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Come far valere i documenti legalizzati in Italia?

La possibilità di ottenere il permesso di soggiorno per motivi di famiglia, in base all’art. 19 del Testo Unico sull’Immigrazione, è riconosciuta agli stranieri che sono in condizione irregolare di soggiorno in Italia, ma che convivono con parenti entro il quarto grado o con il coniuge, di nazionalità italiana (art.19, comma 2, lett. c)).
Quello che ci viene segnalato è un caso di convivenza con un parente entro il quarto grado, con cittadinanza italiana e, poiché questa convivenza e parentela sono assolutamente pacifici, la questione dovrebbe essere risolta. Come possiamo vedere però, anche se la soluzione sarebbe a portata di mano, non si manca di porre qualche ostacolo difficilmente giustificabile, alla definizione di una posizione regolare.

Analizziamo di seguito il problema della legalizzazione dei documenti.
I certificati rilasciati dalle Autorità competenti nel territorio dello Stato di origine, possono essere esibiti presso l’Ambasciata in Italia della Repubblica di Santo Domingo, al fine di consentire il rilascio di un certificato, rilasciato sempre in sede consolare, in lingua italiana.
Ecco che allora non è più necessario legalizzare le firme e il documento presso l’Ambasciata italiana in Santo Domingo, ma è sufficiente legalizzare la firma del console presso la competente Prefettura; tale documento dovrà considerarsi validamente rilasciato in Italia e legalmente utilizzabile in quanto rilasciato dalla competente rappresentanza consolare del paese di provenienza.

La sopra descritta forma di legalizzazione del certificato rilasciato dal Consolato, è specificamente prevista all’art. 33, comma 4, del D.P.R.. n. 445 del 28 dicembre 2000 (nuovo Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa) che ha sostituito la legge n. 15 del 1968 (e le successive modifiche e integrazioni), per quanto riguarda la semplificazione dell’attività amministrativa; quindi le dichiarazioni sostitutive delle certificazioni e gli atti notori. Il T.U. disciplina analiticamente la possibilità di legalizzazione di firme apposte su atti che sono destinati ad essere utilizzati all’estero o che provengono dall’estero.
Per quanto riguarda le firme su atti e documenti formati nel territorio italiano, rilasciati da una rappresentanza diplomatica o consolare estera in Italia, si dispone che le firme sono legalizzate a cura delle Prefetture.
Nel caso che ci viene esposto quindi, gli interessati hanno seguito ciecamente la procedura, proprio per ottenere un certificato rilasciato dall’Ambasciata di Santo Domingo in Italia e utilizzarlo legalmente a seguito della legalizzazione della firma dal Console presso la competente Prefettura.

Ci viene infatti riferito che il ragazzo ha portato i due certificati di nascita (suo e della sorella) al Consolato, che ha a sua volta rilasciato un proprio certificato in cui si attesta che i due sono fratello e sorella; la Questura di Milano però l’ha rifiutato, sulla base di quanto previsto al comma 2 dell’art. 33 del D.P.R. 445/2000 ove si prevede che le firme su atti o documenti formati all’estero, sono legalizzate dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all’estero. La Questura di Milano pretende di applicare la procedura per la legalizzazione dei documenti dall’estero ignorando che è possibile ottenere il medesimo certificato direttamente dall’ambasciata operante in Italia, e che poi la firma può essere validamente legalizzata presso la Prefettura.
E’ difficilmente comprensibile come mai la Questura di Milano – che certamente ha un traffico di stranieri e di documenti numericamente intenso – proprio in questo caso delle due possibili procedure ne esclude una, quando tutti i giorni vengono fatti valere certificati rilasciati dalla varie rappresentanze consolari di paesi stranieri attraverso il noto sistema della legalizzazione della firma da parte del competente Prefetto.

Perchè il documento rilasciato dal Consolato in cui si dichiara che i due sono fratelli, non dovrebbe essere considerato un certificato prodotto da una rappresentanza consolare estera in Italia e legalizzabile presso la Prefettura?
La risposta negativa della Questura di Milano non è stata argomentata in maniera soddisfacente ed in effetti dobbiamo concordare sul fatto che non riusciamo a trovare una spiegazione del perché questa procedura alternativa, peraltro espressamente prevista dalla legge, non sia stata ritenuta valida quando sappiamo benissimo che più o meno in tutte le questure viene normalmente utilizzata e riconosciuta.
Non possiamo far altro quindi che invitare questo signore a formalizzare la propria domanda, perché immaginiamo che la richiesta di permesso di soggiorno basata su questi documenti non sia stata nemmeno ritirata fisicamente da parte dell’operatore allo sportello. Quindi presumiamo che in questo momento l’interessato non sia nemmeno in grado di dimostrare che ha tentato di chiedere il rilascio del permesso di soggiorno – in base all’art. 19 sopra menzionato – sulla base della dimostrazione del grado di parentela con un cittadino italiano convivente.
In questa situazione l’interessato rischia di continuare ad essere visto e trattato come un semplice clandestino, col rischio di essere quindi colpito da un provvedimento di espulsione.
Di conseguenza il suggerimento pratico che darei allo stesso è quello di inviare con lettera raccomandata, tutta la modulistica già compilata con i relativi documenti: la dichiarazione di soggiorno, le foto, le marche da bollo, la documentazione sull’alloggio, i certificati legalizzati dalla Prefettura competente, la richiesta di permesso di soggiorno (motivata in base a quanto previsto sia dall’art. 19 del Testo Unico sull’Immigrazione che dall’art. 28 del Regolamento di attuazione) e la contestuale diffida e messa in mora a provvedere al rilascio del permesso di soggiorno richiesto.
Dovrà inoltre specificare che aveva già tentato di inoltrare direttamente presso lo sportello la sopraddetta documentazione fisicamente, ma che ciò non è stato possibile, specificando, quindi, che è stato costretto ad inoltrare la medesima a mezzo raccomandata; dovrà inoltre indicare il proprio domicilio, specificando che rimane a disposizione per ogni chiarimento e comunicazione.
Da un punto di vista pratico non attenderei tanto tempo, perché mi permetto di non essere eccessivamente ottimista sulla risposta formale da parte della Questura.
Quindi, per evitare il rischio che nel frattempo possano essere adottati dei provvedimenti discutibili di espulsione, suggerirei di promuovere al Tribunale civile competente di Milano, il ricorso previsto dall’art. 30, comma 6, del T.U. sull’Immigrazione.
Si tratta infatti in questo caso di una questione che attiene la convivenza famigliare e, quindi, dobbiamo ritenere che sia pacifica la competenza del giudice civile e la sua facoltà di valutare l’esistenza di un diritto – a fronte dei documenti che verranno prodotti al rilascio del permesso di soggiorno per motivi di famiglia – con il conseguente potere di ordinare alla Questura il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di famiglia.

Naturalmente oltre ad augurare un buon percorso amministrativo e giudiziario all’interessato, lo invitiamo anche a segnalarci l’esito della sua procedura, perché può essere di grande aiuto per chi si troverà in situazioni analoghe alla sua.