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Commento al decreto del Ministero dell’Interno del 7 ottobre 2004

Dichiarazione di svincolo dalla cittadinanza originaria

Il decreto in oggetto mette mano alla normativa in materia di naturalizzazione, ossia di acquisto della cittadinanza da parte di stranieri a fronte di una perdurante residenza in Italia.
L’art.9 della legge 91/1992 (Nuove norme sulla cittadinanza) prevede in via generale che la cittadinanza italiana può essere concessa allo straniero che risiede legalmente nel territorio italiano da almeno 10 anni; non si tratta quindi di un diritto, ma di una concessione di carattere discrezionale.

La novità introdotta dal decreto citato riguarda un adempimento particolare che rientra nella procedura di acquisto della cittadinanza per naturalizzazione, che viene definito “dichiarazione di svincolo dalla cittadinanza originaria”; pare opportuno precisare di seguito alcune considerazioni al riguardo.

Fino ai giorni nostri nell’ambito della procedura di acquisto della cittadinanza, oltre a tutta la documentazione generalmente prevista, era richiesto un documento molto particolare che portava il nome di “dichiarazione di svincolo dalla cittadinanza originaria”.
Questa forma di dichiarazione non era per la verità espressamente prevista nella legge 91/1992, così come non era espressamente prevista nei regolamenti di attuazione (d.p.r. 12 ottobre 1993, n. 572 e d.p.r. 18 aprile 1994, n. 362), che tuttavia prevedono che il Ministero dell’Interno possa prescrivere, nell’ambito della procedura di acquisto della cittadinanza, di produrre documenti nuovi o diversi rispetto a quelli già generalmente previsti dalla legge medesima.
Il Ministero degli Interni, con il decreto del 22 novembre 1994, successivamente modificato col decreto del 25 maggio 2002, ha previsto nell’ambito della documentazione da esibire a corredo della domanda di cittadinanza, il cosiddetto certificato di svincolo dalla cittadinanza originaria.
Il termine utilizzato potrebbe far pensare che lo straniero sia obbligato a rinunciare alla cittadinanza del paese d’origine, nel momento in cui si accinge a chiedere la cittadinanza italiana in base alla legge sulla naturalizzazione.
Invece non è così.
Infatti la legge 91/1992, così come la precedente legge 13 giugno 1912, n. 555 sulla cittadinanza italiana, ammettono serenamente il possesso di una doppia e persino tripla cittadinanza, in base al principio generale del diritto internazionale denominato “principio di rispetto della sovranità degli Stati”.
In altre parole, “ognuno comanda a casa propria” e, quindi, la legge italiana non può assolutamente influenzare la legge di altri paesi prescrivendo a quali condizioni uno Stato estero può riconoscere, mantenere o far perdere la cittadinanza ad un proprio cittadino.
Allo stesso modo, la legge italiana può prevedere che si riconosca il diritto di acquistare la cittadinanza italiana a certe condizioni, ma non può comunque stabilire alcuna condizione che sia destinata a ricadere nel paese di origine del richiedente. D’altra parte il rispetto del principio di sovranità degli Stati impone anche di rispettare la legge dello Stato straniero, quantomeno nella misura in cui questa viene applicata nel territorio di quello Stato.
In altre parole se la legge italiana riconosce ad uno straniero la cittadinanza italiana, è chiaro che, da quel momento in poi, quel cittadino sarà italiano a tutti gli effetti anche all’estero (potrà per esempio chiedere la protezione diplomatica italiana trovandosi in un paese estero, in quanto cittadino italiano).
Il riconoscimento della cittadinanza italiana, che quindi comporta lo status giuridico di cittadino in qualsiasi condizione si trovi questa persona, non può però andare a pregiudicare la sovranità del suo Stato d’origine.
Anche per quanto riguarda la procedura di acquisto della cittadinanza, la legge italiana non può condizionare la legge degli altri Stati; ne discende quindi che la legge italiana in materia di cittadinanza non può influenzare la legge del paese d’origine, né prevedendo che l’acquisto della cittadinanza comporti automaticamente la perdita della cittadinanza, nel caso in cui sia acquistata la cittadinanza italiana, né vietando che la legge del paese d’origine comporti tale conseguenza, se prevista.

La dichiarazione di svincolo dalla cittadinanza aveva in qualche modo la funzione di mettere lo Stato di origine nella condizione di verificare l’acquisto della cittadinanza italiana e, quindi, di disporre eventualmente la perdita della cittadinanza di origine nel caso in cui la legge di quel Paese prevedesse, quale condizione per mantenere la cittadinanza, il non acquisto di altra cittadinanza. Ecco che quindi, nel caso in cui la legge di un altro Paese avesse previsto la perdita automatica della cittadinanza d’origine, con la dichiarazione di svincolo formalmente comunicata alle autorità di quel paese, si metteva in moto il meccanismo volto a consentire allo stesso di eventualmente cancellare dall’elenco dei propri cittadini la persona che avesse richiesto ed ottenuto la cittadinanza italiana.
Si precisa che, peraltro, ciò accade raramente perché non sono molti i Paesi stranieri la cui legislazione preveda che l’acquisto di una nuova cittadinanza comporti la perdita automatica della cittadinanza originaria.
Precisiamo comunque che la dichiarazione di svincolo dalla cittadinanza originaria faceva paura a molti perché si temeva di perdere o di essere obbligati a rinunciare alla cittadinanza originaria, a fronte dell’acquisto della cittadinanza italiana.
In realtà, giova ripeterlo, questa dichiarazione aveva la semplice funzione di mettere al corrente le autorità del Paese d’origine della procedura di acquisto della cittadinanza e mettere nella condizione di cancellare eventualmente la cittadinanza di origine nel caso in cui la legge di quel Paese l’avesse previsto.

Inoltre aveva la funzione indiretta di mettere sull’avviso gli stessi interessati facendo loro comprendere che, anche qualora avessero acquistato la cittadinanza italiana, nulla avrebbe potuto impedire all’autorità del paese d’origine di continuare a trattarli non come cittadini italiani, bensì come cittadini del paese stesso, sottoponendoli quindi alla sua legge nella misura in cui queste persone, trovandosi nel paese d’origine, fossero sottoposte alla sua sovranità; ciò in funzione del sopra citato principio della sovranità degli Stati.

La dichiarazione di svincolo dalla cittadinanza originaria era peraltro particolarmente laboriosa perché comportava l’inoltro di una dichiarazione alle autorità del paese d’origine e l’attesa di una loro risposta, anche se poi è stato chiarito che la procedura di acquisto della cittadinanza italiana non avrebbe dovuto risentire minimamente di una risposta positiva o negativa delle autorità estere. In altre parole consentendo la legge italiana la doppia cittadinanza, la procedura doveva andare avanti e concludersi indipendentemente da qualsiasi provvedimento o legge di uno Stato terzo. La sopra descritta macchinosa procedura di presentazione della dichiarazione di svincolo dalla cittadinanza originaria, è stata finalmente abolita.

Il decreto del Ministero dell’Interno del 7 ottobre 2004 ha infatti finalmente stabilito che il punto 3 del decreto del Ministero dell’Interno del 22 novembre 1994, così come modificato dal decreto del 25 maggio 2002 - che prevedeva la dichiarazione di svincolo dalla cittadinanza originaria -, è abrogato.
Finalmente quindi le persone che intendono chiedere la naturalizzazione - o che hanno in corso tale procedura - non saranno più terrorizzati da questa ambigua documentazione.
La cittadinanza non viene concessa per avere “un soldato in più nell’esercito italiano”, ma per riconoscere l’appartenenza alla comunità di una persona che vive in Italia, che produce reddito, vive sentimenti e relazioni sociali e che, quindi, deve essere cittadino a tutti gli effetti ed avere dei diritti di convivenza in termini di parità con gli altri appartenenti alla comunità medesima.
Ecco che quindi una concezione moderna della cittadinanza è nel senso direttamente opposto di quanto traspariva dalla dichiarazione in oggetto che finalmente è stata abrogata.

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[ 10 novembre 2004 ]
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