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Commento al codice comunitario delle frontiere Schengen

Obbligo di fornire informazioni nelle diverse lingue

Si vuole di seguito commentare il Regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 marzo 2006 che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice delle frontiere Schengen) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea L 105/1 del 13.04.2006.
Come è noto, a seguito della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen del 14 giugno 1985 e successivamente all’ integrazione della stessa nell’ambito della normativa comunitaria, il controllo delle frontiere esterne è regolato da norme che armonizzano la legislazione degli Stati membri e che al tempo stesso sopprimono i controlli alle tradizionali frontiere interne tra gli stessi.

Sempre nel senso della progressiva armonizzazione e per rafforzare la operatività della apposita Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea istituita dal regolamento (CE) n. 2007/2004 del Consiglio del 26 ottobre 2004 (GU L 349 del 25.11.2004, p.1) che dovrà svolgere anche compiti di coordinamento delle funzioni di polizia, il regolamento mira a stabilire delle norme uniformi applicabili al controllo di frontiera sulle persone che attraversano le frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea (art. 1).

Obbligo di informazione in lingua
L’art. 7 del regolamento (Verifiche di frontiera sulle persone) prevede un’attività di verifica alla frontiera, con particolare riguardo ai cittadini provenienti dai paesi terzi (extracomunitari) nei confronti dei quali è possibile effettuare delle verifiche approfondite sia all’ingresso che all’uscita (art. 7, comma 3) che possono consistere nell’accertare se il documento, il titolo di viaggio, il passaporto o il visto possano essere contraffatti, se si tratti di persone segnalate ai fini della non ammissione nella banca dati Schengen, o comunque persone che possono essere considerate pericolose per la sicurezza o l’ordine pubblico degli Stati. In occasione di queste verifiche approfondite, è previsto che siano fornite agli interessati delle informazioni.
Il comma 5 dello stesso articolo prevede infatti che “i cittadini di paesi terzi sottoposti ad una verifica approfondita in seconda linea sono informati sull’obiettivo e sulla procedura seguita per l’effettuazione di tale verifica. La norma prevede che tali informazioni sono disponibili in tutte le lingue ufficiali dell’Unione o nelle lingue del o dei paesi limitrofi allo Stato membro interessato e indicano la possibilità per il cittadino di paese terzo di chiedere il nome o il numero di matricola delle guardie di frontiera che effettuano la verifica approfondita in seconda linea, nonché il nome del valico di frontiera e la data dell’attraversamento alla frontiera”.
Dobbiamo quindi attenderci che, in occasione di queste verifiche approfondite, ciascuna persona si veda consegnare in forma scritta queste informazioni in lingua alla stessa conoscibile, quanto meno in tutte le lingue ufficiali dei paesi dell’Unione e nelle lingue dei paesi limitrofi. Staremo a vedere se questa norma che entra in vigore il 13 ottobre 2006, sarà rispettata all’atto del controllo delle frontiere esterne da parte dei singoli Stati.

I timbri
È degno di nota anche quanto precisato all’art. 11 del regolamento (Presunzione in ordine alle condizioni relative alla durata del soggiorno), laddove ci si riferisce all’apposizione dei timbri alla frontiera. È previsto che il timbro venga apposto obbligatoriamente sul documento di viaggio dello straniero. Quello che però non è ancora chiaro è dove dovrebbero essere apposti questi timbri nel caso in cui si tratti di cittadini stranieri che possono utilizzare come documento di viaggio non il tradizionale passaporto, bensì la normale carta di identità nazionale. La carta di identità normalmente non ha uno spazio libero per l’apposizione di timbri.
A questo riguardo sorge un dubbio, maggiormente rafforzato dall’art. 11, comma 1, ove si prevede che “se il documento di viaggio di un cittadino di paese terzo non reca il timbro di ingresso, le autorità nazionali competenti possono presumere che il titolare non soddisfa più le condizioni relative alla durata del soggiorno applicabili nello Stato membro in questione”.
È giusto ricordare che la normativa nazionale già prevede – ancora prima della legge Bossi Fini – che la polizia di frontiera apponga sistematicamente sul documento di viaggio il timbro di ingresso. Quello che preoccupa è capire cosa succede nel caso in cui l’interessato non abbia un timbro di ingresso sul passaporto oppure sulla carta di identità.

Quali conseguenze per chi non ha il timbro?
Fino ad ora nessuna norma nazionale prevedeva in tal caso delle conseguenze, anche perché il dovere di applicare il timbro di ingresso è riferibile direttamente alle forze di polizia e non c’è l’obbligo dell’interessato di andare a chiedere e pretendere l’applicazione dello stesso sul suo documento.
Nel caso in cui un cittadino di un paese terzo o extracomunitario si rechi alle autorità di polizia per chiedere il permesso di soggiorno e non abbia il timbro di ingresso sul suo documento di viaggio, che cosa succede? Ci riferiamo in particolare ai permessi di soggiorno di breve durata per i quali in moltissimi casi, non è necessario richiedere un visto di ingresso, cosicché in mancanza di timbro di ingresso non è possibile dimostrare che l’interessato si è presentato alle autorità di polizia per chiedere il pds entro i consueti 8 giorni.

Ulteriori esclusioni, più espulsioni
Se finora non vi erano stati grandi problemi, perché di fronte alla mancanza del timbro le questure non potevano sollevare particolari obiezioni nei confronti dell’interessato, ora, in base alla norma in commento, si prevede che si possa presumere irregolare l’ingresso, oppure che la richiesta del pds è stata fatta in ritardo rispetto al limite prescritto di 8 giorni.

La prova
Infatti, se all’art. 11 è già stato chiarito che la mancanza del timbro di ingresso può far presumere la mancanza delle condizioni per stabilire il soggiorno nel paese, al comma 2, si precisa che la “presunzione di cui al paragrafo 1 può essere confutata, qualora il cittadino di paese terzo fornisca, in qualsiasi modo, elementi di prova attendibili, come biglietti di viaggio giustificativi della sua presenza fuori del territorio degli Stati membri, che dimostrino che l’interessato ha rispettato le condizioni relative alla durata di un soggiorno breve”.
Ne discende che, in qualche modo, si inverte l’onere della prova.
Non è più l’autorità di polizia che deve dimostrare, per esempio, che l’interessato è arrivato già da più di 8 giorni nel territorio dello Stato, ma è l’interessato che deve dimostrare di essere stato fuori dal territorio dello Stato fino ad un certo momento e che quindi ha rispettato il termine previsto per la presentazione della domanda di soggiorno alle autorità di polizia.
La norma non manca di preoccupare perché, all’art. 11, comma 3, si prevede che se la presunzione di irregolarità di cui al comma 1 non è confutata, “le autorità competenti possono espellere il cittadino di paese terzo dal territorio degli Stati membri in questione

Esempio pratico – Se a decorrere dal 13 ottobre 2006 (data dell’entrata in vigore del regolamento) uno straniero entrerà in Italia in possesso della carta di identità, nel caso in cui sia abilitato a farlo, o con passaporto senza che vi sia apposto un timbro di ingresso, sarà lui stesso a dover dimostrare che è arrivato ad una certa data e che fino ad una altra data era invece fuori dallo spazio Schengen, perché altrimenti potrà essere presunta l’irregolarità del suo soggiorno nel territorio e potrà essere applicato nei suoi riguardi un provvedimento di espulsione.

Forme di respingimenti comuni
All’art.13 (Respingimento) si prevede l’armonizzazione dei provvedimenti di respingimento alla frontiera.
Sappiamo che quando una persona si presenta alla frontiera esterna dello spazio Schengen, può essere disposto il respingimento nel caso in cui non possegga i requisiti richiesti per l’ingresso nel territorio o nel caso in cui risulti segnalato nel Sistema Informativo Schengen (S.I.S.) a seguito di provvedimenti di espulsione o condanne.
L’articolo in commento prevede l’adozione di un formale modello uniforme di provvedimento di respingimento specificamente previsto all’allegato V, parte B, del regolamento che dovrà essere utilizzato dalle polizie di tutti i paesi che effettueranno controlli alle frontiere esterne. Inoltre gli Stati dovranno raccogliere statistiche sul numero di persone respinte che saranno trasmessi annualmente alla Commissione (art. 13, comma 5). Precisiamo che questa norma non comporta nessuna innovazione rilevante perché è la legislazione di ogni singolo Paese che prevede diversi tipi di conseguenze nel caso in cui sia adottato il respingimento.

Esempio pratico – In base alla legge italiana, se una persona si presenta munita di documento di identità, ma non del visto (nel caso in cui tale documento sia previsto per il suo ingresso) potrà essere respinta alla frontiera. Ma questo provvedimento di respingimento, non comporterà nessun’ altra conseguenza. Teoricamente la stessa persona potrebbe presentarsi il giorno dopo allo stesso valico di frontiera, munita del visto prescritto e transitare regolarmente senza ulteriori conseguenze e senza alcun pregiudizio per la sua posizione. Diversamente in altri paesi dell’Unione europea sono in questo caso previste sanzioni analoghe a quelle che in Italia sono previste per il provvedimento di espulsione, ovvero una interdizione dal successivo ingresso.
Abbiamo pertanto un provvedimento che “armonizza” ma che però comporta ancora delle conseguenze diversificate per i singoli paesi membri dell’Unione

I provvedimenti di respingimento dovranno essere scritti
L’unica cosa che nella realtà pratica si modificherà è che le autorità di polizia che svolgeranno controlli alla frontiera saranno costrette ad adottare provvedimenti scritti in tutti i casi in cui eseguiranno provvedimenti di respingimento. Diversamente, l’acquisizione dei dati statistici da parte della Commissione europea potrebbe mettere in evidenza l’eventuale inottemperanza di queste disposizioni perché, se risultasse che un determinato paese ha formalmente adottato pochissimi provvedimenti di respingimento, quando è noto che presso quel paese si verificano molti tentativi di ingresso irregolare, risulterebbe evidente che lo stesso non sta rispettando l’obbligo di adottare un provvedimento formale e motivato, consegnandone copia al diretto interessato.
Da questo punto di vista vedremo se i singoli Stati membri, in particolare l’Italia, garantiranno un’effettiva attuazione di questa normativa e se nell’attuarla concretamente, chiariranno alcuni dei problemi interpretativi cui abbiamo in parte già accennato