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da Il Manifesto del 24 agosto 2004

Confindustria anti-quote di Cosimo Rossi

Il ministro degli interni Beppe Pisanu lo chiama «tagliando» alla legge Bossi-Fini. Il suo ex collega e neocommissario europeo Rocco Buttiglione lo spiega con il dovere di dare «asilo» non solo a chi fugge per motivi politici ma anche a chi scappa dalla fame e dall’indigenza del sud del mondo. Il presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, e i suoi collegi delle altre categoria circostanziano meglio il concetto con l’esigenza di rivedere la politica dei flussi per fornire alle aziende la forza lavoro che l’anagrafe dello stivale non garantisce più a sufficienza; e magari con il giusto risparmio per il fronte padronale. Un aspetto che, nonostante la xenofobia conclamata e proclamata del Carroccio, non trova del tutto contrario neppure il ministro del welfare Roberto Maroni. Ecco perché il dibattito sulla revisione della legge Bossi-Fini è «qualcosa di più di una querelle agostana», rilevano ai vertici dell’Udc. Perché «se da un lato gli sbarchi sono un fenomeno che a ottobre tende a esaurirsi, il tema tendenzialmente resta». E anzi: tende a diventare un altro dei punti nevralgici dello scontro che si è aperto all’indomani delle elezioni europee all’interno della Casa delle libertà; uno scontro che riguarda la natura stessa del centrodestra, che gli eredi della Dc vogliono temperare depurandola dei più feroci istinti antistatalisti e ultraliberisiti incarnati dall’asse padano tra il cavaliere e il senatur. Non a caso il ministro in cravatta verde delle riforme, Roberto Calderoli, avvisa: «La Legge Bossi-Fini, così come altre che su cui si è chiacchierato in questo periodo, fa parte del programma di governo. Quindi neppure un ministro può mettere in discussione ciò che è stato stabilito nei vertici dei leader di partito senza che questo vertice si sia riespresso sulla medesima materia».

Ma tant’è, quel che il centrista Bruno Tabacci invocava nei mesi scorsi, finendo inascoltato dai compagni di partito e insultato dagli alleati, torna invece di inaspettata attualità grazie all’intervento di Pisanu e di Forza Italia: rivedere la Bossi-Fini. Merito, naturalmente, anche della stagione dei meeting confessionali (da Rimini a Loreto). «Nessuno di noi ha mai pensato, quando varammo la legge, che sarebbe stata immodificabile, tenuto conto della complessità della materia che trattava – ribadisce Pisanu in un’intervista alla Stampa le parole pronunciate di fronte alla platea ciellina di Rimini – Oggi, anche perché ce lo impongono le sentenze della Corte costituzionale è venuto il momento di procedere a un suo primo tagliando».

E’ chiaro che il fronte vaticano quella revisione la chiede con dal primo momento. La furia criminalizzante della legge, infatti, non è mai stata gradita dalle gerarchie ecclesiastiche. Ora però la chiesa ritrova il potente e tradizionale alleato rappresentato dal mondo imprenditoriale; passando anche attraverso il sindacalismo cattolico della Cisl. In una saldatura che va probabilmente al di là dei problemi legati alla sola questione dell’immigrazione, ma che riguarda – appunto – la natura stessa della destra italiana. E del governo del paese.

Finora Berlusconi si è dimostrato garante fiduciario dell’accordo con il Carroccio; e ha dimostrato di preferirlo alla democristianizzazione del centrodestra già tentata dall’Udc di Follini nel corso della verifica di maggioranza del luglio scorso. Ieri, tuttavia, il coordinatore azzurro Sandro Bondi, anch’egli a Rimini per il meeting ciellino, ha incensato le parole di Pisanu: proposta «davvero di buon senso» definisce quella del titolare del Viminale, che nel partito berlusconiano ha sempre portato i colori dell’area moderata post-dc.

Sono comunque gli eredi diretti dello scudocrociato quelli che esercitano la pressione più forte anche sul piano degli equilibri interni alla coalizione: forti del duplice sostegno degli industriali e della chiesa. Secondo i centristi le modifiche si rendono necessarie «sia per un coordinamento con la sentenza della Corte costituzionale, sia per rivedere le quote che non corrispondono assolutamente ai bisogni e alle richieste del paese». Che significa riportare nella sfera del diritto il meccanismo delle espulsioni che non prevedeva un provvedimento della magistratura, ma anche rivedere da zero la politica a porte chiuse dei flussi. E questo, in realtà, è il punto nodale. «La gestione delle quote non può essere più lasciata all’arbitrio di un ministero – afferma il senatore udc Maurizio Ronconi – bensì deve essere frutto di un reale coinvolgimento degli enti locali, delle associazioni di categoria e sindacali».

Esattamente questo chiede da tempo Confindustria, soprattutto a livello di associazioni territoriali. La stessa richiesta che in qualche modo avanzano le regioni a matrice leghista del nord-est. Non a caso il ministro interessato, il leghista Roberto Maroni, preferisce un cauto silenzio rispetto ai compagni di partito. E se il Carroccio è sotto attacco, anche An deve fare i salti mortali per districarsi tra il fronte acattolico e gli istanti xenofobi: «Certamente è utile rivedere la legge Fini-Bossi – afferma il responsabile di settore Giampaolo Landi di Chiavenna – ma è altrettanto necessario individuare istituti e meccanismi che non consentano allentamenti in ordine alla necessità di agire con fermezza contro ogni forma di immigrazione clandestina».