Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

a cura dell'Avv. Roberto Faure - Genova

Cosa può fare un lavoratore immigrato se il datore di lavoro non vuole regolarizzarlo?

La legge italiana, art. 2 legge 604 del 1966, prevede che in tal caso il licenziamento sia “inefficace” cioè di fatto come mai avvenuto; pertanto il rapporto di lavoro continua, ed al lavoratore compete il diritto alle retribuzioni non pagate ed a essere riammesso al lavoro. Ciò in ogni caso, che l’impresa abbia più o meno di 15 dipendenti. Il licenziamento è un atto unilaterale recettizio a forma speciale ed inderogabile; senza la forma scritta, non si ha licenziamento.

Tornando al nostro lavoratore extracomunitario licenziato “a voce” e quindi inefficacemente poniamo caso a febbraio del 2002, se la legge è ancora uguale per tutti, nel periodo dei tre mesi anteriori al fatidico 10 settembre 2002, era presente in Italia ed era, ad ogni effetto di legge, alle dipendenze del datore che crede di averlo licenziato ma non lo ha fatto.
Chiunque sorriderebbe pensando alla prevedibile reazione di un funzionario di polizia dell’Ufficio Stranieri di fronte a tale ragionamento. Differente sarebbe invece a mio avviso il provvedimento di un giudice, che applica la legge e non gli umori della compagine governativa.
Pertanto, la soluzione sta nel portare la questione davanti al giudice.
Il “governo degli avvocati” ha introdotto il cavilloso concetto di “ricevibilità” della domanda di sanatoria, concentrandosi su come garantire che sia la esclusiva volontà del padrone a permettere la regolarizzazione, in ossequio alla mostruosità giuridica del “contratto di soggiorno”. Tuttavia pare che le Poste accettino la raccomandata con la domanda di sanatoria senza troppe questioni.
D’altro canto, l’impiegato postale che rifiutasse di ricevere la raccomandata probabilmente commetterebbe l’illecito di cui all’art. 2952 cc che impone a chi esercita un servizio in condizioni di monopolio di offrire a tutti le sue prestazioni.

– Il lavoratore può certamente inviare una raccomandata con ricevuta di ritorno se necessario “normale” alla Prefettura, contenente tutti i documenti richiesti per la sanatoria, tranne ovviamente la “dichiarazione di emersione” firmata da un imprenditore che certamente non ha alcuna intenzione di farlo poiché ha “licenziato” il dipendente extracomunitario.

– Tale documento andrebbe sostituito da un altro documento comprovante l’inizio di un procedimento di accertamento del rapporto di lavoro nei fatidici tre mesi anteriori al 10 settembre 2002; ad esempio:

1) copia autentica del ricorso depositato al Giudice del Lavoro

2) copia dell’istanza di conciliazione alla Direzione Provinciale del Lavoro

3) copia di una eventuale denuncia all’Ispettorato del Lavoro.

Di fronte alla domanda, certamente la Prefettura (o meglio l’Ufficio Unico Per l’Immigrazione presso la Prefettura) risponderà negativamente o meglio non risponderà affatto. Trascorsi i 20 giorni previsti per la risposta dalla legge, sarebbe opportuno mettere in mora la Prefettura con una raccomandata. Nel perdurare del silenzio, trascorsi 30 giorni può ritenersi rifiutata la domanda per procedere a ricorso al TAR.
Ritengo che tale ricorso sia senza spese perchè esente dal contributo unificato (Tassa Giudiziaria) trattandosi di materia di lavoro.

Davanti al Tar potrà sollevarsi eccezione di incostituzionalità sulla norma del decreto legge di sanatoria (o della norma sulle badanti art. 33 legge Bossi Fini) che discrimina i lavoratori in base alla volontà privata del datore di lavoro che può ammettere o meno il rapporto di lavoro pregresso nei tre mesi antecedenti il 10 settembre 2002.

Queste ipotesi a quanto risulta sono avvalorate da più operatori del diritto, in particolare dell’ASGI.