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Cosa dice il Ministero dell’Interno sul diritto di asilo?

Considerazioni sull'Opuscolo informativo per il richiedente lo status di rifugiato predisposto dal Ministero

La lettura dell’Opuscolo informativo per il richiedente lo status di rifugiato, disponibile sul sito del Ministero dell’Interno, suscita alcune considerazioni.
Il piccolo vademecum predisposto dal Ministero, di cui si ignora la modalità di diffusione agli uffici di polizia di frontiera e alle Questure, e da queste ai richiedenti stessi, risponde a quanto disposto dal regolamento all’art. 2, comma 6:
“La Questura consegna al richiedente asilo un opuscolo redatto dalla Commissione nazionale, secondo le modalità di cui all’art. 4, in cui sono spiegati:
a) le fasi della procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato;
b) i principali diritti e doveri del richiedente asilo durante la sua permanenza in Italia;
c) le prestazioni sanitarie e di accoglienza per il richiedente asilo e le modalità per richiederle;
d) l’indirizzo ed il recapito telefonico dell’ACNUR e delle principali organizzazioni di tutela dei rifugiati e dei richiedenti asilo;
e) le modalità di iscrizione del minore alla scuola dell’obbligo, l’accesso ai servizi finalizzati all’accoglienza del richiedente asilo, sprovvisto di mezzi di sostentamento, erogati dall’ente locale, le modalità di accesso ai corsi di formazione e riqualificazione professionale, la cui durata non può essere superiore alla validità del permesso di soggiorno.”

L’opuscolo è redatto anche in lingua inglese, francese, spagnola e araba (assenti purtroppo le lingue dell’est Europa ed in particolare il russo, sebbene i paesi dell’ex Unione Sovietica siano quelli di maggiore provenienza dei richiedenti asilo in Europa, come risulta dai dati dell’UNHCR) ed in sole sette pagine dovrebbe informare su procedura, diritti, prestazioni sanitarie, enti di riferimento e accesso ai servizi.
Una vistosa assenza, almeno per quanto riguarda la versione scaricabile dal sito, riguarda l’indirizzario delle organizzazioni di tutela, annunciate dal regolamento ma non presenti.
Il piccolo vademecum contiene soprattutto indicazioni riguardo alla procedura ed illustra le novità apportate dalla Bossi- Fini e dal regolamento.
Una prima serie di osservazioni riguarda dunque le nuove procedure, in particolare in merito al trattenimento e alla mancata sospensione del provvedimento di espulsione in caso di ricorso . Su questi aspetti si è già scritto e commentato e l’opuscolo in questione non introduce elementi di novità, ponendosi solo un obiettivo divulgativo.
L’impianto del regolamento si fonda su un trattenimento generalizzato dei richiedenti e questo è l’aspetto sul quale è necessario intervenire nelle sedi possibili, poiché viola la Costituzione italiana laddove, all’art.13, garantisce la libertà della persona [ricordiamo che il trattenimento non prevede la convalida da parte dell’autorità giudiziaria], e la legge stessa laddove dispone che (art. 1 bis comma 1) “Il richiedente asilo non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la domanda di asilo presentata.” Situazione che sembra configurarsi in caso di procedura semplificata, che prevede il trattenimento del richiedente in un centro di identificazione per il tempo previsto per la procedura. Ne esce o riconosciuto, o per il rimpatrio, probabilmente in seguito al trasferimento nell’altra ala del CDI adibita invece a Centro di Permanenza Temporanea.
Questo è sicuramente uno degli aspetti più preoccupanti della nuova procedura. L’opuscolo fornisce anche illuminanti informazioni su dispositivi di legge di dubbia legittimità, come l’equivalenza tra allontanamento non autorizzato dai centri e la rinuncia alla domanda disposto dall’art. 1 ter comma 4 del Decreto Legislativo 30 dicembre 1989, n. 416, come modificato dalla Bossi- Fini, che dispone: “L’allontanamento non autorizzato dai centri di cui all’art. 1 bis, comma 3 [centri di identificazione], equivale a rinuncia alla domanda.”

Torniamo ora ad una lettura dell’opuscolo dal solo punto di vista informativo: si nota immediatamente che non vi è menzionata in alcun modo la protezione umanitaria.
La breve guida, infatti, fa riferimento esclusivamente al riconoscimento dello status ai sensi della Convenzione di Ginevra.
I due tipi di protezione, quella umanitaria e lo status di rifugiato, hanno contenuti diversi: sia per i motivi per i quali sono riconosciuti, sia per i diritti che tutelano.
La durata della protezione in caso di riconoscimento dello status è inoltre indefinita, mentre per la protezione umanitaria è limitata nel tempo.
Al beneficiario di protezione umanitaria viene rilasciato un permesso di durata variabile, che dipende dalla Questura di rilascio, ma che generalmente è pari a un anno (e comunque non superiore), ed è difficilmente rinnovabile, se non con la conversione a lavoro – che peraltro non tutte le Questure in Italia ritenevano attuabile.

Il rinnovo del permesso umanitario
Negli ultimi mesi di applicazione della procedura, la situazione del rinnovo del permesso per motivi umanitari era estremamente caotica.
La procedura, definita da circolari che non trattavano in modo organico la tipologia di questo permesso, prevedeva che, al momento del rinnovo, la Questura chiedesse alla Commissione Centrale un riscontro circa il permanere o meno delle condizioni che ne avevano consentito il rilascio, causando tempi di attesa lunghissimi per il rinnovo. Per questo motivo e poiché il rinnovo come umanitario avveniva sempre più di rado, ai beneficiari di protezione umanitaria veniva consigliato di chiedere, al momento del rinnovo, la conversione a lavoro. A questa richiesta le Questure italiane hanno risposto in modi diversi: negando la conversione; permettendo la conversione però all’interno delle quote previste dal decreto flussi; oppure concedendo la variazione, naturalmente in presenza dei presupposti, quali lo svolgimento di una regolare attività lavorativa, che il permesso umanitario, per inciso, consente.
La durata limitata del permesso e la necessità di convertirlo a lavoro rendono estremamente insicura la situazione di quanti, pur in possesso dei requisiti per il riconoscimento dello status, e che rischierebbero la vita in caso di rientro al loro paese, ottengono solo il riconoscimento della protezione umanitaria.
Dopo un anno, infatti, queste persone si trovano in possesso di un permesso per lavoro che, per un prolungato periodo di inoccupazione o per altre cause, può non essere rinnovato. È bene ricordare che vi è comunque la possibilità di fare ricorso contro la decisione della Commissione, anche qualora abbia ritenuto di concedere la protezione umanitaria, e che la giurisprudenza in materia fa ben sperare sulla possibilità di riconoscimento dello status di rifugiato in sede di ricorso.

Il riconoscimento della protezione umanitaria
È opportuno ricordare che la Legge Martelli non faceva menzione della protezione umanitaria, ma solo del riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra.
Negli ultimi anni, una procedura amministrativa ha introdotto questa forma di permesso, rilasciato dalla Questura competente a seguito di una decisione della Commissione Centrale in cui non veniva riconosciuto lo status, ma si esplicitava tuttavia la sussistenza delle condizioni per la concessione della protezione temporanea.
Il regolamento di attuazione (DPR 303/2004, art. 15 comma 2c) ora stabilisce in modo chiaro in quali casi sia opportuno disporre il rilascio del permesso umanitario, formalizzando quanto già avviene nella pratica.
La protezione, secondo le disposizioni introdotte, è concessa in seguito alla valutazione dei possibili pericoli che potrebbero seguire all’espulsione dello straniero, pur in assenza di persecuzioni individuali, che sono invece requisito per il riconoscimento dello status di rifugiato.
L’autorità competente per il rilascio del permesso è naturalmente il Questore, ai sensi dell’art. 5 comma 6, ma a chiederne il rilascio è la Commissione territoriale. Quindi un modo per accedere alla procedura di riconoscimento di questo tipo di protezione è certamente chiedere il riconoscimento dello status di rifugiato.
Non si capisce pertanto perché l’opuscolo non ne faccia menzione.
Questo è tanto più grave se si pensa che il riconoscimento della protezione umanitaria riguarda la maggioranza degli esiti positivi in seguito all’intervista presso la Commissione, come dimostrano i dati relativi al 2003 – ultimi dati disponibili – dai quali risulta che sulle 11.319 istanze esaminate dalla Commissione centrale nell’anno 2003, ne sono state accolte 555 e respinte 3358, concedendo però la protezione umanitaria a 828 dei respinti. Si veda, a riguardo, l’articolo relativo all’audizione del Ministro Mantovano, dal quale emerge inoltre il dato ancor più preoccupante dell’elevatissimo numero di dinieghi causati dal fatto che il richiedente non si è presentato alla convocazione.
Queste mancate convocazioni, secondo l’opinione di numerosi esponenti dell’associazionismo che si occupa del tema dell’asilo, sono causa diretta della mancanza di accoglienza e, quindi, delle continue peregrinazioni per l’Italia dei richiedenti in cerca di fonti di sopravvivenza, essendo loro vietato lo svolgimento di regolare attività lavorativa.
Una grave conseguenza di questo lacunoso opuscolo potrebbe essere il mancato accesso alla procedura di quanti non rientrano nei restrittivi e spesso inattuali requisiti della Convenzione di Ginevra. Inattuali poiché non comprendono le situazioni che si possono verificare in caso di conflitti armati, in un contesto globale dove in molti paesi sono in corso sanguinosi quanto prolungati conflitti, nei quali sempre più le vittime sono civili che, anche per un periodo limitato di tempo, necessitano, per poter fuggire, di un luogo di rifugio, di protezione e di cura dalle conseguenze della guerra.

In questo consiste la protezione umanitaria, istituto ancora non sufficientemente disciplinato ma comunque previsto dalla normativa e che scompare in questo opuscolo di dubbio valore informativo.

La tutela giurisdizionale
Un’altra vittima illustre della semplificazione adottata per la stesura di questo opuscolo è relativa alle modalità del ricorso.
L’art. 1 ter comma 6 del D.L. 30 dicembre 1989, n. 416, definisce termini e svolgimento del riesame e del ricorso, e a proposito di quest’ultimo specifica che: “Il ricorso non sospende il provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale; il richiedente asilo può tuttavia chiedere al Prefetto competente di essere autorizzato a rimanere sul territorio nazionale fino alle esito del ricorso.”
Questa norma crea perplessità e forti timori per la sicurezza di quanti verranno respinti nel paese di origine pur in attesa di ulteriori accertamenti e verifiche da parte dello stato, in particolare del tribunale che, negli ultimi anni di attuazione della procedura ora modificata, sappiamo essere stato più propenso al riconoscimento dello status, come dimostrano i numerosi ricorsi vinti dai richiedenti.
Ecco quanto spiega l’opuscolo: “Tuttavia, avverso la decisione negativa adottata dalla Commissione Territoriale, puoi presentare, entro 15 giorni, ricorso al Tribunale ordinario competente per territorio. Potrai presentare tale ricorso anche dall’estero, tramite rappresentanza diplomatica.”
Si dice “presentare ricorso anche dall’esterno” ma non è spiegato come provare a presentarlo e rimanere in Italia. La facoltà di chiedere al prefetto l’autorizzazione a rimanere nel territorio dello stato sarà prevedibilmente sfruttata da quanti avranno la possibilità di entrare in contatto con enti ed associazioni di tutela, che spiegheranno loro quanto omesso dall’opuscolo. Peraltro, il regolamento dispone che la permanenza in Italia avvenga in un CPT (art. 17 comma 1), e anche su questo sarà importante vigilare affinché non siano commessi abusi; per capire, a fronte di ricorsi che durano uno o due anni, cosa ne sarà dell’autorizzazione dopo i 60 giorni di reclusione in un CPT, durata massima prevista dal TU.

La protezione umanitaria nel regolamento della Bossi-Fini
Un’importante e positiva novità è contenuta nelle disposizioni previste all’articolo 11 comma 1 c ter del DPR 394/1999 come modificato dal DPR 334 del 2004.
Questo comma prevede che il permesso di soggiorno sia rilasciato: “per motivi umanitari, nei casi di cui agli articoli 5 comma 6 e 19, comma 1, del testo unico, previo parere delle Commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero acquisizione dall’interessato di documentazione riguardante i motivi della richiesta relativi ad oggettive e gravi situazioni personali che non consentono l’allontanamento dello straniero dal territorio nazionale”.
A seguito delle modifiche introdotte dal Decreto 334/2004, sembra facoltà anche del Questore la decisione in merito al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, nei casi in cui lo straniero documenti oggettive e gravi situazioni personali che non ne consentano l’allontanamento.