Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Con regolare pds è possibile recarsi in altri Stati comunitari a lavorare?

Attualmente esiste unicamente una proposta di direttiva del Consiglio dell’Unione europea relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo (COM/2001/127 def., in Gazzetta Ufficiale n. C240 E del 28/08/2001, p. 0079 – 0087) che prevede, per i titolari di un pds di lunga durata (carta di soggiorno), di svolgere anche attività lavorativa e di stabilirsi in altri paesi dell’Unione europea. Anche qualora la proposta si perfezionasse, i tempi che consentiranno ai singoli Stati membri dell’U.E. di dare attuazione alle disposizioni contenute nella direttiva medesima saranno lunghi. Ne discende pertanto che al momento non è possibile – nemmeno con la carta di soggiorno – recarsi in altri Stati europei per lavorare.
Cosa diversa è invece quella di utilizzare il pds di tipo stabile (lavoro subordinato) come se fosse un “visto d’ingresso” , al fine di recarsi nei paesi U.E. che aderiscono alla Convenzione di Scenghen, per breve soggiorno, intendendosi con questo termine il turismo o attività assimilate e non, quindi, attività di lavoro subordinato.
Esempio pratico – Un cittadino extracomunitario che ha un regolare e stabile pds in Italia, qualora intendesse recarsi in Germania per far visita al proprio fratello, non avrebbe bisogno di richiedere un apposito visto d’ingresso, ma potrebbe utilizzare il proprio pds. Una volta entrato in territorio tedesco, dovrà dichiarare la propria presenza in base alle leggi locali e chiedere il permesso di soggiorno per un breve periodo, ma non potrà ivi svolgere attività economica.

Questione diversa è quella che riguarda i dipendenti (anche non comunitari) di imprese aventi sede in Italia. Nel caso in cui l’impresa da cui dipendono dovesse eseguire appalti, servizi, in altri Paesi dell’U.E., si richiama il principio della libertà di circolazione delle imprese in ambito comunitario. A questo riguardo abbiamo già avuto pronunce della Corte di Giustizia delle Comunità europee (si vedano tra le altre: sentenza 27 marzo 1990, in causa C-113/89, Rush Portuguesa, in Raccolta, 1990, p. I-1417; sentenza 9 agosto 1994, in causa C-43/93, Vander Elst, in Raccolta, 1994, p. I-03803), ove si afferma che il principio della libera circolazione delle imprese comporta, come conseguenza, anche il principio per cui i dipendenti delle stesse imprese – regolarmente soggiornanti nel Paese membro – devono avere il diritto di trasferirsi temporaneamente negli altri Paesi membri durante il periodo necessario per l’esecuzione dei lavori.

In questo caso, anche se esiste un diritto, vi è l’onere da parte dei diretti interessati di richiedere un apposito visto d’ingresso per svolgere temporanea attività di lavoro per l’impresa che li distacca presso un altro paese membro dell’U.E.