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Cos’è per te la libertà?

Report dal confine sloveno - croato di un gruppo di studenti universitari di Padova

Siamo in 12 e decidiamo di partire: Emiliano, Laura, Nina, Elena, Salvatore, Giuseppe, Edoardo, Flavia insieme a Lavinia, Sara, Carolina e Alex; un gruppo di psicologi per lo più, ma soprattutto un gruppo di giovani abitanti di una Europa vecchia, ma ancora in costruzione.

La benzina che alimenta le nostre tre automobili fino ai confini sloveni è una domanda comune: chi sono davvero le persone che attraversano i Balcani e che, da tempo, costituiscono la prima notizia di tutti i telegiornali?

L’occasione per il viaggio è stata offerta dall’esame di Psicologia di comunità che stiamo affrontando in università. E’ richiesta la realizzazione di un progetto concreto e noi abbiamo deciso di raccogliere interviste ai migranti in transito nei Balcani, per poi farne un video-documentario da diffondere in Italia.

Vogliamo far emergere principalmente quattro cose: la motivazione della traversata (dove vai e da cosa scappi), le aspettative correlate alla vita che ognuna di queste persone aveva in patria (cosa facevi prima e cosa vorresti fare quando arriverai), la definizione da loro attribuita ad alcuni termini come “guerra” “libertà” e “una vita degna”. In chiusura dell’intervista è richiesto all’intervistato di parlare direttamente a chi guarderà il video in Italia, spiegando perché è giusto fare accoglienza e perché è sbagliato odiare e discriminare chi arriva in cerca di una vita migliore. L’obiettivo del nostro progetto, insomma, è creare un punto di connessione tra i rifugiati e gli italiani.

Le discriminazioni nascono dall’ignoranza; dare volti e nomi ai migranti riduce la diffidenza, la paura e il rifiuto.

Il primo dato con cui ci siamo scontrati, paradossalmente, è stata la scarsità di migranti nel campo. Se a Dobova un mese fa transitavano addirittura 10 mila migranti al giorno, da quando al confine macedone hanno la possibilità di procedere verso nord solo siriani, iracheni e afgani, i numeri sono sensibilmente diminuiti. Il tentativo di dividere migranti economici da rifugiati politici semplicemente in base alla nazionalità è ovviamente una tattica inefficace. Molte delle persone con cui abbiamo parlato scappano da fame e inflazione (la moneta siriana si è svalutata del 400% negli ultimi mesi a causa della guerra), e molte delle persone fermate a Idomene (confine greco-macedone) scappano, invece, da guerre e devastazioni.

Quella che abbiamo davanti ai nostri occhi è una Europa che non vuole vedere, una Europa che mette l’umanità all’ultimo posto delle proprie priorità. Esempio ne è un meeting in Croazia, a cui ha partecipato anche il vicepresidente americano, che, per evidenti problemi di “sicurezza”, ha reso “necessario” bloccare tutti i profughi ai confini, lasciandoli al freddo una notte intera a soli 3 km dal campo dove avrebbero potuto riscaldarsi con le coperte e nuovi vestiti.
“Salam aleykum!”, “Do you need a doctor?” e alla fine “Jalla! Jalla!”.
Queste sono le cose che abbiamo capito essere più utili da dire per accogliere chi ha la fortuna di arrivare nel campo profughi di Dobova al confine Sloveno-Croato.
“Jalla! Jalla!” serve a non far innervosire la polizia che sorveglia tutto il percorso dei migranti all’interno del capo, significa “fate in fretta!” o “sbrigatevi!”, in arabo, ovviamente.

Per quanto un po’ tutte le persone con cui abbiamo parlato sono d’accordo sul fatto che più si risale l’Europa da sud a nord, dalla Grecia fino alla Germania, più la polizia è tranquilla, in Slovenia le forze dispiegate non sembrano aver intenzione di creare problemi, ma solo la volontà di finire tutto il prima possibile per tornarsene a casa.

Questo non significa che i metodi utilizzati per raggiungere questo obiettivo siano cordiali o amichevoli. Le strategie più in voga sono comunque le urla e le minacce. Non mancano i soliti scherzi come picchiare col manganello sulla porta del bagno dove un ragazzino è appena entrato. “Perché fare una cosa del genere?” “Fa freddo! E il tempo da passare al campo è tanto, perché non divertirsi un po’? E poi… non penseranno mica di avere diritti questi che arrivano qui, no?

Ovviamente uno tra i ruoli principali delle forze di stato presenti è evitare la diffusione di foto, video e registrazioni di quello che succede all’interno del campo. Ciò nonostante, siamo riusciti a recuperare qualche intervista e un po’ di materiale audio-video per il nostro progetto.

Per capire la seconda frase sulla necessità del dottore basta leggere le centinaia di referti medici che abbiamo trovato tra degli scatoloni destinati al bidone dei rifiuti. Zakarisa nato il 3/11/2014 ha problemi cardiaci congeniti, eppure ha freddo come tutte le persone con cui scappa dalla sua terra. Amal ha solo 16 anni, ma da 6 mesi è incinta, neanche lei ha diritto ad avere un letto caldo dove riposare nonostante abbia già le contrazioni. La maggior parte degli arrivati mostra sintomi da raffreddamento, come influenza e tosse, e diarrea dovuta alle pessime condizioni in cui sono costretti ad affrontare la traversata. Tanti altri soffrono di problemi fisici come dolore alla schiena, alle gambe e piaghe ai piedi, dovute alle lunghe traversate fatte con scarpe rotte per giungere fino alla Slovenia. Anche in base ai referti capiamo che questo viaggio, per quanto assistito, non si può definire “un canale umanitario”, cosa che presupporrebbe di trattare i migranti come esseri umani, appunto, ma risulta essere più che altro un transito di merci destinata alla Germania e a gli altri paesi del nord Europa, in espansione economica e in calo demografico.

“Salam aleykum”, invece, significa umanità. Salutare nella loro lingua una famiglia che scappa da giorni se non settimane e mesi, attraversando boschi e intemperie, oltre che confini funesti e mari, significa riconoscere che abbiamo davanti a noi persone e non bestie o forza lavoro, uomini e donne e non valori economici.

Si parla spesso della religione di chi arriva in Europa, solo con l’intento di creare una inesistente contrapposizione tra credenti. Si dice che molti di loro sono musulmani e, infatti, il cibo distribuito dalla croce rossa è rigorosamente halal, ma non si dice quasi mai che i primi ad aprire le porte dell’accoglienza sono i preti della zona che mettono a disposizione le loro parrocchie per dare ospitalità ai volontari, come è successo anche nel nostro caso.

Si parla spesso del paese d’origine di chi arriva, con l’intento di stigmatizzare una nazionalità piuttosto che un’altra, ma non si dice quasi mai che i volontari arrivano da Svizzera, Austria e addirittura Nuova Zelanda e Ohio, USA.

Chi scappa dalla guerra non ha nazionalità, ha solo bisogno di un posto dove stare in pace. Chi scappa dalla fame non ha religione, ha solo bisogno di un pasto caldo.
Allo stesso modo chi è umano può chiedersi da dove o come arrivino le persone in difficoltà, ma poi deve mettere da parte tutto questo e chiedersi solo se può dare una mano.

Emiliano, Laura, Nina, Elena, Salvatore, Giuseppe, Edoardo, Flavia, Lavinia, Sara, Carolina e Alex.