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Corte di Cassazione, prima sezione penale 7 maggio 2009, n. 19171

art. 12, comma 5 bis TU - reato di cessione di immobili

SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
PUBBLICO MINISTERO PRESSO TRIBUNALE di Reggio Calabria;
nei confronti di:
1) GA. PA. N. IL (OMESSO);
avverso ORDINANZA del 24/09/2008 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ZAMPETTI UMBERTO;
sentite le conclusioni del P.G. Dr. Delehaye Enrico che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Andrenelli A. che ha chiesto il rigetto del ricorso.

OSSERVA

1. Con ordinanza in data 24.09.2008 il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ex art. 324 c.p.p., in
accoglimento della richiesta di riesame proposta da Ga. Pa. avverso il provvedimento di sequestro
preventivo emesso dal Gip dello stesso Tribunale in data 16.08.2008, annullava tale ordinanza per
l’effetto revocando il disposto sequestro di una unita’ immobiliare che detto Ga. aveva affittato ad
un cittadino extracomunitario (l’indiano Ku. Na. ), privo di permesso di soggiorno, per la somma
corrispettiva di Euro 150,00 mensili. Rilevava detto Tribunale come il D.Lgs. n. 286 del 1998, art.
12, comma 5 bis, introdotto con la L. 24 luglio 2008, n. 125, pretenda che il fatto sia stato
commesso “al fine di trame ingiusto profitto”, dolo specifico che nella fattispecie non poteva dirsi
presente, dovendosi ritenere equo l’anzidetto canone d’affitto e non risultando altre condizioni
gravose che alterassero l’equilibrio sinallagmatico.
2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di
Reggio Calabria che motivava il gravame formulando le seguenti deduzioni per violazione di legge:
la disposizione in esame prevede due ipotesi, quella di chi da alloggio ad uno straniero irregolare e
quella di chi comunque cede allo stesso un immobile in locazione e solo alla prima si doveva
attribuire la previsione del dolo specifico (fine di trame ingiusto profitto). Poiche’ nella fattispecie si
trattava di un immobile dato in locazione, non si doveva pretendere il dolo specifico (ingiusto
profitto), essendo sufficiente il dolo generico, palesemente sussistente.
3. In data 02.03.2009 perveniva a questa Corte memoria difensiva del Ga. che da un lato ribadiva
la modestia del canone (peraltro – si assume – mai in effetti corrisposto), dall’altro ricordava come il
contratto risalisse all’Aprile 2008, prima dell’entrata in vigore della disposizione introdotta con la L.
n. 125 del 2008.
4. Il ricorso del P.M., infondato, non puo’ essere accolto. La tesi della ricorrente parte pubblica
propone la disarticolazione interpretativa del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5 bis (come
introdotto dalla L. n. 125 del 2008) tale da scomporre detta norma in due unita’ (scisse
testualmente dal termine “ovvero”) che prevedano due condotte di reato distinte: la prima, l’unica
che sarebbe sorretta da dolo specifico (“al fine di trarre ingiusto profitto”), che sancisce la condotta
di chi “da alloggio ad uno straniero, privo di titolo di soggiorno, in un immobile di cui abbia la
disponibilita’”; la seconda che sancisce chi “lo cede allo stesso, anche in locazione”. Cosi’ scissa la
disposizione in due diverse ed autonome condotte, ne risulta – opina il ricorrente P.M. – che il dolo
specifico sia previsto, testualmente, solo per la prima delle due ipotesi. Siffatta proposta
interpretazione (che pur – occorre dare atto – risulta generata da una non esemplare tecnica
legislativa) fa evidentemente leva sul valore fortemente disgiuntivo da attribuire al termine “ovvero”
e sulla specificazione della “locazione” quale forma di condotta punibile che, nella contraria ipotesi
di interpretazione unitaria, sembrerebbe ultronea.
Tale proposta interpretativa non e’ pero’ fondata. Rileva invero questa Corte come, dovendosi far
capo ai fondamentali principi dell’ermeneutica giuridica, si debba osservare anzitutto come il testo
della norma in esame si presenti unitario proprio dal punto di vista sintattico, atteso che il soggetto
che regge e lega l’intera frase – “chiunque” – e’ unico ed e’ giustamente posto al suo inizio, cosi’
come la clausola di salvaguardia (“Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato”), che, altrimenti,
nella interpretazione qui respinta, dovrebbe parimenti (ed inammissibilmente) ritenersi legata solo
alla prima delle due condotte proposte come autonome.
Altrettanto e’ a dire della sanzione
(reclusione da sei mesi a tre anni) che e’ prevista in modo unitario per tutte le condotte descritte
dal comma in esame, essendo in tal senso invocabile il tradizionale canone interpretativo secondo
cui l’unicita’ della sanzione, in un contesto di conformita’ tematica e di assoluta prossimita’ testuale,
e’ sicuro sintomo di previsione unitaria di una singola fattispecie di reato. Cosi’ e’ a dire anche in
relazione alla locuzione usata dopo il termine “ovvero” – “lo cede allo stesso” (cioe’ allo “straniero
privo di titolo di soggiorno”) – che si lega fortemente, sia dal punto di vista sintattico che da quello
concettuale, alla prima parte della frase. Quanto poi al termine “ovvero” che – secondo il ricorrente
– starebbe ad indicare una vera e propria cesura, varra’ ricordare come una corretta lettura
lessicale induca in particolare il significato non tanto di una rafforzata disgiunzione, quanto dell’uso
appropriato allorche’ (come nel caso in esame) al primo termine segua un’intera proposizione.
Dunque continuita’ della frase, non frattura insaldabile.
Venendo poi ad un esame di sistema, allargato al piu’ vasto campo penale, risulta altrettanto
evidente come il termine “ovvero” sia largamente usato dal legislatore (nel suo corretto impiego,
quando ad esso segua una proposizione e non una sola parola) per descrivere plurime condotte
punibili pur in un contesto unitario di reato: si veda l’art. 648 bis c.p. (riciclaggio: Fuori dei casi di
concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro….ovvero compie, ecc); l’art. 479 c.p.
(falsita’ ideologica: Il pubblico ufficiale che ….attesta falsamente …ovvero omette o altera, ecc.);
l’art. 442 c.p. (commercio di sostanze alimentari contraffatte o adulterate: Chiunque…detiene per il
commercio, pone in commercio, ovvero distribuisce…).
In tutti tali casi non c’e’ dubbio alcuno che si tratti di un unico reato del quale sono descritte le
plurime possibili forme di commissione, nei quali dunque il termine “ovvero” non induce una
dualita’ (o pluralita’) di reati autonomi. Del resto, per restare nell’esemplificazione, non potrebbe
certo sostenersi (e non risulta che mai sia stato proposto) che la clausola di salvezza posta
nell’incipit dell’art. 648 bis c.p. (“Fuori dei casi di concorso nel reato”) debba intendersi riferita solo
alla prima parte della norma e non alla condotta descritta successivamente al termine “ovvero”.
Dunque, sotto i piu’ diversi aspetti dell’analisi testuale, deve riconoscersi l’unitarieta’ del reato
previsto e punito dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5 bis e solo la descrizione, secondo la
tecnica casistica, delle plurime forme di condotta punibile. La corretta destrutturazione della norma
in esame come formulata porta dunque a rilevare: a) un incipit di salvezza (“Salvo che il fatto
costituisca piu’ grave reato”); b) l’indicazione del soggetto attivo, generale (“chiunque”); c) una
sanzione finale (“e’ punito con la reclusione da tre mesi a tre anni”); d) una parte centrale
descrittiva delle possibili forme di condotta punibili, indicate con le proposizioni “da alloggio” e
“cede in locazione”, paritariamente considerate.
Tale conclusione qui raggiunta non e’ inficiata dalla deduzione del ricorrente P.M. secondo cui, se
si dovesse privilegiare l’interpretazione monistica, anche la locuzione “a titolo oneroso” dovrebbe
essere riferita pure alla seconda parte, e dunque anche al “cedere in locazione”, il che non
potrebbe essere accettato, risultando inutile (in quanto la locazione e’ contratto necessariamente a
titolo oneroso). Cosi’, pero’, non e’, posto che la locuzione “a titolo oneroso” sintatticamente si lega
solo con la preposizione “da alloggio” cui e’ direttamente collegata. In tal senso vale anche far
richiamo ai lavori parlamentari che ampiamente danno contezza del fatto che l’inserimento della
locuzione “a titolo oneroso” fu voluto dal legislatore non gia’ per differenziare un’ipotesi (dare
alloggio) rispetto ad un’altra (cedere in locazione) e dare dignita’ autonoma di reato alle stesse, ma
per escludere le condotte umanitarie (dare alloggio gratuito), il che, nel confermare la sinapsi
lessicale dare alloggio a titolo oneroso, convalida definitivamente l’interpretazione resa da questa
Corte e le conclusioni qui raggiunte. Ad ulteriore conforto varra’ anche ricordare come tutta la
saggistica finora edita sull’innovazione legislativa in esame concordi in modo unitario sulla stessa
linea, nessuno ipotizzando che il cit. comma 5 bis descriva due ipotesi diverse di reato, e tutti
concordando con l’affermazione che la formulazione legislativa, per quanto non esemplare, pur
tuttavia di certo proponga il dolo specifico (fine di ingiusto profitto) come previsto in modo
essenziale quale profilo psicologico di ogni ipotesi descritta (e non solo per il dare alloggio). La
sicura conclusione di unitarieta’ che deve affermarsi conduce, dunque, inevitabilmente, ad
assumere il fine di ingiusto profitto come necessario anche alla forma di condotta consistente nel
cedere in locazione. Il che – conformemente alla giurisprudenza di questa Corte elaborata in
relazione all’art. 12, comma 5, (favoreggiamento della permanenza di stranieri irregolari) nel quale
prima della riforma ricadevano le ipotesi ora sancite dal comma 5 bis – si realizza allorche’
l’equilibrio delle prestazioni sia fortemente alterato in favore del titolare dell’immobile, con pari
sfruttamento della precaria condizione dello straniero irregolare (in tal senso cfr., ex pluribus,
trattandosi di giurisprudenza quanto mai consolidata: Cass. Pen. Sez. 1, n. 46066 in data
16.10.2003, Rv. 226466, Capriotti; Cass. Pen. Sez. 1, n. 46070 in data 23.10.2003, Rv. 226477,
P.G./Scarselli; ecc.). Tanto ritenuto, poiche’ nella fattispecie in esame il Tribunale distrettuale ha
ritenuto, con rilevazione in fatto qui non censurabile e con argomentazioni logiche e coerenti
parimenti immuni da rilevabili vizi, che Ga. Pa. , affittando il suo immobile per il corrispettivo di
Euro 150,00 mensili, non abbia perseguito un fine ingiusto, trattandosi di canone sostanzialmente
equo senza evidente sproporzione sinallagmatica, va concluso per la correttezza dell’impugnata
ordinanza.
In definitiva il ricorso, infondato, deve essere rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Cosi’ deciso in Roma, il 7 aprile 2009.
Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2009