandestini sarebbero esposti al rischio di persecuzione. Sussiste, quindi, per la ricorrente il rischio di essere esposta ad atti di violenza che limitino i propri diritti fondamentali, in caso di rientro in Cina. Tanto comporta la necessità di riconoscere alla ricorrente lo status di rifugiato
”.

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Tribunale di Bologna, decreto del 18 gennaio 2020