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Condizioni per il rinnovo del permesso di soggiorno

Ci siamo già occupati in più occasioni di una delle tante novità introdotte dalla c.d. legge Bossi – Fini (L. 30 luglio 2002 n. 189) ed, in particolare, della modifica ed integrazione dell’art. 4, comma 3, del Testo Unico sull’Immigrazione (D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286), laddove si stabiliscono le condizioni per l’ingresso degli stranieri in Italia, così come le condizioni per il rinnovo del permesso di soggiorno.
In questa norma si prevedono delle cosiddette circostanze ostative, ovverosia delle circostanze che, se esistenti, impediscono di autorizzare dapprima l’ingresso in Italia e, successivamente, nel caso di persone che hanno già un regolare permesso di soggiorno, il rinnovo dello stesso. Si tratta, in altre parole, di condanne riportate in sede penale per tutta una serie di reati che, se disposte dall’autorità giudiziaria, impediscono l’ingresso dello straniero in Italia, oppure il rinnovo del permesso di soggiorno.
La norma prevede infatti che non può entrare in Italia, oppure non può rinnovare il permesso di soggiorno, chi costituisce una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato ma anche chi è stato semplicemente condannato anche con un cosiddetto patteggiamento per uno dei reati elencati all’art. 380, commi 1 e 2 del codice di procedura penale, ovvero per reati inerenti agli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’emigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite.
Tale disposizione si applica alle fattispecie che si verificano dopo l’entrata in vigore della Bossi – Fini e al riguardo, una circolare del Ministero dell’Interno, ha disposto che non potrà essere applicata automaticamente nei confronti di chi sia stato condannato con sentenza precedente all’entrata in vigore della legge stessa, ovvero con sentenza precedente la data del 10 settembre 2002.
Ma per chi è stato condannato con sentenza successiva a questa data – secondo il Ministero dell’Interno – ormai questa preclusione si applica per così dire in maniera del tutto automatica.
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A questo riguardo si pone un problema interpretativo: è giusto ritenere che questa norma si applichi solo a chi è stato condannato dopo l’entrata in vigore della legge, o non sarebbe forse più giusto fare riferimento non tanto alla data della sentenza di condanna, ma alla data di commissione del fatto che costituisce reato, oggetto del giudizio di accertamento?
In altre parole si deve applicare questa regola, per cui chi è stato condannato per questi reati non può più rinnovare il permesso di soggiorno, solo a chi è stato condannato dopo la nuova legge, o anche a chi ha commesso il fatto sotto la vigenza della nuova legge?

Sussiste una grossa differenza, perché, fra l’altro, i processi durano molto tempo e, quindi, fra la data in cui si commette il fatto e la data in cui viene pronunciata la sentenza, possono trascorre anche anni. Ecco che quindi chi avesse commesso un fatto precedentemente alla legge Bossi – Fini (magari il tentato furto di una scatoletta in un supermercato…), confidando nella mancanza di impedimenti al rinnovo del permesso di soggiorno, poi si ritrova invece, solo a causa della lentezza della macchina giudiziaria, a dover pagare comunque delle conseguenze che non era in grado di prevedere e, quindi, a sopportare una sanzione per un comportamento che, quando era stato commesso, non era considerato dalla legge.
Di questo problema si è occupato il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo con una recente sentenza pubblicata il 29 luglio scorso. Un cittadino senegalese, che peraltro non costituiva certo un pericolo per la sicurezza dello Stato, ma che era stato semplicemente condannato per avere venduto dei c.d. contraffatti, eccepiva la non corretta applicazione della legge da parte dell’amministrazione di polizia, che aveva rifiutato il rilascio della carta di soggiorno (e anche del permesso di soggiorno), in quanto egli risultava essere stato condannato per questi reati successivamente all’entrata in vigore della legge Bossi – Fini.

Il TAR Abruzzo ha giustamente rilevato che i fatti per i quali questo signore era stato condannato, erano stati commessi molto prima dell’entrata in vigore della legge stessa, quando appunto nessuno sarebbe stato in condizione di prevedere, di mettere nel conto (come si suol dire), il rischio di perdere il permesso di soggiorno a causa della condanna per questi reati. E, giustamente, contrariamente all’interpretazione adottata dal Ministero dell’Interno con la propria circolare, questa sentenza del TAR Abruzzo stabilisce che l’art. 4, comma 3, del T.U. sull’Immigrazione sopra riportato, laddove prevede una preclusione per il rinnovo del permesso di soggiorno, sia da interpretare nel senso che la preclusione è riferibile unicamente ai comportamenti penalmente rilevanti che siano stati realizzati dopo l’ entrata in vigore della Bossi – Fini.

Quindi solo i reati commessi dopo l’entrata in vigore della legge Bossi Fini possono dar luogo a questo automatico (per così dire) rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno; viceversa, per chi ha commesso fatti penalmente rilevanti prima della sua entrata in vigore, non vi è alcun automatismo e, come pure sottolineava la stessa circolare del Ministero dell’Interno, potrà essere svolta una valutazione unicamente con riferimento alla pericolosità sociale dell’interessato; solo, quindi, se questi fosse ritenuto socialmente pericoloso, in base all’art.13 del T.U. sull’Immigrazione, potrebbe essere rifiutato il rinnovo del suo permesso di soggiorno.
La differenza non è poca perché i procedimenti penali pendenti nei confronti di lavoratori immigrati a cavallo dell’entrata in vigore della legge Bossi Fini, – procedimenti che, appunto, potrebbero portare una condanna per reati che ora escludono il rinnovo del permesso di soggiorno – sono numerosi e, quindi, si rileva una notevole differenza in termini di ricaduta sul piano pratico.
Dobbiamo ancora una volta ricordare che, d’ora in avanti, per chi commette fatti che rientrano nella definizione degli artt.380 comma 1 e 2 del codice di procedura penale, o che riguardano il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento di minori o della prostituzione, è ormai pressoché scontata la impossibilità di rinnovare il permesso di soggiorno.