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Cittadinanza – Il problema della continuità di iscrizione anagrafica

a cura dell'Avv. Marco Paggi

I Tar Lombardia, sezione 1a di Brescia, con la sentenza numero 1637 del 14 novembre 2008 è intervenuto in un caso di diniego di cittadinanza richiesta per naturalizzazione. Nel caso specifico si trattava di una persona che aveva richiesto, come tantissimi altri, la naturalizzazione in base a quanto previsto del art. 9 della legge n. 91 del 1992, che regola l’acquisto di cittadinanza per naturalizzazione. La richiesta era arrivata dopo i prescritti 10 anni di regolare soggiorno. Nel caso specifico questa persona aveva maturato 10 anni di regolare soggiorno in Italia e naturalmente poteva vantare una condotta specchiata ed anche un reddito consolidato superiore ai minimi previsti. Nonostante questo la domanda è stata rifiutata in quanto l’interessato non poteva vantare anche una continuità di residenza anagrafica.
L’interessato infatti era stato effettivamente regolarmente soggiornante per almeno 10 anni ma non aveva alle sue spalle anche 10 anni di continua residenza, ovvero di continuità di iscrizione all’anagrafe di uno o più comuni, in successione tra loro, nel territorio italiano. Questo perché era intervenuto un provvedimento di cancellazione d’ufficio dall’anagrafe della popolazione residente, dal momento che l’interessato non aveva presentato, entro 60 giorni della scadenza del permesso di soggiorno, come prescritto dal DPR 223 del 1989 all’art 7, comma 3. Non aveva presentato entro 60 giorno della scadenza del permesso di soggiorno la dichiarazione di conferma della dimora abituale nello stesso indirizzo ove abitava, il competente ufficio anagrafe, aveva disposto la sua cancellazione d’ufficio. L’interessato aveva ottenuto nuovamente l’iscrizione anagrafica, dimostrando che nel frattempo aveva ottenuto il rinnovo del permesso di soggiorno.

Questo episodio, che non avrebbe dovuto avere agli occhi dell’interessato alcun peso, trattandosi di una semplice noia burocratica, ha prodotto invece i suoi effetti negativi nel momento in cui lo steso soggetto ha richiesto la naturalizzazione, ovvero la concessione della cittadinanza italiana in virtù dei 10 anni di regolare soggiorno e di residenza. Vi era infatti stata una interruzione nella continuità di residenza e, secondo l’interpretazione dell’amministrazione, una volta che l’iscrizione anagrafica viene cancellata, il decorso dei 10 anni riprende ad essere computato da zero, senza che quindi si possano sommare eventuali periodi, anche se non continui tra loro, di residenza maturata in Italia.
Ben inteso, tutto ciò sempre a fronte di un regolare soggiorno, in questo caso costituito dal permesso di soggiorno Ce di lungo periodo.

Questa interpretazione della pubblica amministrazione è stata confermata anche dal Tar Lombardia, sulla scorta di una consolidata giurisprudenza richiamata per l’appunto in questa sentenza.
Da anni infatti, da quando sono in vigore la legge 91 del 92 ed il DPR 223 del 1989 in materia di iscrizione anagrafica, si ritiene che, per poter ammettere la domanda di naturalizzazione, servano 10 anni di regolare soggiorno, ma anche 10 anni di regolare ed ininterrotta iscrizione anagrafica presso uno o più comuni dello stato italiano. Ecco che in questo caso è stata confermata la legittimità del diniego e quindi è stato respinto il ricorso dell’interessato che tentava di ottenere la cittadinanza italiana. Naturalmente l’interessato potrà ripresentare la domanda dopo un anno dalla comunicazione del rifiuto.

Non sappiamo se questo caso, portato all’attenzione del Tar Brescia, rientri nella più ampia e numerosissima casistica di soggetti che sono stati arbitrariamente cancellati dall’iscrizione anagrafica semplicemente perché non erano riusciti, pur avendo richiesto nei termini previsti dalla legge il rinnovo del permesso di soggiorno, ad ottenerlo entro un anno dalla scadenza del precedente.
La cancellazione avviene se entro un anno non interviene la dichiarazione di rinnovo della dimora abituale.

Perché in molti casi vengono a mancare i requisiti per la cittadinanza?
Semplicemente perché nella maggior parte delle questure in Italia, o quanto meno, in tutte le questure delle province in cui vi è maggiore affollamento o presenza di immigrati, i tempi di attesa per il rinnovo di permesso di soggiorno sono lunghissimi, spesso vanno ben oltre un anno di attesa. Questo fa sì che l’interessato sia costretto, contro la sua volontà e pur avendo presentato tempestivamente la domanda con tutta la prescritta documentazione, a soggiornare sul territorio italiano, con tutte le difficoltà che ciò comporta, in possesso di una semplice ricevuta che attesta l’avvenuto inoltro della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, attendendo la convocazione presso la questura per il perfezionamento della pratica ed il rilascio effettivo del titolo di soggiorno.
Negli anni passati, prima che intervenissero le interpretazioni e le direttive del Ministero dell’Interno che hanno precisato che lo straniero in possesso di ricevuta è comunque regolarmente soggiornante a tutti gli effetti, succedeva, in moltissimi comuni d’Italia, pensiamo ad un comune piccolino come quello di Milano per esempio, che in automatico, si cancellavano d’ufficio tutte le persone che non avevano presentato nei termini previsti la dichiarazione di conferma della dimora abituale, pur essendo evidente che queste persone non potevano presentare la conferma di dimora abituale non per loro colpa ma semplicemente perché costretti a subire dei tempi di attesa ben oltre i termini previsti dal regolamento anagrafico. Così venivano cancellati d’ufficio senza tener conto del fatto che tutto il possibile umanamente e legalmente era stato fatto per chiedere nei termini il rinnovo del permesso di soggiorno.
Queste prassi burocratiche, successivamente superate in base ad indicazioni del Ministero dell’Interno del passato governo, continuano a produrre però degli effetti perversi perché ancora tante persone, che in passato sono state cancellate arbitrariamente dall’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente, ora, nel momento in cui intendono avvalersi del diritto di chiedere la cittadinanza italiana per naturalizzazione, possiedono sì i 10 anni di soggiorno, ma non i 10 anni di continua e ininterrotta iscrizione anagrafica.
Anche questa prassi, che per altro non ha visto dei rimedi disposti dal Ministero dell’Interno, sta producendo e produrrà ancora per molti anni effetti negativi.
E’ chiaro quindi che, se da un lato si parla di necessità di affrontare seriamente il problema dell’integrazione alla cittadinanza nei discorsi ufficiali, dall’altro, nella prassi, abbiamo invece una direzione esattamente contraria – quella di ostacolare in tutti i modi (e non di fronte a persone ritenute pericolose o sospettate di essere tali, ma soprattutto quando si tratta di persone che hanno vissuto, lavorato onestamente, prodotto ricchezza in questo paese) la concessione della cittadinanza italiana.
Consideriamo che i dati forniti dal Ministero dell’Interno circa le concessioni di cittadinanza indicano una crescita del numero di concessioni della cittadinanza italiana. Secondo il Ministero dell’Interno le concessioni di cittadinanza italiana sarebbero state 19.226 nel 2005, 35.766 nel 2006, 38.466 nel 2007 e 32.238 al 31 ottobre di quest’anno.
Si sottolinea una tendenziale crescita del numero dei nuovi cittadini, si omette però di interpretare questo dato alla luce dei suoi componenti.
Il Ministero dell’Interno non ci dice quanti di questi nuovi cittadini sono divenuti tali perché titolari di un vero e proprio diritto all’acquisto della cittadinanza, pensiamo per esempio a coloro che sono nati in Italia e che al compimento di 18 anni, secondo la legge, hanno il diritto di acquisire la cittadinanza italiana, o quanti hanno diritto di acquisire la cittadinanza italiana per matrimonio con cittadino o cittadina italiana. Il Ministero dell’Interno non ci mette nella condizione di capire poi l’andamento delle domande di naturalizzazione, ovvero di quelle domande di concessione della cittadinanza italiana che trovano una risposta positiva all’insegna della pressoché piena discrezionalità. Non sappiamo quindi qual’è il rapporto tra il numero di nuovi cittadini che sono divenuti tali in base ad un vero e proprio diritto soggettivo regolato dalla legge e qual’è invece all’interno di questo numero complessivo la componente di cittadini che sono divenuti tali in base ad un provvedimento di concessione discrezionale da parte del Governo italiano. Men che meno sappiamo qual’è la provenienza dei nuovi cittadini beneficiari della naturalizzazione. In altre parole non siamo in grado e non siamo messi in condizione di capire se presso il Ministero dell’Interno vi è un orientamento di concedere più facilmente la cittadinanza a cittadini provenienti da determinati paesi piuttosto che ad altri.

Il percorso verso “l’integrazione” fa i conti ancora con moltissimi problemi legati all’amministrazione.