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da Il Manifesto del 5 luglio 2005

«Condannate don Cesare Lodeserto»

BARI

«Questo processo è iniziato con la mia incredulità per le denunce ascoltate ed è continuato con lo choc per le deposizioni in udienza». Ha esordito così Carolina Elia, il pm della procura di Lecce che ieri, dopo un processo durato 14 mesi, ha chiesto la condanna per don Cesare Lodeserto, ex direttore del Cpt Regina Pacis, accusato di lesioni personali, violenza privata, abuso dei mezzi di correzione e falso ideologico. Due anni e otto mesi (se per i reati contestati non sarà riscontrata la continuazione): questa la richiesta del pm. E se, il 22 luglio, il giudice Anna De Benedictis dovesse accoglierla, per il sacerdote si tratterebbe della seconda condanna in poche settimane. La prima risale al 24 maggio di quest’anno: otto mesi (pena sospesa) per simulazione di reato, poiché don Cesare s’era inviato degli sms minatori con lo scopo di ottenere una scorta. Ma la requisitoria di ieri riguardava ben altre accuse: la storia comincia nel 2003, quando un gruppo di immigrati maghrebini tenta la fuga dal Regina Pacis, il Cpt di San Foca di Melendugno, in provincia di Lecce. Fuga che per 17 di loro non ha esito: in poche ore sono riacciuffati dai carabinieri, anch’essi sotto processo. Il loro rientro nel Regina Pacis, dicono i maghrebini, è coinciso con una notte di violenza, pestaggi, intimidazioni e profonde violenze psicologiche. Tra queste ultime, raccontano gli immigrati, che sono di fede islamica, l’obbligo di mangiare carne di maiale direttamente dai manganelli delle forze dell’ordine. Due anni più tardi, nonostante l’imponente levata di scudi politico-clericali in difesa di don Cesare (che nel frattempo è stato coinvolto in un altri due procedimenti, uno dei quali è già sfociato nel rinvio a giudizio), arriva la richiesta dell’accusa: un anno e due mesi per il reato di lesioni personali, violenza privata e abuso dei mezzi di correzione; un anno e sei mesi, invece, per il reato di falso ideologico, relativo alla falsificazione di numerosi referti medici che riguardavano gli immigrati maghrebini. Non era solo, quella notte, don Cesare. E non è solo neanche nella requisitoria della Elia, che coinvolge ben dieci carabinieri e altri sei poeatori del centro. Per il primo reato, quello di violenza e lesioni, la pm chiede la condanna a un anno anche per Giuseppe Lodeserto (suo nipote, ndr), Natasha Vieru e Paulin Dokaj e otto mesi, invece, per i sei collaboratori del sacerdote e otto carabinieri. Per due di loro, Francesco D’Ambrosio e Vito Ottomano, ha chiesto una pena più alta: un anno e otto mesi e la riqualificazione del reato poiché le violenze, seconda la Elia, sarebbero aggravate da «motivi di odio razziale». Per quanto riguarda invece il falso ideologico, e cioè la falsificazione dei referti, l’accusa ha chiesto la condanna a un anno e sei mesi sia per Giuseppe Lodeserto, sia per un medico del centro, Anna Catia Cazzato. La difesa di parte civile, infine, rappresentata dall’avvocato Maurizio Scardia, ha chiesto inoltre 51mila euro per i danni fisici e morali inflitti ai 17 immigrati.