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Cittadini neocomunitari – Le novità introdotte dal Regolamento di attuazione della legge Bossi Fini

Contratto di tirocinio per i cittadini neocomunitari
Cosa fare nel caso di tirocini formativi
Novità per le cosiddette “categorie particolari” di lavoratori, non inserite nel regime delle quote
Gli infermieri professionali
La novità introdotta dal regolamento di attuazione
Infermieri che lavorano nelle cooperative

Contratto di tirocinio per i cittadini neocomunitari
Si vogliono di seguito approfondire alcune novità introdotte con il Regolamento di attuazione della Legge Bossi – Fini (Decreto del Presidente della Repubblica 18 ottobre 2004, n.334 – “Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, in materia di immigrazione”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 33 – supplemento ordinario n. 17/L – del 10 febbraio 2005) che è entrato in vigore il 25 febbraio 2005.
Si tratta, in particolare, di alcune prime indicazioni contenute nella circolare n. 9 del Ministero del Lavoro dell’8 marzo 2005 avente ad oggetto il “D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334 concernente “Regolamento recante modifiche ed integrazioni al D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, in materia di immigrazione”, previsto dall’art. 34, comma 1, della legge Bossi-Fini – Sportello Unico per l’Immigrazione – Ulteriori immediate indicazioni”, ovvero gli adempimenti da svolgere presso l’Ufficio Territoriale del Governo (UTG) della prefettura.
E’ previsto che il contratto di soggiorno vada sottoscritto presso questi uffici che però non sono ancora muniti delle necessarie risorse organizzative ed informatiche per svolgere tutti gli adempimenti necessari; alcune informazioni pervenuteci ci permettono di capire che questi uffici, per il momento, sono privi di una reale autonomia, non rappresentando altro che una targhetta sulla porta e un ulteriore passaggio di carte. Viene infatti confermato che, per l’istruttoria delle pratiche, la questura e la DPL – ciascuno per la sua parte di competenza – provvedono ad adottare tutte le determinazioni, mentre poi l’UTG funge soltanto da ufficio destinatario delle domande di nulla osta al lavoro, contratto di soggiorno e ricongiunzione familiare, comunicando la determinazione finale, senza poter decidere concretamente in proprio.
Nell’ambito di queste prime indicazioni contenute nella circolare, si precisa innanzitutto che le limitazioni della circolazione dei lavoratori neo comunitari varranno solo per i lavoratori subordinati, non invece per il lavoro autonomo, per lo studio, le attività formative in genere ed il tirocinio.
Come già evidenziato, con l’allargamento dell’Unione a 10 nuovi paesi avvenuto il 1 maggio 2004, per quanto concerne la libera circolazione dei lavoratori subordinati (artt. 39 – 42 del Trattato istitutivo della Comunità europea) si è previsto che, per un periodo transitorio minimo di due anni successivi all’allargamento, ognuno degli Stati membri potrà non applicare nei confronti dei cittadini dei Paesi attualmente candidati le norme europee sulla libera circolazione dei lavoratori ed applicarne invece di nazionali eventualmente (ma non necessariamente) più restrittive.
Al termine dei primi due anni successivi all’adesione, la Commissione dell’Unione europea presenterà una relazione sulla base della quale il Consiglio verificherà il funzionamento delle
disposizioni transitorie. Inoltre, ciascuno degli attuali Stati membri dovrà comunicare
formalmente alla Commissione se intende continuare ad applicare le misure legislative nazionali per un periodo massimo di altri tre anni ovvero se intende applicare il regime comunitario della libera circolazione dei lavoratori. Le disposizioni transitorie dovrebbero decadere nei cinque anni successivi all’adesione, ed eventualmente protrarsi per un periodo massimo di sette anni.
Si evidenzia che sono state previste delle eccezioni per Malta e Cipro: per i cittadini ciprioti infatti le norme europee troveranno un’immediata applicazione mentre Malta potrà a sua volta applicare norme provvisorie (eventualmente restrittive) nei confronti di tutti gli altri cittadini dell’Ue.
Giova precisare che in Italia, la libera circolazione dei c.d. neo-comunitari ai fini di lavoro subordinato, è stata sospesa per effetto del DPCM 20.04.2004; la successiva circolare n. 14 del 28.04.2004, richiede per la loro assunzione la preventiva autorizzazione al lavoro.

Cosa fare nel caso di tirocini formativi
Queste restrizioni non riguarderanno invece i tirocini formativi, che in base alla legge (si veda l’art. 18 della L. n. 196/1997 e relative norme applicative) non costituiscono un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato o dipendente, ma un’attività finalizzata all’apprendimento di una preparazione professionale che si prevede sia formalmente svolta all’interno di un contesto aziendale e quindi anche lavorativo. Assomiglia molto ad un’attività lavorativa, ma dovrebbe essere caratterizzata, non tanto dall’apporto di risorse e, quindi, di un profitto per l’azienda ove è inserito il tirocinante, quanto piuttosto dall’assorbimento di energie dell’azienda tramite personale preposto alla formazione e all’addestramento pratico per consentire al tirocinante di imparare il mestiere sul posto di lavoro.
Quello che ci può consentire di valutare il carattere genuino o, al contrario, il carattere simulato del tirocinio è la verifica se l’interessato al contratto di tirocinio sia assegnato a svolgere mansioni elementari e ripetitive senza ricevere alcun tipo di addestramento, assistenza ed affiancamento da parte di lavoratori già qualificati ed appositamente preposti all’assistenza del tirocinante, o se, invece, lo stesso svolga un’attività sempre sotto il costante controllo di uno o più preposti dall’azienda e finalizzata a garantire l’apprendimento delle nozioni teoriche, ma anche di quelle capacità che necessariamente si devono acquisire anche attraverso esercitazioni pratiche.
Questa attività non dovrebbe di per sé portare un profitto all’azienda ma, semmai, dovrebbe far impiegare tempo con lo scopo virtuoso di acquisire in futuro una professionalità, che potrà magari essere impiegata con un contratto di lavoro regolare nella stessa azienda.
La circolare del Ministero del Lavoro in oggetto precisa sia che, non configurando il tirocinio formativo un rapporto di lavoro dal punto di vista giuridico, esso non rientra nelle limitazioni transitorie stabilite per i lavoratori neo comunitari, sia che il c.d. tirocinante può fare ingresso in Italia senza bisogno del nulla-osta al lavoro. In altre parole, un candidato ad un contratto di tirocinio che proviene da un paese neocomunitario ha tutto il diritto di transitare direttamente la frontiera senza chiedere alcun visto di ingresso e di sottoscrivere direttamente in Italia un contratto di tirocinio con conseguente inserimento in un contesto lavorativo; tutto ciò, si ripete, senza bisogno di alcuna preventiva autorizzazione.
La circolare stabilisce infatti che, a decorrere dal 25 febbraio 2005, lo svolgimento dei tirocini formativi nei confronti dei cittadini neocomunitari non richiede il preventivo nulla osta al lavoro. I cittadini neocomunitari accedono ai tirocini formativi in applicazione della regolamentazione generale di cui all’art.18 della legge 196/1997 e relative disposizioni attuative, come sopra precisato.

Novità per le cosiddette “categorie particolari” di lavoratori
Non inserite nel regime delle quote

Un’altra precisazione contenuta nella circolare, sempre riferita alle novità introdotte dal nuovo regolamento di attuazione, riguarda i lavoratori appartenenti alle cosiddette categorie particolari, che, in altre parole, sono sottratti al regime delle quote stabilite con il decreto di cui all’art. 3, comma 4, del Testo Unico sull’Immigrazione (D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286) e che, quindi, possono fare ingresso in Italia al di fuori di limitazioni numeriche, in qualsiasi periodo dell’anno e sempre su richiesta di autorizzazione all’ingresso da parte del datore di lavoro.
In particolare la novità introdotta dall’art.40 del nuovo regolamento di attuazione (in particolare si veda il comma 22) è costituita dalla possibilità per alcune categorie di lavoratori, autorizzati in base all’art. 27 del T.U. sull’Immigrazione (“Ingresso per lavoro in casi particolari”), di rinnovare direttamente qui in Italia il permesso di soggiorno e di poter cambiare anche il datore di lavoro, ma a condizione che la qualifica di assunzione coincida con quella per cui è stato rilasciato l’originario nulla osta.

Queste novità sono riferite, in particolare a:
. traduttori ed interpreti (art.27 comma 1, lett. d));
. collaboratori familiari aventi regolarmente in corso all’estero da almeno un anno, rapporti di lavoro domestico a tempo pieno con cittadini italiani o di uno degli Stati membri dell’Unione europea residenti all’estero che si trasferiscono in Italia, per la prosecuzione del rapporto di lavoro domestico (art.27 comma 1, lett.e));
. infermieri professionali assunti presso strutture sanitarie pubbliche o private (art.27 comma 1, lett. r- bis)).

Va poi ricordato che una maggiore stabilità è garantita dal nuovo testo dell’art.40 anche ai lavoratori appartenenti alle categorie previste alle lettere b) e c) dell’art.27, comma 1, del T.U., vale a dire per i lettori universitari e per professori universitari e ricercatori. Per l’appunto, il comma 6 dell’art.40 prevede che nel caso di contratti di lavoro a tempo indeterminato il nulla osta al lavoro viene concesso a tempo indeterminato, quindi senza necessità di chiedere la proroga dell’autorizzazione dopo un certo tempo (o di chiedere una nuova autorizzazione) e con la possibilità di rinnovare senza limiti di tempo il permesso di soggiorno. In questi casi, tuttavia, il rinnovo del permesso di soggiorno sembra pur sempre rimanere condizionato al mantenimento in atto dello stesso rapporto di lavoro originariamente autorizzato, o quantomeno al mantenimento di un rapporto di lavoro con lo stesso datore (col quale fosse stata pattuita la trasformazione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato), senza quindi la possibilità di cambiare datore di lavoro. Diversamente è invece stabilito per le categorie indicate alle lettere d), e), r bis), dell’art.27 comma 1 del T.U., che sono ammesse, come vedremo meglio di seguito, anche alla possibilità di cambiare datore di lavoro ma pur sempre mantenendo la stessa qualifica.

Gli infermieri professionali
Come noto, il Testo Unico sull’Immigrazione come modificato dall’art. 22, comma 1, lett. a) della L. 30 luglio 2002, n. 189, ha allargato l’elencazione delle tipologie di lavoro collocate al di fuori del regime delle quote alla categoria degli infermieri professionali che possono entrare in Italia, previo riconoscimento del titolo di studio da parte del Ministero della Sanità. In qualsiasi momento dell’anno una struttura sanitaria pubblica o privata può assumere queste persone, ottenendo ovviamente la preventiva autorizzazione.
Le categorie di lavoratori di cui all’art.27 citato, erano caratterizzate da un regime particolare in base al quale avrebbero potuto continuare a rimanere in Italia solo per il tempo previsto nell’autorizzazione; eventuali proroghe del soggiorno potevano essere rilasciate solo in relazione ad una prosecuzione del rapporto presso lo stesso datore di lavoro committente che aveva originariamente ottenuto l’autorizzazione all’ingresso. Ciò ha dato luogo, in molti casi, a condizioni di sostanziale ricatto in quanto i lavoratori appartenenti alle categorie in oggetto, se volevano mantenere in Italia il permesso di soggiorno, erano di fatto costretti a lavorare sempre per lo stesso datore di lavoro e ad accettare, eventualmente, anche condizioni negative o di sfruttamento: quand’anche avessero denunciato condizioni di sfruttamento o l’utilizzo illegale dell’autorizzazione ottenuta in base all’art.27 citato, avrebbero automaticamente perso il permesso di soggiorno. Ciò rappresentava una situazione di difficoltà molto diffusa tra i lavoratori appartenenti a queste categorie, che peraltro rimane ancora attuale per i lavoratori distaccati dall’estero, ovvero dipendenti di imprese estere, magari, come spesso succede, costituite solo sulla carta, e trasferiti temporaneamente in Italia per eseguire – formalmente alle dipendenze di un’impresa estera – delle lavorazioni in appalto, per lo più nel settore dell’edilizia, ma non solo.

La novità introdotta dal regolamento di attuazione
Per quanto riguarda le categorie di lavoratori di cui all’art. 27 lett. d), e) e r-bis sopra elencate, è stata stabilita all’art.40 la possibilità di prorogare in Italia il contratto di lavoro, presso lo stesso datore di lavoro originariamente autorizzato, o addirittura di ottenere da subito un nulla osta a tempo indeterminato (con conseguente possibilità di rinnovare senza limiti il permesso di soggiorno) nel caso in cui il contratto inizialmente sottoposto ad autorizzazione sia a tempo indeterminato; inoltre – ed è la novità più importante – il comma 22 prevede la possibilità di cambiare finalmente il datore di lavoro ove questo corrisponda alla volontà del lavoratore.
Si prevede infatti che: I lavoratori di cui all’articolo 27, comma 1, lettere d), e) e r-bis), del testo
unico possono instaurare un nuovo rapporto di lavoro a condizione che la qualifica di assunzione coincida con quella per cui e’ stato rilasciato l’originario nullaosta.

Quindi un traduttore, un interprete, oppure un infermiere professionale autorizzato ad entrare in Italia con un determinato contratto può, indipendentemente dalla volontà del datore di lavoro, dare le dimissioni ed ottenere una proroga del permesso di soggiorno anche in base ad un nuovo contratto di lavoro presso un diverso datore di lavoro, all’unica condizione che questo contratto di lavoro preveda l’impiego per la stessa qualifica per la quale era stato autorizzato all’ingresso.
Quindi, ad esempio, un interprete può rimanere in Italia e rinnovare il permesso di soggiorno anche con incarichi da parte di diversi datori di lavoro a condizione che continui a svolgere la stessa attività di interprete e traduttore. Ne discende che, alla condizione di continuare a svolgere la stessa professione, è possibile stabilirsi in Italia, non soggiacere più alle condizioni imposte dal primo datore di lavoro, offrirsi sul mercato e cercare qui condizioni migliori con la possibilità garantita oggi dal nuovo testo dell’art.40, comma 22 (ultimo periodo), di cambiare datore di lavoro e di rinnovare senza altre condizioni il permesso di soggiorno.
Nella circolare in oggetto si precisa quanto già indicato dal regolamento di attuazione e prima ancora dalla legge, ovvero che l’assunzione dei lavoratori muniti del permesso di soggiorno (se cittadini extracomunitari) o della carta di soggiorno (se cittadini neo comunitari) rilasciato/a in applicazione dell’art. 27, lett. r-bis del T.U. sull’Immigrazione citato, può avvenire esclusivamente ad opera di: a) struttura sanitaria pubblica o privata; b) società cooperativa appaltatrice della gestione diretta ed esclusiva dell’intera struttura sanitaria (ovvero di un suo reparto o servizio) di destinazione del lavoratore; c) agenzia di somministrazione tenuta alla fornitura di lavoro infermieristico nei confronti della struttura sanitaria di destinazione del lavoratore.

Infermieri che lavorano nelle cooperative
Si vuole di seguito fare una precisazione per quanto riguarda il lavoro degli infermieri nelle cooperative: è noto che, sia nelle strutture sanitarie private sia – purtroppo sempre più spesso – nelle strutture sanitarie pubbliche e, ancora più spesso, nelle case di riposo, vi è l’abitudine di appaltare a cooperative molte attività. Alcune strutture appaltano interamente tutte le attività di assistenza – anche quelle di tipo manuale svolte dagli “operatori di assistenza”– a soggetti esterni, soprattutto società cooperative. Il Ministero del Lavoro precisa (ma ciò si ricava in base alla legge) che l’autorizzazione all’impiego dell’infermiere professionale presso una società cooperativa può essere rilasciata a condizione che vi sia un appalto lecito, stipulato tra una cooperativa e la struttura sanitaria. L’appalto lecito non è un semplice affitto di manodopera – seppur professionale – diretta, organizzata o utilizzata direttamente dal committente perché, in questo caso, avremmo una forma di “intermediazione abusiva di manodopera” – così si chiamava un tempo – che oggi è chiamata somministrazione abusiva di manodopera. Un appalto (art. 1655 c.c.), per essere lecito, deve prevedere necessariamente un’autonomia gestionale e un rischio di impresa da parte della cooperativa titolare dell’appalto, che può riguardare sia la gestione di un’intera struttura, sia la gestione di un reparto o di un servizio definito all’interno della struttura, ma pur sempre in condizioni di autonomia. Semplificando, l’infermiere assunto da una cooperativa ed assegnato all’interno di una struttura sanitaria in base ad un contratto d’appalto, non può e non deve prendere ordini dal personale della struttura sanitaria, ma soltanto dai preposti della cooperativa, perché solo in questo modo si può assicurare un appalto lecito e non una somministrazione o affitto abusivo di manodopera.
Anche le agenzie di somministrazione – i soli soggetti in base alla legge abilitati ad effettuare un vero e proprio affitto di manodopera in condizioni lecite – possono impiegare validamente infermieri comunitari, neo-comunitari ed extra comunitari alla condizione che si tratti di agenzie appositamente autorizzate, per le quali la normativa in materia prevede tutta una serie di garanzie collaterali atte ad assicurare la solvibilità ovvero il regolare pagamento degli stipendi e dei contributi.