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Commento ad alcune recenti sentenze del TAR Veneto sul rinnovo del pds e la regolarizzazione

Sommario

1) La casistica relativa ai provvedimenti di diniego del rinnovo del pds
L’esistenza di un’ espulsione
La pericolosità sociale

2) La casistica relativa alla regolarizzazione
Il principio di non colpevolezza
Le vecchie espulsioni
L’espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica
Le segnalazioni nel Sistema Informativo Schengen

Già in precedenza avevamo parlato delle problematiche di chi, in questo periodo, sta ricevendo la notifica o addirittura l’esecuzione del provvedimento di rifiuto della domanda di regolarizzazione e della necessaria tutela che deve attivarsi avverso tali provvedimenti, da operarsi anche attraverso il gratuito patrocinio.

Si tratta di un tema che è evidentemente della massima urgenza considerato che proprio nel periodo natalizio sono stati notificati diversi provvedimenti di rifiuto delle domande di regolarizzazione (si ricorda che il termine per presentare il ricorso è di 60 giorni dalla notifica) e per questo vogliamo offrire strumenti utili, attraverso l’esame delle sopracitate sentenze del TAR, che possano servire per tutelarsi contro i medesimi.

1) La casistica relativa ai provvedimenti di diniego del rinnovo del pds

A seguito della legge Bossi Fini i dinieghi risultano indubbiamente più numerosi che in passato. In particolare la legge ha introdotto l’obbligo delle rilevazioni delle impronte digitali al momento del rinnovo del pds (art. 5, comma 4 bis – Testo Unico sull’Immigrazione) e – come avevamo già previsto – tale pratica sta già dando luogo ad una serie di “inconvenienti” nei confronti dei diretti interessati. Infatti al momento della richiesta del rinnovo del pds, quando si tratti di persone che al momento del fermo hanno dichiarato false generalità, attraverso i rilievi fotodattiloscopici emerge l’esistenza di provvedimenti di espulsione emessi negli anni precedenti (prima che si ottenesse la regolarizzazione con la legge Turco Napolitano o con altri provvedimenti precedenti) di cui nessuno aveva tenuto più conto.
Ne discende che persone che lavorano in regola da anni si trovano ora ad affrontare seri problemi, se non addirittura il rischio concreto di un ritorno alla clandestinità.

L’esistenza di un’ espulsione
Prendiamo ora in considerazione un ricorso che è stato definito con sentenza del TAR Veneto (Terza sezione) n. 6142/03 dell’11 dicembre 2003.
Si tratta di uno straniero che aveva chiesto il normale rinnovo del pds per motivi di lavoro e nei cui confronti è stata verificata l’esistenza – verosimilmente sotto altre generalità – di un precedente provvedimento di espulsione. Si precisa che in occasione della richiesta del rinnovo era stata inoltrata la domanda di revoca dell’espulsione però, nel frattempo, senza che fosse ancora intervenuta una comunicazione da parte del prefetto sulla domanda di revoca, la questura ha ugualmente comunicato il rifiuto del rinnovo del pds.

La motivazione della sentenza è fin troppo chiara:
“Il presente ricorso merita accoglimento in quanto la ricorrente, pure oggetto di un precedente provvedimento di espulsione non revocato, comunque risulta in possesso di tutti i restanti requisiti per ottenere il rinnovo del permesso, per cui, in attesa della decisione dell’amministrazione sulla richiesta di revoca della precedente espulsione, il rinnovo può essere concesso, sia pure in via provvisoria. In sostanza, manca nel provvedimento impugnato ogni motivazione sulla possibilità di revocare la precedente espulsione e di regolarizzare comunque la posizione della straniera”.

In altre parole la questura ha ritenuto di rifiutare il pds solo perché esisteva una precedente espulsione, senza nemmeno attendere la decisione dell’autorità competente (il prefetto) in relazione alla richiesta di cancellazione del provvedimento di espulsione stesso.
Il Tribunale ritiene che non esistono ragioni per cui non si possa – nel frattempo e provvisoriamente – rinnovare il pds, nell’attesa di verificare quale esito avrà la richiesta di revoca dell’espulsione.
Evidentemente la questura non può sostituirsi alla prefettura nella valutazione relativa alla possibilità o meno di revocare l’espulsione, specie a fronte di una serie di circostanze oggettive che permettono di ritenere avvenuto il perfetto inserimento socio-lavorativo dell’interessato nella nostra società.

La pericolosità sociale
Con la sentenza del TAR Veneto (Terza sezione) n. 6193/03 del 16 dicembre 2003, viene annullato un provvedimento di rifiuto di rinnovo del pds motivato sulla base della presunta o ritenuta pericolosità sociale del soggetto, in quanto denunciato per reati in materia di stupefacenti. Tuttavia tale denuncia non ha effettivamente avuto alcun seguito in sede penale, se non una semplice richiesta di rinvio a giudizio. Sulla base di questo unico elemento la questura di Venezia ha ritenuto di rifiutare il rinnovo del pds. Inoltre il reato commesso dal rincorrente riguardava la detenzione di stupefacenti in concorso con altri soggetti ed è avvenuto quando egli era ancora minorenne.
Dunque in relazione a tali circostanze manca, nel provvedimento impugnato, una valutazione sull’ attualità della pericolosità sociale. Non si capisce perché un unico episodio – risalente ad anni prima (12 gennaio 2001), quando l’interessato era minore, attribuito alla condotta di più persone tutta ancora da accertare – possa portare ad una valutazione attuale della sua pericolosità in mancanza di qualsiasi altro elemento concreto e soprattutto senza prendere in considerazione il comportamento e la personalità dell’interessato.
In sostanza – conclude il Tribunale – nel provvedimento impugnato si ricava, alla luce dei principi sopra enunciati, una carenza di istruttoria e di motivazione.
In pratica si sostiene che la questura non avrebbe valutato sufficientemente e adeguatamente i fatti e quindi si annulla il provvedimento.
Più in generale, va osservato che l’art.4 del T.U., nella sua nuova formulazione a seguito delle modifiche introdotte dalla legge Bossi-Fini, esclude il rinnovo del permesso di soggiorno solo nel caso di condanna definitiva per determinati reati di conseguenza, se si ritenesse che ogni volta che c’è una semplice denuncia si possa comunque rifiutare il rinnovo sulla base di una pericolosità sociale puramente presunta, sarebbe fin troppo evidente l’elusione del limite stabilito dalla norma citata: essa, infatti, se da un lato stabilisce delle conseguenze negative a fronte di una condanna definitiva, dall’altro implicitamente esclude che analoghe conseguenze possano esservi quando il procedimento penale non si è ancora concluso, a meno che non vi sia una serie di circostanze univoche e concordanti che, sulla base di adeguata e circostanziata motivazione, possa giustificare una specifica valutazione di pericolosità sociale.

La sentenza del TAR Veneto n. 6195/03 del 16 dicembre 2003 annulla il provvedimento di rifiuto del pds adottato dalla Questura di Venezia nei confronti di una persona che è stata sottoposta a tre procedimenti penali. La motivazione del rifiuto è sempre la stessa cioè l’asserita pericolosità sociale del soggetto.
Il TAR prende in considerazione i tre precedenti penali: il primo risalente al 1997, si è concluso con una pronuncia di non luogo a procedere; la seconda vicenda, risalente al 1999 e si è conclusa con una pronuncia di estinzione per esito positivo della messa in prova (si trattava di un reato commesso quando l’interessato era minorenne); l’ultima vicenda, risalente al 23 marzo 2001, il relativo procedimento ancora non è stato definito con una sentenza di condanna e nel frattempo all’interessato sono stati concessi gli arresti domiciliari, poi sostituiti con l’obbligo di presentazione.
Ora il giudizio di pericolosità sociale – secondo il TAR – doveva risultare motivato in maniera più puntuale. Sia in relazione all’esito delle vicende del ’97 e ’99 che si sono concluse, sia per il giudizio di non pericolosità che si riferisce all’ultima vicenda di carattere penale, proprio perché, come sopra evidenziato, l’autorità giudiziaria ha già valutato la possibilità di concedere i benefici al soggetto imputato nel procedimento.
Di conseguenza, anche in questo caso, si valuta che il provvedimento di rifiuto del rinnovo del pds non è adeguatamente motivato e soprattutto non è stato adottato a seguito di una vera e propria istruttoria, cioè di una valutazione effettiva e puntuale dei fatti.

In altre parole ciò che il TAR del Veneto afferma con le sentenze citate è che non vi è nessun automatismo tra la denuncia in sede penale (o l’esistenza di pendenze penali) e il rifiuto del rinnovo del pds. È sempre e comunque necessaria – perché vi possa essere una interpretazione e applicazione corretta delle norme – una valutazione caso per caso a fronte di una accurata istruttoria con verifica dei fatti e dotata di una adeguata motivazione che consenta quindi all’interessato e al giudice di avere una piena conoscenza degli elementi di valutazione adottati dalla amministrazione competente.

2) La casistica relativa alla regolarizzazione

Si tratta di sentenze del TAR Veneto che si occupano del rifiuto alla domanda di regolarizzazione. Uno dei motivi principali che hanno dato luogo a tanti dinieghi è la pendenza di un procedimento penale. In altre parole, secondo l’indicazione fornita dal Ministero dell’Interno alle questure, è sufficiente che lo straniero interessato sia stato denunciato per uno dei delitti indicati dagli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale perché si debba procedere al rifiuto alla domanda di regolarizzazione (art. 1, comma 8, lett. C) – D.L. 9 settembre 2002, n. 195 convertito nella L. 9 ottobre 2002, n. 222).
Come è noto, quando le questure comunicano il rifiuto del nulla osta alle prefetture queste non effettuano nessuna valutazione in proprio ovvero non si preoccupano di riesaminare la questione, ma recepiscono automaticamente il provvedimento di rifiuto della questura, comunicando all’interessato il rifiuto della domanda di regolarizzazione.

Anche da questo punto di vista le prime interpretazioni della magistratura vanno in un senso diverso.

Il principio di non colpevolezza
Quando abbiamo analizzato la normativa in materia di regolarizzazione (D.L. 9 settembre 2002, n. 195 convertito nella L. 9 ottobre 2002, n. 222) – che prevedeva l’impossibilità di perfezionare la regolarizzazione nel caso di persone denunciate per determinati reati – abbiamo osservato come non fosse conforme al principio di non colpevolezza fino a sentenza definitiva, di cui all’art.27 della Costituzione, il prevedere che una persona in base ad una semplice denuncia (che ancora non avesse formato oggetto di nessun accertamento in sede giudiziaria) potesse essere colpita da un provvedimento di diniego della domanda di regolarizzazione.
E in effetti è proprio su questa motivazione che il TAR del Veneto (non è l’unico, abbiamo notizia anche di una sentenza del TAR di Catania non ancora disponibile) prende in esame i provvedimenti medesimi motivati sulla base della pendenza di una semplice denuncia fatta magari a distanza di anni.

Avevamo già detto che in molti casi alcune questure hanno ritenuto di comunicare il rifiuto di regolarizzazione sulla base di una verifica assolutamente sommaria, ovvero sulla base dell’esistenza di una denuncia senza andare poi a verificare quale esito la stessa avesse avuto (ovvero se in seguito vi fosse stato un procedimento penale concluso con una sentenza, di assoluzione o condanna). Conseguenza diretta di tale prassi è stata quella che in molti casi persone, che erano già state assolte o che avevano già beneficiato dell’archiviazione o dell’estinzione del procedimento, abbiano comunque subito un provvedimento di rifiuto e siano state costrette a ricorrere avverso lo stesso.

Ma tornando alla questione che più ci interessa cioè a quella delle denuncie che sono pendenti e, quindi, non ancora definite con un processo, il TAR del Veneto (sentenza n. 6145 dell’11 dicembre 2003) afferma un principio molto semplice cioè quello che tra due interpretazioni possibili va privilegiata quella conforme alla Costituzione ove si statuisce il principio di non colpevolezza fino a sentenza definitiva di condanna( art. 27), quindi ritiene che la legge 189/2002 (c.d. Bossi – Fini) possa essere interpretata nel senso che in presenza di una mera denuncia non è possibile negare la regolarizzazione senza una ponderazione concreta degli elementi posti alla base della medesima, senza cioè acquisire elementi idonei che l’Amministrazione deve valutare adeguatamente.
Secondo il TAR questa interpretazione appare l’unica conforme la Costituzione, in quanto una denuncia di per sè non indica nemmeno un indizio di colpevolezza in relazione al soggetto denunciato.

In altre parole, si parla della necessità di rispettare il principio di non colpevolezza affermato dalla Costituzione.

La sentenza n. 6196/03 del 16 dicembre 2003 è in tal senso ancora più chiara, in questo caso il TAR Veneto esamina il caso di una persona che si è vista rifiutare la domanda di regolarizzazione perché denunciata per reati in materia di prostituzione: “Ad avviso di questo collegio, l’unica interpretazione costituzionalmente corretta dell’art. 33 della legge 189 del 2002 è quella che prevede non già una semplice denuncia quale condizione ostativa alla regolarizzazione, bensì una denuncia seguita da una qualche valutazione dei fatti, dall’autorità penale ovvero dall’autorità amministrativa. Un’interpretazione rigida della norma porterebbe a sollevare inevitabilmente la questione della sua costituzionalità, in quanto non appare accettabile che una semplice denuncia, che di per sé nulla accerta in capo all’interessato, possa diventare impeditiva della regolarizzazione. Nel caso in esame risulta una denuncia per una serie di reati presso il Tribunale di Firenze, ma risulta anche dallo stesso atto impugnato che i relativi procedimenti penali risultano pendenti essendo ancora in corso le indagini preliminari.
Ne consegue che allo stato non è possibile negare il permesso di soggiorno in assenza di un qualche accertamento sulle vicende penali che riguardano la cittadina straniera”.

E ancora, nella sentenza n. 6149/03 dell’11 dicembre 2003, il TAR del Veneto ha preso in considerazione un caso in cui esiste la denuncia per un determinato reato ( ricettazione – art. 648 c.p.) e in base all’esame dei documenti (gli atti del procedimento penale in corso) prodotti dal ricorrente ha ritenuto che lo stesso fatto debba essere riqualificato e che in particolare la condotta qualificata come ricettazione, già in base ad un esame superficiale, possa essere diversamente definita come falsità materiale (prevista dagli articoli 477 e 492 del codice penale), reato che di per sé non rientra nelle ipotesi ostative previste dalla legge. In questo modo, quindi, non si pone nemmeno il problema di verificare se la denuncia è fondata o meno, perché sarebbe comunque irrilevante ai fini dell’ammissibilità della domanda di regolarizzazione. Come dire che se anche la persona si fosse resa realmente colpevole del reato di falsità materiale (verosimilmente riguardante un documento) questo non ostacolerebbe la domanda di regolarizzazione perché, secondo la legge, il suo rifiuto non è giustificato.
Ecco che anche in questo caso il ricorso è stato accolto grazie ad una diversa qualificazione giuridica del fatto che ha formato oggetto di denuncia.

Con la sentenza n. 5942/03 del 27 novembre 2003 il TAR del Veneto si è occupato di un provvedimento di rifiuto della regolarizzazione che è stato basato unicamente sulla asserita pericolosità sociale del soggetto, senza che la stessa sia stata minimamente motivata. In pratica la pericolosità sociale dell’interessato viene sostenuta solo in base al fatto che il suo precedente provvedimento di espulsione non è stato revocato.
Ricordo che la legge in materia di regolarizzazione (art. 1, comma 8 lett. a) – D.L. 9 settembre 2002, n. 195 convertito nella L. 9 ottobre 2002, n. 222) precisa che la semplice esistenza di un espulsione (non eseguita con accompagnamento forzato alla frontiera) non costituisce un ostacolo perchè può essere automaticamente revocata a fronte della valutazione di circostanze obiettive riguardanti l’inserimento sociale del soggetto.
Sappiamo che nella maggioranza dei casi i provvedimenti di espulsione precedenti sono stati automaticamente revocati considerando il fatto che avere un lavoro e un alloggio costituisce un sufficiente elemento da cui si deduce l’avvenuta integrazione sociale.
Ma in questo caso – non è dato sapere perché – il Prefetto di Venezia ha negato la regolarizzazione in quanto ha rifiutato di revocare la vecchia espulsione senza fornire motivazione alcuna, ma limitandosi solo a sostenere che la persona sarebbe socialmente pericolosa.
Nel caso in esame – dice il Tribunale – la revoca della precedente espulsione risulta possibile alla luce dell’inserimento sociale dello straniero o almeno era necessario effettuare una istruttoria sul punto. Inoltre non risulta che l’espulsione sia avvenuta con l’utilizzo della forza pubblica quindi non saremmo nelle ipotesi di esclusione della regolarizzazione previste dalla legge.
Il difetto di una istruttoria cioè la valutazione dei fatti, appare una motivazione sufficiente per accogliere il ricorso e annullare il provvedimento impugnato”.

Anche in questo caso il rifiuto di regolarizzazione non aveva una valida motivazione.

Sempre secondo la legge in materia di regolarizzazione (D.L. 9 settembre 2002, n. 195 convertito nella L. 9 ottobre 2002, n. 222), l’esistenza di una denuncia per particolari reati avrebbe dovuto determinare motivo di rifiuto della richiesta di regolarizzazione, ma come abbiamo visto, l’interpretazione adottata dal Tribunale Amministrativo Regionale va oltre la formulazione letterale della norma. In altre parole si dice non si può stabilire nessun automatismo tra l’esistenza di una denuncia e il rifiuto della richiesta di regolarizzazione perché altrimenti si violerebbe clamorosamente il principio di non colpevolezza stabilito dalla nostra Costituzione.

L’unica interpretazione possibile è che non c’è nessun automatismo, semmai spetta all’autorità amministrativa l’onere di valutare la situazione caso per caso e solo a fronte della valutazione concreta dei fatti (se non da parte dell’autorità giudiziaria almeno da quella amministrativa) può esserci un motivato rifiuto.

Le vecchie espulsioni
Per l’appunto un’altro impedimento previsto dalla legge in materia di regolarizzazione è quello di escludere la regolarizzazione per chi, oltre ad una denuncia per un qualsiasi reato anche meno grave di quello previsto agli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, abbia anche una vecchia espulsione (art. 1, comma 8, lett. a) del D.L. 9 settembre 2002, n. 195 convertito nella L. 9 ottobre 2002, n. 222)

La coesistenza di una vecchia espulsione con una denuncia per qualsiasi reato anche minimo, sarebbe, secondo la formulazione testuale della norma, idonea ad impedire la regolarizzazione. Ma anche a questo riguardo il TAR del Veneto ha adottato una differente interpretazione che esclude qualsiasi automatismo in questo senso.

Con sentenza n. 6155/03 dell’11 dicembre 2003, il TAR stabilisce che il provvedimento che è stato impugnato risulterebbe motivato in base a due aspetti:

– un precedente provvedimento di espulsione emesso dal prefetto in data 18 giugno 2002, quindi subito prima dell’entrata in vigore della norma di regolarizzazione

– la sottoposizione a procedimento penale per false generalità (art. 496 c.p.), quindi una denuncia per un fatto di modestissima entità.

Da un punto di vista formale i due aspetti – secondo la formulazione della legge – sarebbero sufficienti per escludere la regolarizzazione.
Tuttavia – sostiene il TAR – sulla base della formulazione della norma in materia di regolarizzazione, ovvero l’art. 1 della legge 222/2002, è possibile revocare una precedente espulsione, salvo in alcune ipotesi che non riguardano il caso in oggetto, in quanto non sarebbe possibile revocare un’espulsione eseguita con accompagnamento forzato alla frontiera. Infatti, afferma il TAR che la precedente espulsione non costituisce un elemento ostativo assoluto, in quanto può essere revocata nel caso dell’inserimento dello straniero in italia, come nel caso.
Quanto alla vicenda penale va osservato, come un’interpretazione conforme alla Costituzione dell’art. 1 non permette di negare la regolarizzazione solamente, sulla base di una denuncia o sulla pendenza di una procedura penale, qualora non vi sia stato un qualche vaglio da parte dell’autorità penale o amministrativa”.

Quindi il ricorso è stato accolto perché se da una parte l’espulsione è revocabile, d’altro canto una semplice denuncia non basta a impedire automaticamente il perfezionamento della regolarizzazione. Quindi anche nel caso di coesistente espulsione con una denuncia per reato di qualsiasi gravità, si esclude ogni automatismo. Quindi ecco che è di tutta evidenza la possibilità per tutti quelli che ottengono il rifiuto della domanda di regolarizzazione per questi motivi, di ricorrere ad un analogo ricorso, specialmente se è proposto nel territorio della Regione Veneto, ha notevoli probabilità di essere accolto proprio perché, come sopra enunciato, si basa su un’interpretazione che è già stata recepita dal Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto.

Analogamente, altre sentenze del TAR del Veneto, (nn. 6153/03 e 6154/03 dell’11 dicembre 2003) affermano (a fronte della coesistenza di un procedimento di espulsione e della sottoposizione a procedimento penale nei confronti del richiedente la regolarizzazione) la inammissibilità di qualsiasi automatismo in tal senso. Quindi se da un lato si ritiene che l’espulsione potrebbe essere revocabile a fronte di un inserimento lavorativo dell’interessato, dall’altro si esclude possa avere automaticamente rilievo, senza nessuna valutazione dei fatti e senza nessun accertamento in proprio dell’amministrazione, la semplice denuncia per un reato di qualsiasi genere.

L’espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica
Veniamo ora ad un altro filone di queste sentenze del TAR del Veneto, riguardante un altro motivo di rifiuto della domanda di regolarizzazione.
Ricordo che, sempre la legge in materia di regolarizzazione (art. 1, comma 8, lett. A) del D.L. 9 settembre 2002, n. 195 convertito nella L. 9 ottobre 2002, n. 222), prevede che non si possa regolarizzare la persona colpita da un provvedimento di espulsione, eseguito mediante accompagnamento forzato alla frontiera.
Per provvedimento di espulsione eseguito con accompagnamento forzato alla frontiera non si intende, ovviamente, qualsiasi provvedimento di espulsione ma soltanto il provvedimento di espulsione che non solo è stato notificato, ma che è stato anche eseguito concretamente e coattivamente, ovvero con la forza.
In altre parole, solo nel caso in cui l’interessato sia stato colpito da espulsione, fisicamente portato alla frontiera (magari attraverso un internamento in un Cpt oppure direttamente) e consegnato alla polizia del suo paese di provenienza , la legge esclude la possibilità di regolarizzazione.

Sono molti i provvedimenti di rifiuto della regolarizzazione che sono stati motivati sulla base del fatto che l’interessato sarebbe stato colpito da un provvedimento di espulsione coattiva, ma in più casi il TAR del Veneto li ha annullati proprio sulla base del fatto che non risulta l’avvenuta esecuzione in forma coattiva della procedura d’espulsione ovvero nel provvedimento di rifiuto si dice che l’interessato sarebbe stato colpito da un’espulsione eseguita con la forza e con un accompagnamento alla frontiera, ma in realtà non si indica alcun elemento che permetta di verificare se ciò è avvenuto realmente.
Personalmente, esercitando l’attività di avvocato, ho avuto a che fare con più di un caso in cui le persone interessate dicono di non aver mai lasciato l’Italia e di non essere mai state accompagnate coattivamente alla frontiera (tanto è vero che sono ancora qui e hanno fatto pure domanda per la regolarizzazione), si sono viste comunicare il rifiuto della domanda di regolarizzazione perché risulterebbero essere state colpite da un provvedimento di espulsione e accompagnate con la forza alla frontiera. Ma ciò evidentemente non si è mai verificato.
Può essere che queste errate informazioni, che hanno talvolta permesso di adottare errati provvedimenti, traggano origine dalla formulazione ambigua dei dati inseriti nei computer, forse i dati ufficiali del Governo relativi alla esecuzione dei provvedimenti d’espulsione –che di certo ha bisogno di far vedere che si “buttano fuori” tanti stranieri clandestini – non si prestano ad una lettura univoca, cosicché può forse capitare che per errore si scambi un’espulsione semplicemente notificata all’interessato con l’invito a lasciare l’Italia, con un’espulsione che in teoria avrebbe dovuto essere realmente eseguita con un accompagnamento forzato alla frontiera. Ecco che molte persone hanno già fatto ricorso ed è grazie a loro che ora abbiamo delle sentenze del Tribunale Amministrativo Regionale che affermano dei principi che possono essere utilizzati da molti altri. Infatti in tanti hanno fatto ricorso dicendo che “la regolarizzazione mi è rifiutata perché sono stato accompagnato con forza alla frontiera ma questo non è mai successo”.
L’orientamento del TAR del Veneto è quello di ritenere questi provvedimenti illegittimi perché in realtà non risulta l’avvenuta esecuzione del procedimento di espulsione e di accompagnamento forzato alla frontiera, né si indica a quale frontiera lo straniero sia stato accompagnato e in quale giorno, e quindi la motivazione non risulta sufficiente e sorretta da una adeguata istruttoria (vale a dire da una adeguata verifica delle circostanze di cui si deve dar conto nella motivazione del provvedimento) perché non identifica in modo idoneo i presupposti del rifiuto.

Con la sentenza n. 6152/03 dell’11 dicembre 2003, il Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto prende in considerazione un caso di diniego di regolarizzazione a fronte di tre espulsioni, disposte la prima in data 3 agosto 1993 dal prefetto di Brindisi, la seconda in data 27 maggio 1997 dal prefetto di Taranto, e l’ultima disposta coattivamente dalla questura di Bologna in data 27 luglio 1997. Orbene l’art. 1 della legge n. 222 del 2002 non considera ostativa l’espulsione, a condizione che lo straniero sia inserito nel tessuto sociale italiano, a meno che non si tratti di espulsione con accompagnamento alla frontiera tramite forza pubblica. La dizione usata nel provvedimento impugnato, l’espulsione cioè coattiva, non equivale di per sé all’espulsione tramite accompagnamento alla frontiera con forza pubblica. Ne consegue che dal provvedimento impugnato non emergono ragioni tassative di diniego di regolarizzazione, o perlomeno l’istruttoria sul punto risulta del tutto carente. In altre parole la formulazione utilizzata nel provvedimento impugnato, quella secondo cui l’interessato sarebbe stato colpito da un’espulsione coattiva, non permette di identificare un provvedimento di accompagnamento alla frontiera, quindi –ritenendo che a causa della mancanza di istruttoria e della conseguente carenza di adeguata motivazione non si possa considerare esistente il presupposto previsto dalla legge per escludere la regolarizzazione – il Tribunale ha ritenuto di annullare il Provvedimento.

Analoga motivazione è quella contenuta nelle sentenze nn. 6146/03 e 6148/03 sempre dell’11 dicembre 2003. Si tratta di provvedimenti di rifiuto adottati “automaticamente” dalla Questura di Verona, con analoga motivazione.

Dal numero effettivamente cospicuo di sentenze emesse si evince che ci sono stati molti ricorsi a fronte di tantissimi provvedimenti di diniego, ma soprattutto quello che è più importante ribadire ancora è che l’interpretazione che al momento risulta applicata dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto è quella di escludere ogni automatismo.

Riassumendo:

– Chi ha avuto una denuncia in sede penale può chiedere la regolarizzazione e soprattutto può mettere in discussione il provvedimento di diniego.

– Chi ha avuto una precedente espulsione, che il prefetto competente rifiuta di annullare, può mettere in discussione il provvedimento di rifiuto della domanda di regolarizzazione e validamente proporre un ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale.

Le segnalazioni nel Sistema Informativo Schengen
Un altro motivo di rifiuto, ampiamente utilizzato per le regolarizzazioni, è che l’interessato risulti segnalato nel Sistema Informativo Schengen (SIS) come non ammissibile nel territorio Schengen.
Sempre secondo la previsione della norma (art. 1, comma 8, lett. B) del D.L. 9 settembre 2002, n. 195 convertito nella L. 9 ottobre 2002, n. 222), in questa ipotesi non si potrebbe perfezionare la regolarizzazione.

Relativamente a ciò con sentenza n. 6156/03 dell’11 dicembre 2003, il TAR Veneto afferma che “Una interpretazione costituzionalmente corretta delle ragioni ostative della legge italiana, non possa che obbligare l’amministrazione ad acquisire dallo Stato estero la documentazione relativa alle ragioni della inammissibilità nell’ area Schengen, in quanto le fattispecie previste dalla norma del trattato, vanno dalla commissione di gravi reati fino alla semplice irregolarità amministrativa. Risulta indispensabile quindi che l’autorità nazionale acquisisca idonea documentazione dallo Stato estero, onde appurare quale sia la ragione della dichiarata inammisibilità, e, solo sulla base di tale istruttoria, motivare l’eventuale provvedimento di diniego di regolarizzazione.

Va inoltre segnalato che in alcuni casi di è verificato che gli interessati si siano visti rifiutare il perfezionamento della regolarizzazione perché risultavano segnalati nel Sistema Informativo Schengen, quando nel frattempo avevano già ottenuto, dalle autorità estere che avevano inserito la segnalazione nel S.I.S., la cancellazione della segnalazione. Ecco che a maggior ragione non vi può essere nessun automatismo perchè non basta dire “Nel terminale risulta segnalato”, ma è necessario specificare per quali ragioni e, soprattutto, fare riferimento allo specifico provvedimento dell’autorità straniera che ha adottato la segnalazione.

Quindi un provvedimento generico di rifiuto della regolarizzazione per la semplice segnalazione dell’interessato nel Sistema Informativo Schengen, risulta essere – sempre sulla base dell’interpretazione adottata dal Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto e in base al necessario rispetto dei principi della nostra Costituzione – un provvedimento illegittimo e può essere validamente impugnato.