Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Cittadini o stranieri? Appunti su una reale cittadinanza

La rivolta nelle banlieues francesi ci porta in tutta fretta a riflettere sulle politiche sociali ed economiche, modelli di democrazia e di cittadinanza.
Riflessioni che poniamo a partire da un approccio non criminalizzante dei comportamenti di auto-distruzione che stanno sovvertendo le periferie, tentando invece di comprendere cosa esprime la collera di questi cittadini con passaporto francese.
Esclusione, miseria sociale, mancanza di prospettive, stigmatizzazione e discriminazione: è quello che denunciano da più di un decennio le rare voci di questo movimento.
Una repressione crescente, la violenza ed umiliazione da parte delle polizie, fino all’introduzione dello stato d’eccezione come strumenti di intervento della politica di fronte all’accumulo di malessere delle cités.
La crisi non riguarda uno scontro tra culture e religioni diverse, bensì l’implosione sofferente di un modello globale di sviluppo economico che dal sud al nord del mondo si basa sull’esclusione e sulla gerarchizzazione che in ogni continente penalizza sempre più i poveri all’accesso delle risorse, dei beni comuni ed infine dei diritti.
Chi sono i poveri o i nuovi poveri nelle metropoli europee?
Sono i nipoti degli operai impiegati nel boom industriale del dopo guerra – emigrati dalle colonie per la Francia, emigrati dal sud al nord per l’Italia – sono le donne, sono i pensionati, sono i migranti di recente arrivo. Sono tutte quelle categorie sociali che in Francia come in Italia
fanno i conti con la privatizzazione dei servizi, la flessibilità imposta nel lavoro, i tagli ai fondi sociali. Sono quelli che non percepiranno le pensioni, sono i bersagli di leggi europee che definiscono clandestino un essere umano.
Se un parallelismo tra Francia e Italia ha senso è perché la rivolta delle banlieues segnala che senza uguaglianza nessuna pace è possibile. La rivolta nelle banlieues, in Italia, è stata fin troppo strumentalizzata per invocare misure ancora più repressive contro i migranti, additati dai politici della destra come germe di un pericolo virale che potrebbe sconvolgere anche il quieto vivere delle cittadine italiane. Ancora una volta negli ambiti di discussione politici e/o mediatici si tace invece sulle conseguenze che le politiche italiane in materia di immigrazione avranno su questa e sulle prossime generazioni di immigrati. Che, diversamente dai migranti di origine algerina, non sono (e mai saranno) cittadini – neppure di serie B – ma lavoratori ospiti, braccia da lavoro, come nella Germania degli anni cinquanta, che un abisso separa dalla popolazione autoctona.
L’Italia è un paese razzista, oramai non v’è dubbio.
Se non si interviene con una sterzata radicale cancellando lo spirito delle leggi che fino ad oggi hanno velleitariamente tentato di gestire i flussi migratori, ma che sono riuscite solamente a legalizzare nuove schiavitù e a fomentare la paura di matrice razzista, i futuri poveri avranno tutte le ragioni di questo mondo per esprimere in ogni forma la disperazione, frutto della delusione e del sentimento di essere stati beffati.

Vedi anche lo speciale a cura di Global Project
No justice, no peace!