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“Clandestini”, questi sconosciuti

da "Città Meticcia", settembre/ottobre 2008

Come Mustapha molti altri immigrati hanno lasciato il proprio paese alla ricerca di condizioni di vita migliori. O per scappare da guerre e persecuzioni. Ma venire a lavorare legalmente in Italia è quasi impossibile. Occorre essere chiamati da un datore di lavoro che dovrebbe scegliere il proprio lavoratore senza averlo nemmeno mai visto e poi sbrigare tutte le pratiche per farlo entrare in Italia regolarmente. Un’illusione, anzi, in molto casi una vera ipocrisia. Così, secondo l’ultima ricerca fatta dall’Ismu nel 2007, in Italia sono presenti circa 760mila immigrati irregolari. I clandestini.
Non potendo entrare regolarmente, chi decide comunque di tentare la fortuna è costretto ad affidarsi a trafficanti che gestiscono vere e proprie tratte di esseri umani. Si trovano a pagare enormi somme di denaro per viaggi pericolosi che mettono a rischio la loro vita.
Asia si considera una sopravvissuta. È partita dalla Nigeria tre anni fa e il suo viaggio verso l’Italia è durato sei mesi. «è stato terrificante passare attraverso il deserto. Eravamo ammucchiati in un camion. Tanta gente: uomini, donne, bambini provenienti da Nigeria e Ghana. Non c’era da bere né da mangiare a sufficienza. Pregavamo tutti. Sapevamo che se l’autista avesse perso la strada saremmo morti. Non c’è una strada nel deserto. Le uniche indicazioni da seguire sono le tracce di passaggi precedenti: corpi umani, ossa, ruote scoppiate e lasciate lungo il percorso. Siamo anche stati investiti da una tempesta di sabbia. Ricordo ancora il sapore della sabbia. Ce n’era dappertutto. Nel naso, negli occhi, nelle orecchie. Niente e nessuno ci poteva proteggere. Dovevamo sopravvivere e basta». Non tutti sono stati fortunati come Asia. Alcuni uomini e donne colpiti da dissenteria, fame o sete sono morti durante il viaggio. «I morti si buttavano giù dal camion, non ci si fermava nemmeno per seppellire i corpi». Per chi parte dal cuore dell’Africa, il Sahara è un pericoloso passaggio per arrivare al mare. Qui dal 1996 sono morte almeno 1.500 persone.
Una volta giunta a Zuara, in Libia, Asia ha aspettato di essere caricata su un barcone. «Non riuscivo a capire la lingua dei trafficanti ma sapevo che quando facevano festa significava che qualche imbarcazione era giunta a destinazione senza naufragare, ma a volte erano nervosi e urlavano, allora intuivo che qualche barca era affondata». Secondo notizie raccolte sulla stampa internazionale tra il 1988 e il 2008 dall’osservatorio sulle vittime dell’immigrazione Fortress Europe, almeno 12mila tra uomini, donne e bambini hanno perso la vita tentando di raggiungere l’Europa clandestinamente. Solo nel Canale di Sicilia le vittime stimate sono 2.500.
Per Eunice, anche lei nigeriana, il più terrificante è stato proprio il viaggio in mare. «La barca partita prima di noi era affondata. Abbiamo visto corpi galleggiare in mare. Mi sono spaventata molto. Prima di arrivare nelle acque italiane ci è finita la benzina. Pensavo di morire. Poi da lontano abbiamo visto le navi della Guardia Costiera Italiana. Ci urlavano qualcosa ma non capivamo. Sapevamo solo che dovevamo resistere. Mancavano pochi chilometri alle acque italiane. A quel punto l’unica speranza era quella di buttarci in mare così loro potevano recuperarci a bordo. Io sono stata la prima. Ci hanno dato da bere e da mangiare. Ci hanno salvato».
In realtà, solo il 15% dell’immigrazione irregolare arriva dalle rotte del Mediterraneo. In Italia l’immigrazione irregolare é alimentata soprattutto dai cosiddetti “overstayers”, persone entrate come turisti che restano dopo la scadenza del visto. Un fenomeno che ha raggiunto – secondo dati ufficiali del Ministero dell’Interno – oltre il 60% del totale degli irregolari. Un altro 24% circa dei “clandestini” giunge illegalmente da altri Paesi Schengen, approfittando dell’abolizione dei controlli alle frontiere interne.
Ludmila, ucraina, è arrivata in pullman a Bologna. Pagando 2mila dollari a un’agenzia nel suo paese è riuscita a ottenere il visto di 10 giorni. «Devo ancora pagare il debito ma non importa perché ho trovato lavoro come badante e adesso posso mandare i soldi a casa» racconta. Zina, moldava, invece ha fatto un lungo viaggio in auto. «Quando ci avvicinavamo ai confini, l’autista ci faceva scendere e noi dovevamo attraversare le frontiere di nascosto, passando per boschi. È stato duro». Anche lei assiste un anziano, ventiquattr’ore al giorno, sette giorni la settimana, solo la domenica pomeriggio le viene concesso un po’ di riposo. Non avendo il permesso di soggiorno gli immigrati irregolari non possono entrare nel mercato del lavoro ufficiale. Nemmeno nel caso un datore di lavoro voglia assumerli: devono aspettare le “quote” annuali, sperare di rientrarvi, eventualmente tornare clandestinamente in patria per poi fingere di arrivare per la prima volta in Italia, questa volta in regola. Di conseguenza, sono spesso sfruttati da datori di lavoro che li usano come manodopera a basso costo, approfittando del fatto che sono facilmente ricattabili proprio perché irregolari. Ben, liberiano, ha trovato lavoro in edilizia ma non è mai stato pagato. Quando ha chiesto lo stipendio, il datore di lavoro lo ha minacciato e lo ha lasciato a casa. Senza la possibilità di emergere dalla situazione di irregolarità, un immigrato può facilmente perdersi per strada. Senza mezzi di sostentamento né prospettive può anche capitare di fare scelte sbagliate. C’è chi cade in depressione, chi diventa accattone, chi venditore ambulante, ma c’è anche chi si perde nella droga o a sua volta diventa spacciatore.
Vivere senza documenti significa vivere di nascosto, nella paura e nell’ansia. «Ti possono fermare in qualsiasi momento, anche se non hai fatto niente e darti un’espulsione» racconta Zina. Joy, giovane nigeriana costretta a prostituirsi, è terrorizzata dalle forze d’ordine. «Io scappo sempre quando vedo la polizia. Ho paura di loro, ho paura che mi rimandano in Nigeria. La mia amica è morta così, mentre scappava. Su un lato della strada dove lavoravamo c’era un grande lago. Quando la macchina della polizia ci si è fermata vicino, noi abbiamo iniziato a correre. Da quella sera non l’ho mai più vista, è annegata. L’hanno ripescata dopo parecchie settimane, è stata riconosciuta dalla collanina d’oro».
La maggior parte degli immigrati regolari e integrati all’inizio sono stati “clandestini”. Sono circa 1milione400mila quelli che si sono sin ora regolarizzati con le diverse sanatorie, per non parlare delle sanatorie “camuffate” dei decreti flussi. Ora sono persone rispettate. Jonathan, nigeriano, arrivato in Italia come “clandestino” è riuscito a regolarizzarsi con la sanatoria del 1996. «Sono venuto in Italia perché volevo aiutare la mia famiglia in Nigeria. Ho otto fratelli che vivono nel mio paese e volevo che avessero la possibilità di studiare, fare l’università, come l’ho avuta io quando mio padre era ancora vivo». Jonathan è riuscito perfettamente a inserirsi in Italia e recentemente è diventato anche presidente di un’associazione nigeriana.