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Cittadinanza italiana per matrimonio – Dopo due anni di attesa viene concessa automaticamente

Analizziamo la situazione dei cittadini stranieri coniugati con cittadini italiani e che, in base alla legge 5 febbraio 1992, n. 91 (“Nuove norme sulla cittadinanza” in G.U., Serie gen. – n. 38 del 15 febbraio 1992), hanno presentato la domanda di cittadinanza italiana, dopo sei mesi di residenza in Italia o dopo tre anni nel caso di residenza all’estero.
All’art. 5 della legge in commento si prevede infatti che: “Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano acquista la cittadinanza italiana quando risiede legalmente da almeno sei mesi nel territorio della Repubblica, ovvero dopo tre anni dalla data del matrimonio, se non vi è stato scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili e se non sussiste separazione legale”.

I quesiti pervenutici in redazione riguardano il caso di cittadini stranieri, residenti in Italia, che dopo sei mesi dal matrimonio hanno presentato domanda di cittadinanza. In base al regolamento ministeriale che fissa i tempi massimi per ogni procedimento, quest’ultimo non dovrebbe essere superiore ai 730 giorni. In altre parole, il tempo di attesa del provvedimento che comunica la concessione o meno della cittadinanza italiana è di due anni (anche se nella pratica si arriva fino a tre anni, salvo complicazioni ulteriori!). E’ una dato che preoccupa, in quanto non credo vi siano paesi che ufficialmente impiegano tutto questo tempo per la conclusione di un normale procedimento.

Dagli utenti del nostro sito giungono lamentele per lo spropositato tempo di attesa, chiedendoci consigli su come accelerare la pratica. Inoltre da molti viene segnalato di aver tentato di prendere contatti con l’amministrazione competente per sapere quale sia la causa del ritardo ma, nella maggior parte dei casi, il Ministero dell’Interno comunica che manca ancora il parere favorevole del Dipartimento della Pubblica Sicurezza. Molti degli interessati si rivolgono anche alla Prefettura a cui a suo tempo è stata inoltrata la domanda di cittadinanza per vedere se questa può dare chiarimenti ed aiuti concreti. Ma, anche in questo caso, la ricerca si rivela vana.
Normalmente le Prefetture hanno tempi relativamente brevi per la cosiddetta istruttoria della domanda già completa di tutta la documentazione e per ricevere da parte della questura una nota informativa che viene trasmessa, insieme alla pratica, al Ministero dell’Interno.
Ed è proprio qui che si blocca la pratica. Qualcuno maligna che la scarsità di risorse umane ed economiche per la procedura di cittadinanza non sia casuale, ma corrisponda ad una scelta per rallentare l’acquisto della cittadinanza italiana.
Tuttavia, nei casi che stiamo trattando – matrimonio con cittadino/a italiano/a – non dovremmo parlare di acquisto o concessione della cittadinanza, bensì di un vero e proprio diritto soggettivo come ha chiarito, in modo incontrovertibile, la Corte di Cassazione.

I chiarimenti della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con sentenza del 7 luglio 1993 n. 4741, precisa che, siccome la normativa in materia di cittadinanza, per quanto riguarda i cittadini stranieri coniugi di cittadini italiani, prevede un termine entro il quale lo Stato può far valere le eventuali circostanze ostative, cioè le condizioni che potrebbero impedire la concessione della cittadinanza (gravi condanne penali, pericolosità per la sicurezza dello Stato), trascorso detto termine, lo Stato non può più rifiutare la concessione della cittadinanza.
All’art. 8, comma 2, della legge 92/91 si prevede infatti che “L’emanazione del decreto di rigetto dell’istanza è preclusa quando dalla data di presentazione dell’istanza stessa, corredata della prescritta documentazione, sia decorso il termine di due anni”.
Esiste pertanto un vero e proprio diritto soggettivo perfetto in capo agli interessati, i quali potrebbero non attendere più la graziosa risposta del Ministero, ma rivolgersi direttamente al Tribunale Civile del luogo ove risiedono, per chiedere semplicemente una sentenza che accerti la loro cittadinanza.
Anche i tempi di una causa giudiziaria sono comunque lunghi –variabili anche a seconda del tribunale– ed è normalmente inutile sperare in un procedimento che si possa definire in poche settimane o solo in pochi mesi. Questo anche se – in linea teorica – non si tratta di un procedimento complesso, ma, al contrario, di una questione di puro diritto. Una volta che i documenti dimostrano che vi sono tutti i requisiti per ottenere la cittadinanza italiana e sono decorsi i termini previsti dalla legge, al Magistrato competente non serve altro per prendere la decisione.
Certo, non ci permettiamo di fare previsioni sulla tempistica delle diverse sedi giudiziarie, nè di alimentare un eccessivo ottimismo, ma è giusto spiegare agli interessati questa procedura. Si tratta di un percorso parallelo, che non confligge con il procedimento presso il Ministero, nè dovrebbe allungare i tempi della procedura ministeriale ma, semmai, indirettamente sollecitare una definizione da parte dell’amministrazione.
Il tempo statistico si aggira intorno ai tre anni e, quindi, chi si trova prossimo a questo tempo di attesa, potrà scegliere se attendere ancora un po’ la risposta del Ministero o, invece, agire presso il competente Tribunale.
D’altra parte, è pur vero che una ampia produzione di cause di questo tipo sul territorio potrebbe funzionare come stimolo all’amministrazione per organizzarsi in modo più efficiente e consono al riconoscimento di un diritto vero e proprio, poiché non si tratta di una concessione.
Si precisa, a scanso di equivoci, che non abbiamo parlato della “naturalizzazione” ovvero della cittadinanza rilasciata in base all’art. 9, comma 1, lett. f) “allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica”, ma del diritto soggettivo dei cittadini stranieri coniugi di cittadini italiani come previsto all’art. 5 sopra riportato.