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Commento al decreto flussi 2004

Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 18 del 23 gennaio 2004

Sulla Gazzetta Ufficiale
del 23 gennaio 2004 sono stati pubblicati i due decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (D.P.C.M.) sulle quote di ingresso, rispettivamente per lavoro stagionale e per lavoro subordinato non stagionale e autonomo, inoltre, con la data del 21 gennaio, è stata divulgata dal Ministero del Welfare la relativa circolare n. 5/2004 con le istruzioni applicative.
Dal punto di vista pratico la data della pubblicazione sulla G.U. ha un importanza notevole dato che non è previsto un termine di dilazione (es. 15 giorni) per l’entrata in vigore. Anzi, nella circolare citata si precisa che a partire dalla data di pubblicazione della G.U. dei decreti è consentita l’acquisizione delle domande di autorizzazione al lavoro presso le DPL. Già da adesso dunque è possibile presentare le domande e le DPL sarebbero tenute a recepirle (anche su questo argomento si vedano più oltre le relative considerazioni).

Gli ingressi per lavoro stagionale
Viene fissata una quota massima di 50 mila lavoratori extracomunitari, provenienti da Slovenia, Polonia, Ungheria, Estonia, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca, Slovacchia), di Serbia-Montenegro, Croazia, Bulgaria e Romania. Si tratta in sostanza di tutti i Paesi candidati all’entrata nell’Unione Europea.
Inoltre, sempre la medesima quota, riguarda cittadini di Paesi che hanno sottoscritto o stanno per sottoscrivere accordi di cooperazione in materia migratoria: Tunisia, Albania, Marocco, Moldavia, ed Egitto.
Ed ancora, sia nella circolare che nel decreto si specifica che possono partecipare anche i cittadini stranieri non comunitari titolari di permesso di soggiorno per lavoro subordinato stagionale nell’anno 2002 o 2003. Infatti, in base a quanto previsto dall’art.24, comma 4, del T.U., “il lavoratore stagionale, ove abbia rispettato le condizioni indicate nel permesso di soggiorno e sia rientrato nello Stato di appartenenza alla scadenza del medesimo, ha diritto di precedenza per il rientro in Italia nell’anno successivo per ragioni di lavoro stagionale, avendo quindi diritto di priorità anche se non appartenente ai paesi elencati.

L’ingresso per lavoro subordinato e autonomo
Il secondo decreto fissa una quota complessiva di 29.500 lavoratori extracomunitari, ripartita tra lavoro subordinato (contratti di lavoro a tempo determinato e indeterminato) e lavoro autonomo. Le quote del lavoro autonomo sono utilizzabili solo da particolari categorie di lavoratori (vedi infra). È vero che la legge non pone limitazioni alle categorie di lavoro autonomo ma – per dirla in parole povere – questo decreto è formulato in modo tale da considerare delle quote SOLO per talune categorie di lavoratori.

L’art. 2 del decreto prevede una quota di 6.100 ingressi per motivi di lavoro subordinato non stagionale di cittadini extra U.E. residenti all’estero di nazionalità non predeterminata. Dunque, delle 29.500 quote per lavoro subordinato e autonomo solo 6.100 sono utilizzabili sono utilizzabili dai cittadini provenienti da TUTTI i paesi che non beneficiano della riserva di quote.
Nella circolare si precisa che i beneficiari delle quote riservate (secondo le quantità stabilite per ogni paese) possono utilizzare solo quelle, mentre le 6.100 quote citate sono utilizzabili ESCLUSIVAMENTE da cittadini NON appartenenti ai paesi che beneficiano delle quote riservate. In altre parole, sono due compartimenti stagni.

L’art. 3 prevede una quota di n. 2.500 ingressi per lavoro autonomo solo per determinate categorie:
ricercatori, imprenditori che svolgono attività di interesse per l’economia nazionale, liberi professionisti, soci e amministratori di società non cooperative, artisti di chiara fama internazionale e di alta qualificazione professionale ingaggiati da enti pubblici e privati.
Questo significa che, per esempio, non sarà possibile utilizzare le quote per lavoro autonomo da parte di chi avesse una proposta di contratto di collaborazione a progetto(co.co.pro.), che a seguito della cosiddetta Legge Biagi (D.Leg.vo n°276/03) è la nuova versione del contratto di collaborazione coordinata e continuativa.
Nemmeno i piccoli imprenditori (ad es. artigiani e commercianti) potranno utilizzare queste quote dal momento che si prevede che esse siano utilizzabili solo da imprenditori che svolgono “attività di interesse per l’economia nazionale”.

Si prevede che queste quote siano utilizzabili anche da soci e amministratori di società non cooperative (società per azioni, società a responsabilità limitata, società in nome collettivo, società in accomandita semplice, società semplici), senza che abbia alcun rilievo il fatto che non siano comunque imprese di interesse nazionale (il che fa constatare una diversità di trattamento tra le imprese individuali e le società). In pratica basta essere membri del consiglio di amministrazione o amministratori delegati, anche non soci, oppure soci di un’impresa (senza previsione di una quota percentuale minima di partecipazione), alla sola condizione che non si tratti di soci di cooperativa, dal che si ricava un’evidente diffidenza verso le società cooperative.
Ricordo a questo riguardo che per i soci di cooperative (si veda la legge 142/2001 integrata dalla legge delega n.30 del febbraio 2003), oltre all’adesione al contratto sociale è previsto che debba essere stipulato un ulteriore contratto di lavoro di tipo subordinato o autonomo (es. co.co.pro.). Tuttavia nella maggior parte dei casi, la tipologia della prestazione lavorativa richiesta al socio di cooperativa – poiché esprime tutte le caratteristiche del lavoro subordinato – impone necessariamente la stipula di un separato contratto di lavoro subordinato.
Ecco che nel caso di una cooperativa che volesse utilizzare per le assunzioni il decreto flussi, non si porrebbe direttamente il problema del lavoro autonomo dal momento che la cooperativa potrebbe presentare una normalissima domanda di autorizzazione, con contratto di lavoro subordinato, utilizzando le quote d’ingresso per lavoro subordinato invece di quelle per lavoro autonomo.
Detto questo bisogna dire però che tante altre categorie di lavoratori autonomi non possono beneficiare delle quote per lavoro autonomo. A meno che non si tratti di liberi professionisti o artisti di chiara fama internazionale ingaggiati da enti pubblici o privati.

Per liberi professionisti si dovrebbero sicuramente intendere coloro che esercitano una professione che comporta l’iscrizione in albi, registri, ruoli, elenchi o collegi (es.: medico, architetto, geometra); per tutti, si pone poi il problema dei requisiti di iscrizione, essenzialmente riferibile al riconoscimento dei titoli di studio. Ma ci sono anche attività che sono qualificabili come libere professioni pur non esistendo un albo o registro di iscrizione previsto dalla legge, come ad es. l’aziendalista o il tecnico informatico.
Tuttavia, non può essere considerata come libera professione qualsiasi attività di lavoro autonomo, cosicché non sarebbe possibile tentare di “far passere” diverse tipologie di attività sotto questa qualificazione.
Esempio pratico – Di sicuro l’imbianchino o l’idraulico sono imprenditori artigiani e non liberi professionisti quindi non potrebbero utilizzare le quote per lavoro autonomo.

Artisti di chiara fama internazionale
Un’altra osservazione. La categoria degli artisti di chiara fama internazionale e alta qualificazione personale non comprende la categoria – più ampia – dei cosiddetti “lavoratori dello spettacolo” (circo, locali di intrattenimento, ecc.).
Se da un lato un tecnico delle luci o un lavoratore circense può essere considerato di “alta qualificazione professionale”, non è detto che sia anche un artista di chiara fama.
Faccio questa osservazione perché le quote d’ingresso per lavoro autonomo spesso sono state utilizzate anche per figure professionali di questo tipo. D’altra parte però rimane una forte ambiguità visto che è ancora in vigore la norma dell’art. 27 del T.U. (vedi comma 1, lettere l, m, n, o) che prende in considerazione più in generale la categoria dei lavoratori dello spettacolo e non esclude artisti che non siano di chiara fama o lavoratori dello spettacolo che sono comunque operatori del settore.
La differenza sta nel fatto che le quote per lavoro autonomo consentono il rilascio di un pds di tipo rinnovabile mentre invece le autorizzazioni all’ingresso del personale dello spettacolo di cui all’art.27 citato sono per definizione temporanee e difficilmente prorogabili.

La conversione del pds per lavoro autonomo
Sempre l’art. 3 del decreto disciplina la possibilità della conversione del pds. Si specifica che, all’interno della quota per lavoro autonomo e sempre per le categorie indicate, “sono ammesse, sino ad un massimo di 1.250 unità, le conversioni soltanto ed esclusivamente dei permessi di soggiorno per motivi di studio e formazione professionale”.
Ricordo che il T.U. prevede la possibilità di conversione del pds per motivi di studio, così come del pds per lavoro stagionale, in permesso di soggiorno per lavoro subordinato a tempo indeterminato o determinato (senza quindi dover uscire dall’Italia) nell’ipotesi che vi sia la disponibilità nell’ambito delle quote.
Esempio pratico – Uno straniero che ha un pds per motivi di studio e che vuole stabilizzarsi in Italia può fare la conversione in normale pds per lavoro subordinato, a condizione però che trovi un datore di lavoro che riesca ad ottenere l’autorizzazione all’assunzione. Tutto questo stando direttamente in Italia.
Invece l’art. 3 del decreto fa riferimento alla conversione per lavoro autonomo e prevede che “sono ammesse, sino ad un massimo di 1.250 unità, le conversioni soltanto ed esclusivamente dei permessi di soggiorno per motivi di studio e formazione professionale”. Dunque, si comprende chiaramente che SOLO per chi è in possesso di queste tipologie di soggiorno sarebbe ammessa la conversione, utilizzando una parte (1.250 unità) delle 2.500 quote per lavoro autonomo.
Tuttavia, a questo riguardo, dobbiamo rilevare che la restrizione della possibilità di conversione del pds appare contrastante con quanto disposto da una norma che ha forza e valore di legge.
Il Regolamento di attuazione (DPR 31 agosto 1999, n. 394, ancora in vigore fino a quando sarà sostituito dal nuovo testo la cui elaborazione è ancora in alto mare ) all’art. 39 comma 7 prevede che “lo straniero già presente in Italia, in possesso di regolare pds diverso da quello che consente l’esercizio dell’attività lavorativa, può chiedere alla questura competente la conversione del pds. A questo scopo dovrà essere rilasciato preventivamente il nulla osta ovvero l’attestazione della DPL per cui la richiesta rientra nell’ambito delle quote d’ingresso per lavoro autonomo determinate secondo la legge”.

Ecco che, mentre il R. A. dice che le quote per lavoro autonomo possono essere utilizzate anche per la conversione e senza previsione di limiti da chiunque altro abbia un regolare pds diverso da quello che consente l’esercizio di attività lavorativa (ad es.: turismo), il decreto flussi stabilisce l’esatto contrario, ovvero la possibilità di conversione solo per chi possiede un p.d.s. che, invece, consente lo svolgimento di attività lavorativa, sia pure a determinate condizioni (di durata per i p.d.s. per lavoro stagionale e di monteore annuo per i p.d.s. per studio).
Di conseguenza di potrebbe anche immaginare che, chi fosse interessato alla conversione per lavoro autonomo nell’ambito delle quote del decreto flussi in quanto munito di un pds per turismo, , potrebbe anche proporre un ricorso al TAR contro il provvedimento che esclude il rilascio del nulla osta a fronte della asserita inammissibilità della domanda di conversione.

In definitiva, la norma sulle quote per lavoro autonomo offre pochi spazi e dimostra che è stata volutamente limitata la possibilità di utilizzo per le conversioni da parte di chi ha un regolare pds in Italia.

In buona sostanza SOLO chi ha un pds per motivi di studio e formazione professionale può effettuare la conversione e SOLO per le tipologie di attività autonome sopra indicate. Poiché è più difficile immaginare che un lavoratore stagionale si “ricollochi” in una attività autonoma tra quelle considerate nel decreto flussi, possiamo immaginare che il caso tipico sia quello dell’ex studente o di colui che sta finendo gli studi (e vede avvicinarsi la data in cui non potrà più rinnovare il permesso di soggiorno), che è in possesso di un pds per studio che sta per scadere e chiede ora la conversione del pds per svolgere l’attività di libero professionista, potendo far valere il proprio titolo di studio conseguito in Italia per l’iscrizione all’albo o ordine di appartenenza.
Di certo – è questo è specificato anche nella circolare – ai fini della conversione si può prendere in considerazione la domanda di nulla osta solo da parte di chi sia ancora in possesso di un pds in corso di validità.
Esempio pratico – Possiamo già immaginare che sarà escluso dalla possibilità di conversione chi fosse in possesso di un pds per studio scaduto il 31 dicembre 2003 poiché, nel momento in cui presenterà la domanda, non sarà in possesso di un pds in corso di validità (viceversa, la scadenza del p.d.s. successiva alla presentazione della domanda di nulla osta finalizzata alla conversione potrebbe pienamente giustificare la richiesta di proroga del permesso di soggiorno, non potendosi far pagare all’utente la lentezza della pubblica amministrazione).

Le quote per i lavoratori di origine italiana
L’art. 4 del decreto flussi prevede una quota massima di 400 ingressi, per motivi di lavoro subordinato non stagionale e di lavoro autonomo, riservata a lavoratori di origine italiana residenti in Argentina, Uruguay e Venezuela.

Come si vede si sono estese le quote per lavoratori di origine italiana, visto che lo scorso decreto flussi prendeva in considerazione solo chi proveniva dall’Argentina.
Si deve trattare di discendenti in linea retta di cittadini italiani, entro il terzo grado, quindi la possibilità di utilizzare queste quote passa attraverso la dimostrazione dell’origine italiana, che non mancherà di comportare, come in passato, enormi difficoltà di documentazione; sappiamo purtroppo che presso le ambasciate italiane in Argentina, Uruguay e Venezuela, i tempi di attesa per la verifica sulla cittadinanza italiana dei propri avi sono molto lunghi. E sappiamo anche che non sempre la verifica potrà essere effettuata direttamente presso le sedi consolari italiane e che l’acquisizione di questi certificati in Italia, per chi vive all’estero, è davvero complicata e spesso comporta vere e proprie ricerche poliziesche. Questo perché si deve ricostruire la nazionalità del/della nonno/a o del/della bisnonno/a, che magari risiedeva in un comune che è stato spazzato via dalla guerra.
Sempre all’art. 4 si precisa che l’inserimento in un apposito elenco dettagliato per qualifiche professionali costituisce un elemento di ammissibilità per la domanda. Perciò SOLO coloro che siano già inseriti in questo apposito elenco (tenuto presso le competenti rappresentanze diplomatiche consolari italiane) potranno utilizzare la quota riservata per i lavoratori di origine italiana, anche nel caso in cui il datore di lavoro abbia già fatto le proprie scelte ed intenda proporre una richiesta nominativa riferita ad una persona in possesso di una qualifica già da lui individuata (un esempio di come la burocrazia non ammette ragioni…). L’inserimento nell’elenco implica, come abbiamo già detto, l’accertamento da parte della rappresentanza diplomatica o consolare italiana sia della qualifica (in base a documentazione riferibile al paese di provenienza) che del requisito dell’origine italiana entro il grado prescritto.
Questo inserimento può essere reso conoscibile mediante la consultazione dell’elenco stesso attraverso il sistema informatizzato SILES, accessibile mediante il sito del Ministero del Lavoro; si tratta di un sistema informatizzato direttamente attingibile anche dalle (e si dovrebbe ritenere anche presso le) Direzioni Provinciali del Lavoro, esso è già istituito con riferimento ai cittadini argentini di origine italiana ed ora dovrà essere incrementato in relazione anche agli oriundi di nazionalità uruguaiuana e venezuelana.
Si precisa nella circolare che “nel caso in cui l’inserimento nell’elenco non risultasse verificabile attraverso il sistema informatico SILES potrà e dovrà essere documentato mediante apposita certificazione rilasciata dalla rappresentanza consolare che vi ha provveduto” (già, perché tra l’accertamento presso la rappresentanza consolare e la concreta iscrizione nella banca dati si sa già che passerà del tempo…).

Gli ingressi riservati a determinati Paesi – La ripartizione delle quote
Abbiamo detto sopra che sono state assegnati 6.500 ingressi per i lavoratori che non appartengono ai paesi che beneficiano della riserva.
L’art. 5 prevede una quota massima di 20.500 ingressi per lavoro subordinato non stagionale ripartita nel modo seguente:

1) n. 500 per cittadini stranieri extracomunitari residenti all’estero, appartenenti alla categoria dei dirigenti o personale altamente qualificato;
2) n. 20.000 ingressi riservati a cittadini di Paesi che hanno sottoscritto o stanno per sottoscrivere specifici accordi di cooperazione in materia migratoria che, secondo la specificazione contenuta nel citato DPCM, sono così ripartiti:

3.000 cittadini albanesi

3.000 cittadini tunisini

2.500 cittadini marocchini

1.500 cittadini egiziani

2.000 cittadini nigeriani

1.500 cittadini moldavi

1.500 cittadini dello Sri Lanka

1.500 cittadini del Bangladesh

1.000 cittadini pakistani

2.500 cittadini di altri Paesi non appartenenti all’Unione Europea che concludano accordi finalizzati alla regolamentazione dei flussi d’ingresso e delle procedure di riammissione.

Verosimilmente dunque questi 2500 posti rimarranno riservati a cittadini di Paesi che nel corso di quest’anno perfezioneranno accordi di cooperazione in materia di immigrazione.
Il Ministero del Lavoro ha già curato (tenendo conto dei bisogni segnalati dalle singole sedi) la distribuzione tra le Regioni e le Province autonome delle quote per lavoro stagionale e delle quote per lavoro subordinato non stagionale.
Abbiamo dunque delle quote per ogni Regione, che tengono distinte le cosiddette quote generali (utilizzabili da cittadini provenienti da Paesi diversi) e poi la specifica indicazione delle quote riservate (si vedano i prospetti allegati alla circolare).

Si precisa poi nella circolare che “è stato ritenuto opportuno procedere alla ripartizione anche della quota specificatamente prevista per il lavoro non stagionale con riferimento a dirigenti o personale altamente qualificato limitatamente al 90% – quindi 450 unità rispetto alle 500 previste – perché si prevede che la parte residua pari a 50 unità sia tenuta a disposizione momentaneamente come riserva da utilizzare per effettuare, in base alle necessità, assegnazioni aggiuntive”.
Verosimilmente quindi queste 50 unità di riserva verranno assegnate agli Uffici del lavoro che per primi esauriranno i posti disponibili e/o che avranno un maggior afflusso di domande per queste tipologie di assunzione.
Anche le quote generalmente previste per il lavoro subordinato non stagionale, quindi indipendentemente dalle qualifiche, non sono state messe subito tutte a disposizione. Una parte di esse infatti è stata tenuta a disposizione con la stessa finalità di una successiva gestione.
In particolare:
per i tunisini 300 quote
per i marocchini 300 quote
per gli egiziani 200 quote
per i moldavi 200 quote
e 600 delle quote previste per le altre che non beneficiano delle riserve, sono state tenute congelate per una successiva disponibilità.

Si spiega nella circolare che “l’accorgimento è finalizzato ad assicurare soddisfacimento delle domande di assunzione di manodopera da impiegare nell’esecuzione delle cosiddette grandi opere. Per grandi opere si intendono le infrastrutture e gli insediamenti produttivi strategici individuati a mezzo di un apposito programma approvato in attuazione dell’art. 1 della legge 21 dicembre 2001 n. 443 (speriamo che non debbano attendere la costruzione del ponte sullo stretto di Messina…).
In questi casi, quando la DPL avrà ricevuto la domanda di nulla osta, provvederà innanzitutto a verificare se essa è giustificata in base al previsto impiego nell’esecuzione di una di queste grandi opere (verosimilmente, si prenderà in considerazione l’impiego anche presso imprese subappaltatrici) e, una volta accertata l’esistenza di tutti i presupposti per il rilascio dell’autorizzazione al lavoro, chiederà l’assegnazione di parte di queste quote congelate al Ministero del Lavoro, che effettuerà dunque l’assegnazione attribuendo priorità alle richieste secondo l’ordine di arrivo.

Si specifica nella circolare che “la quota di 2500 cittadini di altri paesi non appartenenti all’Unione Europea che concludano accordi in materia migratoria attualmente non è utilizzabile, essendo precostituita per dare esecuzione a futuri accordi, diventerà utilizzabile e sarà distribuita solamente dopo la loro conclusione”.

La restante quota per il lavoro non stagionale all’art. 4 non è stata ripartita. Di conseguenza la quota relativa ai lavoratori di origine italiana verrà amministrata sulla base dell’esame del flusso di domande che provengono rispettivamente dall’Argentina dall’Uruguay e dal Venezuela.

L’inoltro delle domande: modalità e documentazione
La Circolare n.5 precisa che “In conformità a quanto previsto dalla circ. 4/2002 del Servizio lavoratori extracomunitari, a partire dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei DPCM, è consentita l’acquisizione delle domande di autorizzazione al lavoro che i datori di lavoro devono presentare presso le sedi provinciali”.
Direi che è stato usato un termine non corretto. Non si può dire che sarà “consentita” l’accettazione delle domande ma si deve ritenere che sia dovuta perché si ritiene che questo provvedimento debba avere uguale efficacia su tutto il territorio nazionale, che non consenta alle DPL di amministrare a piacimento il momento iniziale di decorrenza del decreto stesso, quindi di raccolta delle domande.
Altro non indifferente ordine di problemi riguarda la prassi che seguiranno gli uffici: la circolare n.5 conclude di fatto dicendo che “le domande da presentare presso le Direzioni Provinciali del Lavoro devono essere corredate della prescritta documentazione”. Si tratta di un’indicazione che, per la verità , risulta piuttosto ambigua se consideriamo l’esperienza sulla variegata prassi applicata con i precedenti decreti dai diversi Uffici del Lavoro.
Nulla dice infatti la circolare sulle forme, sulle modalità di inoltro e sulla prescritta documentazione.
Poiché alla circolare stessa non vengono nemmeno allegati i moduli prestampati per le diverse tipologie di domanda, non si sa ancora quali moduli utilizzare e nemmeno le Direzioni provinciali del Lavoro hanno le idee chiarissime al riguardo.
Alcune Direzioni Provinciali del Lavoro hanno dato l’indicazione di utilizzare i moduli vecchi, tra queste, per esempio, la DPL di Venezia. In effetti, rispetto ai decreti flussi del 2003 nulla è cambiato dal punto di vista del quadro normativo e quindi si dovrebbe ritenere in perfetta buona fede che siano utilizzabili i moduli vecchi fino a quando non fossero messi a disposizione quelli nuovi e che in ogni caso le domande già presentate debbano ritenersi validissime ed eventualmente integrabili senza perdere la priorità acquisita.
Quanto osservato, tuttavia, non può certo escludere che taluni uffici –ed ho ricevuto segnalazioni di diverse prassi per il momento non ancora formalmente indicate dalle DPL– stiano cambiando, per così dire, le carte in tavola, predisponendo indicazioni diverse sulla documentazione e sulla modulistica.
Tutti possono comprendere che la corretta la presentazione delle domande è fondamentale in una gara a chi arriva prima, ed è quindi grave che il Ministero del Lavoro non faccia alcuna chiarezza sulla prassi che verrà seguita dalle diverse Direzioni Provinciali del Lavoro.

Non è affatto indifferente sapere quale dovrà essere la documentazione richiesta, ovvero la cosiddetta documentazione prescritta. Oltre alla modulistica, il grosso problema riguarda l’individuazione della documentazione necessaria o ritenuta necessaria perché non è detto che la documentazione da presentare, secondo tutti o alcuni Uffici Provinciali del Lavoro, sia la medesima prescritta in occasione dell’ultimo decreto flussidel giugno scorso.
Al riguardo ci viene segnalato che da parte di alcuni uffici si ventila informalmente che le domande ritenute incomplete potranno essere integrate ma che perderanno la priorità acquisita, sappiamo che ciò è accaduto anche in passato ma che poi sono state effettuate e/o ammesse le richieste di integrazione delle pratiche senza applicare questa sorta di decadenza, che invero potrebbe valere solo se espressamente prevista dalla legge, come si verifica nelle gare pubbliche d’appalto.

Come minimo dovrà essere utilizzata tutta la documentazione indicata nella modulistica messa a disposizione in occasione del precedente decreto flussi.
Nel dubbio, e soprattutto in mancanza d’altro, varrà comunque la pena di presentare la domanda e di utilizzare tutta la documentazione possibile, sempre ché disponibile.

Del resto, l’aggravio di pratiche burocratiche che tutto ciò potrà comportare è imputabile soltanto alla inefficienza dell’amministrazione centrale (che in materia di governo dei flussi migratori è una costante).
E’ ovvio che potranno poi essere proposti numerosi ricorsi contro i dinieghi, a fronte di arbitrarie esclusioni, ma è altrettanto ovvio che questi ricorsi, quand’anche sostenuti da valide ragioni, richiederebbero tempo, denaro, informazioni adeguate, insomma non costituirebbero un adeguato e diffuso rimedio. In ogni caso non permetterebbero di avere ora, quando serve, chiare e soprattutto certe indicazioni.

Altro aspetto aleatorio è se la domanda con la documentazione potrà essere inoltrata solo personalmente dal datore di lavoro o se potrà essere inoltrata da una persona delegata dal datore di lavoro. In passato sappiamo che veniva riconosciuta la possibilità di inoltrare la domanda da parte di una persona delegata (delega scritta in carta semplice accompagnata dalla fotocopia del documento di identità del delegante). Tuttavia la Direzione Provinciale del Lavoro di Roma nei giorni scorsi ha informalmente diramato la notizia secondo la quale la domanda può essere presentata solo dal titolare, quindi dal datore di lavoro, oppure da una persona delegata, ma con una delega notarile, oppure con una delega rilasciata ad un avvocato o un consulente iscritto ad un albo.
Anche ammesso che fosse realmente necessaria una procura notarile (tralasciamo ogni considerazione su tempi e costi…), risulterebbe comunque prospettabile l’illegittimità dell’esclusione disposta per tale motivo (senza possibilità di convalida successiva della domanda) qualora ciò avvenisse in una situazione in cui fosse diffusa presso molti altri uffici la prassi contraria, che ammette la delega in carta semplice; infatti, non è sconosciuta alla giurisprudenza amministrativa la identificazione del vizio di eccesso di potere sotto il profilo della contraddittorietà del provvedimento con precedenti o contestuali determinazioni di uffici appartenenti alla stessa amministrazione, o con le pur ambigue direttive dell’ufficio superiore della stessa amministrazione.
Peraltro, sempre se fosse realmente necessaria una procura notarile, si dovrebbe osservare che i consulenti, ancorché iscritti ai rispettivi albi, non dispongono in base alla legge di un generale potere di autentica delle firme, ad esempio, gli avvocati hanno potere legale di autenticare solo le firme della nomina quali difensori o comunque inerente procedimenti giudiziari, mentre analogo potere di autentica non è previsto per le pratiche amministrative.
Riguardo a questo vedremo come si comporteranno se nei prossimi giorni le Direzioni Provinciali del Lavoro. Cosa che potrebbe fare la differenza tra la possibilità di presentare la domanda tra le prime, oppure vedersi escludere l’ammissione della domanda, nonostante l’interessato si sia messo in coda in tempo utile presentandosi fisicamente tra i primi e magari, come è già prevedibile, pernottando all’addiaccio per “tenere il posto”.

La circolare nulla specifica in merito alla possibilità di presentare la domanda, anziché personalmente, attraverso una raccomandata con ricevuta di ritorno… o perché no, anche tramite un corriere privato (come ce ne sono tanti, senza voler fare pubblicità a nessuno) che svolge la stessa funzione e che, al momento della consegna, si fa firmare una ricevuta con indicazione del giorno e dell’ora di ritiro da parte dell’ufficio in indirizzo.
Di conseguenza potremmo, se non altro per scrupolo, dare suggerimento a chi volesse “tenersi aperte tutte le porte” di inoltrare la domanda anche in più di una maniera perché comunque, nell’eventualità in cui la stessa domanda fosse presentata in modi diversi, questo non comporterebbe sicuramente una nullità della domanda stessa. Semmai verrebbe considerata utilmente presentata la prima che tra le domande presentate in diversa forma, sempre che sia ritenuta validamente inoltrata (salvo ricorso per tentare di far valere l’inoltro anteriore e dichiarato inammissibile qualora risultasse decisivo ai fini dell’utile inserimento nelle quote disponibili).

Sui documenti da allegare sappiamo per esempio che per quanto riguarda la disponibilità di alloggio idoneo finora, per lo meno in applicazione del decreto flussi del giugno scorso, era considerata valida come documentazione anche una sorta di autocertificazione del datore di lavoro – una dichiarazione sotto la propria responsabilità – nella quale si assicurava la disponibilità ed idoneità di un alloggio, indicandone l’ubicazione e il numero di persone destinate ad occuparlo.
Tuttavia non sappiamo se alcune o tutte le DPL (e anche a questo riguardo la circolare tace), chiederanno invece, oltre che questa sorta di autocertificazione il vero e proprio certificato di idoneità dell’alloggio rilasciato dall’Ufficio tecnico comunale o dall’USL competente per territorio. Per la verità, il Testo Unico (come modificato dalla legge Bossi Fini) prevede all’art.22, comma 2 lett.b), che all’atto della domanda il datore di lavoro debba presentare soltanto idonea documentazione relativa alle modalità di sistemazione alloggiativa per il lavoratore straniero , mentre è solo al momento della firma del contratto di soggiorno, ad ingresso avvenuto, che l’art.5-bis, comma 1 lett.a), prevede implicitamente la certificazione dell’idoneità dell’alloggio. Quindi non si può legittimamente esigere che detta certificazione costituisca un requisito di ammissibilità della domanda e si può pacificamente ritenere lecita la prassi sinora applicata.
Staremo a vedere anche da questo punto di vista quale sarà la prassi. Certo, chi fosse già munito di questo certificato avrà tutto l’interesse a presentarlo unitamente alla domanda, per attenuare il rischio che la domanda venga considerata invalida.

La circolare non specifica nulla nemmeno per ciò che riguarda il contratto individuale di lavoro (modulo che si allega). Nulla viene specificato nella circolare se questo contratto debba essere già completato con la firma in originale del lavoratore interessato che, ufficialmente, dovrebbe essere all’estero, oppure se basti la firma del solo datore di lavoro.
Naturalmente, nel dubbio sarà opportuno che sia inserita anche la firma del lavoratore e possiamo immaginare che nella maggior parte dei casi non sia difficile acquisirla….

In passato alcuni uffici avevano preteso che la firma apposta sul contratto dovesse risultare attraverso una corrispondenza con il paese in cui ufficialmente l’interessato doveva ancora trovarsi, tramite la trasmissione a mezzo posta raccomandata o a mezzo telefax del modello di contratto firmato.
Non sappiamo se gli uffici richiederanno anche questa documentazione quindi, più in generale, diamo indicazione agli interessati di usare la massima cautela possibile.

La circolare non specifica neanche, nel caso dell’assunzione per lavoro domestico, quale sia il reddito minimo, stabilito nei confronti del datore di lavoro per poter ammettere la domanda di assunzione dall’estero. Posso solo presumere che si faccia riferimento alle indicazioni applicate in passato e quindi sia prescritto, con le oscillazioni che variano da provincia a provincia, un reddito minimo a livello di nucleo familiare nel caso di assunzione di lavoratori domestici.
Presumo che si continueranno ad applicare le disposizioni ministeriali che consentivano, nel caso di assunzione di un lavoratore domestico da dedicare all’assistenza di un anziano non completamente autosufficiente, il “cumulo” del reddito del beneficiario della prestazione lavorativa con quello dei figli o comunque delle persone non conviventi tenute per legge all’obbligazione alimentare.
Dobbiamo comunque precisare che stiamo solo facendo delle previsioni che non possono essere garantite, anche perché nulla esclude che il Ministero intervenga con successive circolari o addirittura che le singole DPL si arrangino ciascuna a modo suo come è capitato in passato.