Il diritto di famiglia dell’ordinamento italiano, a partire dalla storica riforma del 1975 (L. 19 maggio 1975, n. 151), riconosce sotto tutti i profili parità di diritti ai figli naturali rispetto ai figli legittimi: ne discende che sia che una persona nasca da un’unione extramatrimoniale che matrimoniale, sia che nasca prima o successivamente al matrimonio, non vi è alcuna differenza per la legge sotto nessun profilo, né dal punto di vista ereditario (si veda l’art.537 cc.), né dal punto di vista dei diritti concernenti lo stato civile.
Questo vale, ovviamente, anche dal punto di vista della cittadinanza.
Nel caso di nascita da un’unione matrimoniale sussiste una presunzione legale di paternità e maternità (artt. 231 ss. c.c.), che rende automatico il fatto che il figlio nato venga considerato a tutti gli effetti figlio di quelle due persone che sono marito e moglie; al contrario, nel caso di nascita da un’unione extramatrimoniale non c’è questo automatismo, nel senso che entrambi i genitori hanno il diritto di riconoscere il figlio, ma nel caso in cui, per esempio, il padre non riconosca il figlio fin dalla nascita, non c’è un’automatica identificazione del padre come tale.
In questo caso, è necessario provvedere in qualsiasi momento successivo – anche a distanza di molti anni – al riconoscimento del cosiddetto figlio naturale (art. 250 ss. c.c.). Si tratta di una procedura semplicissima che si fa in sede amministrativa se c’è il consenso da parte della madre; diversamente è necessario promuovere un’azione in giudizio per ottenere l’accertamento della paternità.
In ogni caso, il riconoscimento del figlio da parte del cosiddetto padre naturale, comporta tutte le conseguenze previste dalla legge e ricondotte allo stato di figlio di una determinata persona. Quindi, se il padre è cittadino italiano, l’effetto del riconoscimento legalmente formalizzato, è quello di consentire al figlio di ottenere immediatamente l’accertamento dello status civitatis, ovvero dello stato di cittadino italiano fin dalla nascita, in base alle regole generali stabilite dalla legge 91/92 in materia di cittadinanza.
Ritengo perciò di dare una risposta serenamente positiva a questo quesito.
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