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Commento alla sentenza della Corte Costituzionale sulla legittimità della Bossi Fini

L’arresto previsto per chi non ottempera all’intimazione a lasciare l’Italia entro cinque giorni

La sentenza è stata decisa il 18 dicembre 2003 e depositata il 5 gennaio 2004 e riguarda una questione che in qualche modo interessa tutti gli immigrati in condizioni irregolari o a rischio di condizione irregolare, cioè la valutazione sulla legittimità costituzionale dell’articolo 14 del Testo Unico sull’immigrazione che dà le regole in materia di esecuzione del provvedimento di espulsione.
L’articolo, così come modificato nella legge Bossi-Fini, prevede che quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione:
mediante accompagnamento alla frontiera, perché occorre procedere al soccorso dello straniero o eseguire accertamenti supplementari sulla sua identità o nazionalità ovvero necessita l’acquisizione dei suoi documenti per il viaggio
quando non è disponibile un trasportatore o un altro mezzo idoneo che consenta di eseguire l’accompagnamento alla frontiera verso il paese di provenienza

in tutti questi casi il Questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza temporanea e assistenza (CPT) più vicino. Questa norma risale per la verità alla prima stesura del T.U. sull’immigrazione che ha inventato la detenzione amministrativa istituendo i centri di permanenza temporanea, che hanno la funzione di trattenere le persone nel tempo necessario ad organizzare l’esecuzione concreta del provvedimento d’espulsione.

Tuttavia sappiamo, per esperienza pratica, che nella maggior parte dei casi – in base a quelle che sono informazioni non ufficiali perché il Ministero degli Interni non dà informazioni ufficiali precise a questo riguardo – le persone che passano e vengono detenute nei CPT poi vengono rimesse in libertà, perché non è possibile eseguire con la forza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera (normalmente per la difficoltà di ottenere l’identificazione e i documenti di identità).
Ed ecco che, a fronte di queste situazioni, la legge Bossi-Fini ha introdotto delle modifiche all’articolo 14 prevedendo che:
– quando non è possibile trattenere lo straniero presso un CPT
– quando siano trascorsi i termini massimi di permanenza presso il centro stesso (tempi prolungati da 30 a 60 giorni con la legge Bossi-Fini)

quindi, quando non sia stato possibile eseguire l’espulsione, il Questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni. L’ordine è dato con provvedimento scritto nel quale sono indicate le conseguenze penali nel caso di trasgressione.
In effetti, il successivo comma 5 ter dell’art. 14 precisa che “Lo straniero che senza giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato senza ottemperare – senza obbedire – all’ordine dato dal Questore ai sensi della norma, è punito con l’arresto da sei mesi ad un anno”. In questo caso si procede a nuova espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.
Ecco allora che, se anche è vero che non abbiamo ancora in Italia il reato di presenza clandestina o irregolare sul territorio, abbiamo grazie alla legge Bossi-Fini – il reato di permanenza sul territorio in condizioni irregolari in seguito ad inottemperanza alla diffida del Questore a lasciare il territorio italiano entro cinque giorni.

Quando va emesso il provvedimento di diffida?

Quello che va considerato dal punto di vista pratico è che normalmente, il provvedimento di diffida a lasciare il territorio italiano, deve essere rilasciato solo:
– quando non è possibile trattenere lo straniero presso il Cpt
– quando il tempo massimo di trattenimento è già scaduto e quindi il soggetto deve essere rimesso in libertà.

In altre parole, quando la Questura non riesce ad organizzare l’espulsione ecco che allora lo straniero viene diffidato a lasciare da solo, con i propri mezzi, il territorio italiano entro 5 giorni. Il che sembra abbastanza ridicolo se si pensa che lo straniero possa lasciare l’Italia da solo, in così poco tempo e con “i propri mezzi” (che possono essere anche inesistenti), quando con 60 giorni di tempo disponibile lo Stato e i suoi organi di Polizia non sono riusciti ad organizzare l’identificazione e il trasporto della persona.
Se non ci riesce la polizia italiana, che può chiedere la collaborazione delle autorità straniere in modo molto più efficace dell’interessato, pur possedendo tutti i mezzi a sua disposizione per detenere lo straniero nel frattempo, sembra abbastanza inverosimile che poi questi, da solo, possa lasciare il territorio italiano in soli 5 giorni !
Ma se lo straniero non obbedisce a questo ordine del Questore e non dimostra che c’è un giustificato motivo, viene arrestato immediatamente e punito con l’arresto da sei mesi ad un anno.

Per l’appunto, diversi Tribunali hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale, ritenendo che questa norma non sia rispettosa della Costituzione Italiana, per diverse ragioni.

Innanzitutto la norma prevede un comportamento illecito che non é puntualmente definito ma anzi si limita a far generico riferimento allo straniero che senza giustificato motivo non lascia il territorio italiano, senza poi specificare quali potrebbero essere questi “giustificati motivi”. Si è ritenuto che sia una norma formulata in maniera così generica da violare il principio di tassatività stabilito dalla Costituzione stessa, ed inoltre che violi anche il principio di diritto alla difesa, anche perché non si prevede la prova del comportamento illecito ma anzi si presume che l’interessato non abbia alcuno dei diversi possibili motivi di giustificazione, costringendolo così a dimostrare la sua innocenza senza che egli sappia ancora quali giustificazioni sarebbero consentite. Non si capisce in base a quali elementi di valutazione l’autorità di polizia potrebbe decidere sul momento (quando trova lo straniero per strada e verifica che è stato colpito dalla diffida e non ha lasciato il territorio) se egli ha un giustificato motivo oppure no, per non aver lasciato il territorio italiano in modo spontaneo e con i propri mezzi.
Né d’altra parte si capisce come lo straniero potrebbe dimostrare da solo di avere un giustificato motivo che consente di non subire la sanzione penale e l’arresto immediato.

Sotto questo profilo la Corte Costituzionale ha osservato in generale che sono tante le norme penali nell’ordinamento giuridico italiano che fanno riferimento ad una giusta causa o ad un giustificato motivo, e che se anche si fa riferimento a circostanze generiche questo non comporta automaticamente una violazione del principio di passività della norma penale o una violazione del diritto alla difesa.
Dall’altra parte la Corte Costituzionale fa tutta una serie di considerazioni sull’esigenza della tutela dell’ordine pubblico che assegnano al legislatore il potere di intervenire e di adottare misure idonee, che naturalmente dovrebbero però rispettare i principi stabiliti dalla Costituzione in materia di diritto di difesa.
In definitiva, la Corte Costituzionale osserva che comunque già dalla formulazione della stessa norma si possono ricavare i limiti all’esercizio del potere punitivo in sede penale. In altre parole, il comportamento di non ottemperanza al provvedimento di diffida del questore a lasciare il territorio italiano entro 5 giorni, potrebbe essere considerato comunque giustificato in tutta una serie di circostanze che vengono prese in considerazione dalla Corte Costituzionale.

La Corte Costituzionale infatti prende in considerazione prima di tutto le circostanze espressamente indicate dalla legge, dal Testo Unico sull’immigrazione: in tutti i casi in cui vi è un divieto d’espulsione (art. 19 del T.U.) vi sarebbe evidentemente un giustificato motivo per non obbedire all’ordine del Questore:
– nel caso di gravidanza e per tutti i sei mesi successivi alla nascita del bambino,
– nel caso di minori non accompagnati
– nel caso di persone che hanno un fondato timore di persecuzione per motivi di opinioni politiche o di appartenenza ad un gruppo etnico, religioso, sociale
– nei confronti di persone conviventi con il coniuge o un parente entro il 4°grado cittadino italiano

E’ quindi evidente che in tutte queste ipotesi vi sarebbe automaticamente un giustificato motivo per non obbedire all’ordine del Questore, sicché non ci sarebbe la colpevolezza in sede penale e non potrebbe essere validamente eseguito nemmeno l’arresto immediato.

La Corte Costituzionale prende in considerazione anche altre circostanze che potrebbero – se dimostrate – costituire un giustificato motivo per evitare di sottoporre all’arresto immediato e al procedimento penale il cittadino straniero che non ottempera alla diffida del Questore a lasciare il territorio nazionale.
Si pensa anzitutto alla indisponibilità di mezzi di trasporto idonei. Pensiamo per esempio agli immigrati somali che non hanno la possibilità di rientrare direttamente in una zona relativamente sicura nel loro paese, anche in mancanza di voli diretti, quando d’altra parte non vi è nemmeno uno Stato che può garantire una collaborazione adeguata per fornire documenti d’identità che siano riconosciuti sul piano internazionale.
L’altra questione è quella legata all’impossibilità di ottenere un documento di identità in soli 5 giorni. Sappiamo che le rappresentanze consolari dovrebbero rilasciare agli interessati che ne facessero richiesta, il cosiddetto certificato d’identità consolare, quando si tratti di persone che sono in condizione irregolare e prive di un passaporto; questo documento ha come unica possibilità di utilizzo quella del rientro nel proprio paese d’origine salve l’eventuale transito in qualche paesi terzi.
Ma ottenere in soli 5 giorni un documento simile è quasi impossibile ed ecco che allora, se l’interessato dovesse dimostrare di essersi attivato per ottenere questo documento e di essere ancora in attesa, sicuramente sussisterebbe un giustificato motivo per la sua permanenza nel territorio italiano nonostante siano passati i fatidici 5 giorni; in teoria, anche le semplici dichiarazioni dell’interessato su tale circostanza dovrebbero comportare da parte degli organi di polizia una verifica, per nulla difficile, presso il consolato del paese d’origine, per accertare se l’interessato si è effettivamente adoperato per ottenere questo tipo di assistenza.
Poi c’è il caso più semplice ed anche più frequente , cioè quello di chi non avendo neanche un euro, non ha la possibilità di spostarsi da solo e quindi nemmeno di recarsi presso le autorità consolari del suo paese per ottenere il documento d’identità. Quindi una persona che è in condizione di assoluta indigenza, o che per ragioni di salute fisica o mentale non è di fatto in grado di muoversi autonomamente, può giustificare in questo modo la inattività rispetto all’ordine del questore.

Quest’ultima circostanza è stata considerata specificamente anche dalla Corte Costituzionale, la quale ha ritenuto che sicuramente l’ottemperanza all’ordine del Questore deve risultare esigibile per dar luogo al procedimento penale e all’arresto.

Viceversa se l’ottemperanza, l’obbedienza all’ordine del Questore risulta inesigibile – perché lo straniero è nell’impossibilità (pratica ed economica) di munirsi del biglietto di viaggio entro il termine dei 5 giorni -sussisterebbe un giustificato motivo.

Ecco che la Corte Costituzionale, se da un lato afferma che questa norma non lede i principi fondamentali della Costituzione in materia di diritto di difesa, quindi respinge la richiesta di abrogazione della norma per illegittimità costituzionale, dall’altra parte però con questa sentenza (definita interpretativa di rigetto) svuota di una buona parte del suo contenuto pratico la norma stessa. Questo perché identifica tutta una serie circostanze e condizioni che permettono di verificare e accertare che esiste un giustificato motivo per non avere ottemperato all’ordine del questore di lasciare il territorio nazionale.

Naturalmente non possiamo aspettarci che l’autorità di polizia svolga il compito di difensore d’ufficio dell’interessato nel momento in cui lo identifica nel territorio nazionale. Quindi si ponga da sola, automaticamente, tutta una serie di domande per stabilire se potrebbe esserci un giustificato motivo per la permanenza nel territorio nazionale nonostante il decorso dei 5 giorni.
Anche se – pure a questo riguardo la Corte Costituzionale non manca di fare una sottolineatura – il nostro ordinamento penale prevede come fisiologica la possibilità (art. 385 c.p.p.) di verificare se un determinato comportamento (che teoricamente violerebbe una norma penale) è stato attuato a fronte di circostanze che permettono di ritenerlo non punibile.

In linea teorica quindi anche l’autorità di polizia potrebbe e dovrebbe valutare inizialmente l’esistenza di una o più di queste circostanze che indicano l’esistenza di un giustificato motivo e di conseguenza NON procedere alla denuncia e all’arresto dell’interessato.

Tuttavia, è chiaro che nella maggior parte dei casi sarà il diretto interessato che dovrà prepararsi a difendersi in pochissimo tempo (nel caso di arresto in flagranza il processo può svolgersi entro pochi giorni), dimostrando l’esistenza di una o più di queste circostanze di giustificazione.