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Commento alle sentenze della Corte Costituzionale n. 222 e 223 del 15.07.04

Illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5 bis del D.Lvo 298/86

SENTENZA CORTE COSTITUZIONALE N. 222 DEL 15.07.04

Con la sentenza in oggetto la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5 bis del D.Lvo 298/86, introdotto dall’art. 2 del decreto legge 04.04.2002 n. 51, convertito nella legge 07.06.2002 n. 106, nella parte in cui “non prevede che il giudizio di convalida debba svolgersi in contraddittorio prima dell’esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, con le garanzie della difesa.”
Il citato comma 5 bis dell’art.13 del Decreto legislativo n. 286/98 (c.d. Testo Unico sull’Immigrazione), prevedeva che il provvedimento immediatamente esecutivo con il quale il Questore disponeva l’accompagnamento alla frontiera, mediante il ricorso alla forza pubblica, di un cittadino straniero destinatario di un decreto di espulsione dovesse essere comunicato dal Questore stesso al Tribunale competente, entro 48 ore dalla sua adozione. Il Tribunale, a sua volta, entro 48 ore dalla sua comunicazione, avrebbe dovuto procedere alla convalida o meno del provvedimento espulsivo.
E’, tuttavia, evidente che, data l’immediata esecutività dello stesso provvedimento che disponeva l’accompagnamento coattivo, il controllo operato da parte del Tribunale, relativo alla sussistenza dei requisiti in base ai quali il provvedimento stesso era stato adottato, diveniva nella maggior parte dei casi del tutto superfluo. In altre parole, lo straniero si trovava ad essere sottoposto ad una misura restrittiva della propria libertà personale (l’accompagnamento coattivo operato dalle forze di polizia, per l’appunto) ancor prima che il Tribunale avesse proceduto alla relativa convalida, prima cioè dell’effettivo accertamento sulla sussistenza o meno dei necessari presupposti giustificativi.
La Corte Costituzionale ha concentrato le proprie censure proprio sul fatto che la procedura prevista dal comma 5 bis dell’art. 13 non prevede che il cittadino straniero interessato venga ascoltato da parte dell’autorità giudiziaria prima di essere accompagnato alla frontiera e, soprattutto, sulla circostanza che l’art. 13, comma 5 bis non prevede che, qualora si accerti la carenza dei presupposti idonei a giustificare l’accompagnamento coattivo oppure se la convalida da parte del Tribunale non intervenga entro 48 dalla comunicazione da parte del Questore, il provvedimento che dispone l’accompagnamento alla frontiera possa revocato e perdere così efficacia.
In questo caso, dunque, la Corte Costituzionale ha ritenuto violato l’art. 13 della Costituzione, che vieta che una persona possa subire delle misure restrittive della propria libertà personale senza un adeguato controllo da parte di un giudice. Inoltre, la Corte ha censurato anche la violazione del diritto alla difesa dello straniero, il quale infatti ha diritto di essere ascoltato dal giudice ed assistito da un difensore, prima dell’esecuzione del provvedimento espulsivo.

SENTENZA CORTE COSTITUZIONALE N. 223 DEL 15.07.04

Con la sentenza che si commenta la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 13 della stessa Costituzione, del comma 5 quinquies dell’art. 14 del T.U. sull’Immigrazione, inserito dal comma 1 dell’art. 13 della legge 30.07.2002 n. 189, nella parte in cui stabilisce che, per il reato previsto dal comma 5 ter del medesimo art. 14, è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto.
La citata sentenza, in altre parole, ha sancito che non è obbligatorio procedere all’arresto (da 6 mesi ad 1 anno) del cittadino straniero destinatario di un provvedimento di espulsione che, nonostante l’ordine del Questore di abbandonare il territorio italiano nel termine di 5 giorni, si sia senza giustificato motivo trattenuto in Italia.
La motivazione di tale pronuncia stà nella circostanza che non vi è alcuna norma procedurale che consenta di disporre una misura di restrizione della libertà personale, per l’appunto l’arresto, per reati sanzionati con una pena esigua (da 6 mesi ad 1 anno) come quella prevista nel caso dello straniero che si trattenga in Italia nonostante l’intimazione ad abbandonare il suolo nazionale.
L’arresto, inoltre, si configurerebbe come una misura fine a se stessa ed eccessiva rispetto alle finalità della normativa in tema di espulsione, tanto più se si considera che, in ogni caso, a prescindere dall’arresto del cittadino straniero, la procedura di espulsione continuerebbe in modo autonomo. Infatti, l’art. 5 comma ter prevede comunque l’espulsione del cittadino straniero anche dopo l’arresto, tramite l’accompagnamento coattivo alla frontiera, o, se ciò non fosse possibile, mediante la previsione del trattenimento dello stranero in un centro di permanenza temporaneo.
Pertanto, secondo la Corte Costituzionale, privare un cittadino straniero della propria libertà personale nel caso in cui egli si trattenga senza motivo in Italia nonostante un’intimazione ad abbandonare il territorio del nostro Paese è una misura del tutto ingiustificata, in quanto non rappresenta un presupposto necessario della procedura di espulsione che, come detto, proseguirebbe comunque in modo autonomo.