Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

Confine italo-sloveno: pattuglie miste riprese a fine luglio. A disposizione 55 droni

La preoccupazione di ONG e associazioni per un confine già condannato per i respingimenti a gennaio 2021

Foto di Lorena Fornasir

Il 30 luglio scorso, con l’approvazione delle autorità di polizia di Roma e di quelle di Lubiana, dopo un periodo di sospensione dovuto alla pandemia sono ripartiti i pattugliamenti congiunti italo-sloveni lungo la fascia confinaria, nei territori di Trieste-Capodistria e Gorizia-Nova Gorica. L’intento è dichiaratamente “il contrasto dell’immigrazione illegale, e in generale della criminalità transfrontaliera, con particolare riferimento all’attività di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare”.

La ripresa dei pattugliamenti rientra nel quadro degli accordi bilaterali tra Italia e Slovenia per il controllo dell’immigrazione irregolare, alcuni dei quali non sono affatto nuovi alle cronache recenti: solo lo scorso gennaio, il Tribunale di Roma aveva dichiarato illegali le cosiddette “riammissioni informali” dall’Italia alla Slovenia, autorizzate da un accordo bilaterale firmato a Roma nel 1996 e mai ratificato dal Parlamento italiano. Si poneva fine così ad un lungo periodo in cui, sotto falso nome, la pratica dei respingimenti veniva perpetrata dalle nostre forze dell’ordine a pochi passi da Trieste, da Gorizia, dalle nostre città italiane. Il dramma stava nel fatto che queste “riammissioni informali” alimentavano ed estendevano una prassi consolidata sulla rotta balcanica, per cui i migranti intercettati in Slovenia vengono respinti in Croazia e dalla Croazia in Bosnia o in Serbia. L’Italia dunque si rendeva complice di una meccanica in totale contraddizione con il diritto internazionale in materia di immigrazione e asilo, che risputa i migranti fuori dal territorio dell’Unione. Rafforzata dalla situazione emergenziale della pandemia, tale pratica era divenuta sistematica lo scorso anno: l’8 settembre 2020, durante una conferenza stampa il ministro dell’Interno aveva comunicato che da inizio anno 3.059 persone avevano raggiunto l’Italia dalla rotta balcanica e 852 di queste erano state riammesse in Slovenia; ancor più drammatico, alcune di queste persone avevano fatto esplicita richiesta di protezione internazionale alle autorità competenti1. È allora evidente la portata storica della sentenza dello scorso gennaio.

A distanza di pochi mesi, giunge notizia di nuovi pattugliamenti congiunti. Aldilà delle motivazioni formali, lo scopo di questi pattugliamenti è chiaramente di riottenere una forma di autorizzazione al respingimento e al controllo armato della frontiera, di rendere in confine meno poroso e di intercettare il maggior numero possibile di migranti. Il dramma di questa scelta politica sta nel fatto che la massiccia presenza di pattuglie non verrà sfruttata per applicare in maniera sistematica le procedure che si devono sul confine in fase di pre-screening: valutazione caso per caso dell’intenzione di richiedere protezione internazionale, individuazione di soggetti vulnerabili come minori e donne madri di famiglia, screening sanitario e così via, nel rispetto dei principi sanciti dal diritto internazionale in materia di immigrazione e di asilo.

La questione dei pattugliamenti ha suscitato impressioni positive tra chi auspica che i migranti vengano emarginati nei campi profughi alle porte dell’Unione. Ora che il confine italo-sloveno è di nuovo scandagliato dalle pattuglie, la preoccupazione di queste frange è proprio questa: se i respingimenti sono dichiarati illegali, in assenza di procedure formali che giustifichino un rinvio al mittente da parte delle forze dell’ordine – prassi comune fino allo scorso gennaio – “la funzione delle pattuglie miste potrà essere solo quella di accompagnare i clandestini (sic!) in questura per redigere la domanda di asilo2. Eppure, è evidente che il pattugliamento del confine rappresenta un tentativo di scardinare la macchina legale che a gennaio ha faticosamente recuperato degli spazi vitali in questi fitti boschi che dal Carso scendono verso Trieste e Gorizia. Per questa ragione, il Consorzio Italiano di Solidarietà di Trieste esprime preoccupazione riguardo alle finalità di questa operazione. Per Gianfranco Schiavone, presidente dell’ICS e membro del direttivo di ASGI, la motivazione ufficiale, legata al contrasto dell’immigrazione illegale e della relativa criminalità, è “una motivazione vacua e inconsistente in quanto il contrasto al traffico internazionale di esseri umani, per essere efficace e credibile, richiede accordi di intelligence e inchieste congiunte delle diverse autorità giudiziarie, cioè attività che nulla hanno a che fare con un pattugliamento fisico dell’area di frontiera vicino al confine“; tanto più che, continua Schiavone, non è tra i boschi del Carso che le pattuglie intercetteranno i vertici delle organizzazioni criminali che organizzano e coordinano il traffico dei migranti nei Balcani: al più, potranno fermare qualche passeur, che nella catena dell’immigrazione irregolare rappresentano l’ultimo e più infimo anello.
Stando in piedi la sentenza del Tribunale di Roma, alle forze dell’ordine italiane operanti all’estero, in questo caso a pochi passi dal confine italo-sloveno, è imposto tassativamente “il divieto di attuare o collaborare in alcuna forma, anche indiretta, a operazioni di respingimento di cittadini verso paesi terzi nei quali i diritti fondamentali delle persone respinte possono essere seriamente violati”, come nel caso di svariati paesi della rotta balcanica a partire dalla stessa Croazia.

Negli ultimi giorni Altreconomia, tramite accesso civico, aveva richiesto di conoscere i dettagli della cooperazione tra le autorità di Roma e Lubiana in merito al mandato dei pattugliamenti, ma la direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere, braccio operativo del ministero dell’Interno, non ha dato seguito a tale richiesta3, dichiarando che la divulgazione degli accordi minerebbe la tutela della sicurezza, dell’ordine pubblico e alle relazioni internazionali che l’Italia intrattiene con i Paesi terzi: “L’attuale delicato momento nella gestione delle frontiere interne all’Unione europea non consente la divulgazione di accordi di cooperazione che disciplinano i controlli che vengono effettuati alle frontiere terrestri e i controlli di ‘retrovalico’ concordati con i Paesi confinanti senza ledere la riservatezza che deve caratterizzare tutte le attività bilaterali internazionali dello Stato italiano nei settori amministrativi interessanti e soprattutto nel settore involgente attività di ordine e sicurezza pubblica”.
Del mandato di pattugliamento fa parte la messa a disposizione di 55 droni che verranno utilizzati sul confine italo-sloveno a scopo di monitoraggio aereo.
Il disegno che si delinea nella sintesi di questi pochi punti cardinali è fin troppo chiaro. Ancora una volta la macchina della legislatura resta pericolosamente scissa dalle prassi. Se la sentenza del Tribunale di Roma ha garantito una primavera “tranquilla” sul fronte orientale, e negli ultimi mesi non sono stati rilevati respingimenti, il ripristino dei pattugliamenti e l’opacità di motivazioni e pratiche confermano l’intento finale di esternalizzare i confini e rigettare i migranti che entrano nell’Unione. Dovremo trovare giustificazioni giuridiche e pratiche altrettanto sottili quando il flusso degli afghani in movimento da una regione piombata nel caos comincerà a bussare alle nostre porte.

  1. https://altreconomia.it/prodotto/la-rotta-balcanica-2021/
  2. https://www.triesteallnews.it/2021/07/migrazioni-giacomelli-fdi-bene-pattuglie-miste-italia-slovenia/
  3. https://altreconomia.it/accordo-italia-slovenia-sui-controlli-al-confine-guai-a-essere-trasparenti/?fbclid=IwAR3_Lno5fx1aSb7rJBb4tAFetlcKFaXPFBfRjTFd2JMI6FG5oMvn4Hijxxg

Rossella Marvulli

Ho conseguito un master in comunicazione della scienza. Sono stata a lungo attivista e operatrice nelle realtà migratorie triestine. Su Melting Pot scrivo soprattutto di tecnologie biometriche di controllo delle migrazioni sui confini europei.