Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
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Cosa succede alla libertà di movimento durante una pandemia?

Sandro Mezzadra e Maurice Stierl, Open Democracy - 24 marzo 2020

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Le gravi conseguenze della pandemia di Covid-19 dominano le testate giornalistiche di tutto il mondo e hanno attirato l’attenzione del pubblico a differenza di qualsiasi altro problema o evento. In tutto il mondo, le società hanno difficoltà a rispondere e ad adattarsi a scenari e livelli di minaccia in rapido cambiamento.

Le misure di emergenza hanno sconvolto la vita quotidiana, i viaggi internazionali sono stati in gran parte sospesi e molti confini nazionali sono stati chiusi. I leader di stato paragonano la lotta contro il virus a una vera e propria guerra – sebbene sia chiaro quanto questo paragone sia fuorviante e che le persone coinvolte nella “guerra” non sono soldati, ma semplici cittadini.

La situazione è grave e sarebbe un grave errore sottovalutare l’evidente pericolo di infezione, la perdita di vite umane, il collasso dei servizi sanitari e quello dell’economia. Tuttavia, è necessario sottolineare che questa fase di incertezza comporta anche il rischio di normalizzare politiche “eccezionali“, che limitano le libertà e i diritti in nome della crisi e della sicurezza pubblica, e non solo a breve termine.

Di tutte le libertà specifiche che possono venire in mente quando sentiamo la parola libertà“, scrisse una volta la filosofa Hannah Arendt, “la libertà di movimento è storicamente la più antica e anche la più elementare“.

Tuttavia, in tempi di pandemia, i movimenti umani sono sempre più problematici. Si dice che l’elementare libertà di muoversi sia ridotta per il bene comune, in particolare per gli anziani e gli altri gruppi ad alto rischio. L’ isolamento volontario sembrerebbe la chiave, gli spostamenti “non necessari” e il contatto con gli altri devono essere evitati.

In Cina, in Italia e altrove, sono state introdotte misure severe e la loro violazione può comportare gravi sanzioni. Gli spostamenti da un punto A ad un punto B richiedono l’autorizzazione (statale) e quelli non autorizzati possono essere puniti.

Le ragioni a supporto di questo sono più che valide, tuttavia, è necessario fare il punto riguardo alle implicazioni più ampie della nostra situazione attuale.

In questo quadro generale, le attuali restrizioni agli spostamenti pongono dei problemi alle persone che non hanno una casa e per le quali l’auto-quarantena non è nemmeno un’opzione, alle persone con disabilità che rimangono senza cure, e alle persone, donne per lo più, la cui casa non rappresenta un rifugio sicuro, ma è un luogo di paura e abusi domestici.

Le restrizioni sono anche particolarmente problematiche per coloro la cui elementare libertà di movimento era stata ridotta già molto prima dell’epidemia di Covid-19, ma che hanno bisogno di muoversi per vivere in sicurezza. I migranti incarnano nel modo più duro le contraddizioni e le tensioni che circondano la questione della libertà di movimento e la sua negazione al giorno d’oggi. Non sorprende che nell’attuale clima, siano proprio loro i primi bersagli di queste misure restrittive.

I migranti incarnano nel modo più duro le contraddizioni e le tensioni che circondano la questione della libertà di movimento e la sua negazione oggi. Non sorprende che nell’attuale clima, siano proprio loro i primi bersagli di queste misure restrittive.

Le popolazioni migranti che si sono mosse, o continuano a spostarsi senza autorizzazione attraverso le frontiere per sfuggire al pericolo, sono soggette a misure di confinamento e deterrenza che sono legittimate da riferimenti, spesso falsi, alla sicurezza pubblica e alla salute globale. Le pratiche discriminatorie che segregano in nome della sicurezza trasformano queste persone a rischio in un rischio.

Stiamo combattendo una guerra su due fronti“, ha dichiarato il primo ministro ungherese Viktor Orban, “un fronte si chiama migrazione e l’altro Coronavirus. C’è una connessione logica tra i due, poiché entrambi si diffondono con il movimento“.

Il pericolo di confondere la dichiarata guerra alla pandemia con una guerra alla migrazione è grande e i costi umani sono elevati. Misure restrittive alle frontiere mettono in pericolo la vita delle popolazioni vulnerabili per le quali il movimento è un mezzo di sopravvivenza.

Misure restrittive alle frontiere mettono in pericolo la vita delle popolazioni vulnerabili per le quali il movimento è un mezzo di sopravvivenza.

Circa due settimane fa è stato documentato che la guardia costiera greca ha aperto il fuoco sui migranti che cercavano di fuggire attraverso il Mar Egeo e al confine terrestre tra Turchia e Grecia. Alcune persone sono morte mentre molte sono rimaste ferite nello scontro.

La reazione dell’Europa, rappresentata dal presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, è stata quella di riferirsi alla Grecia come lo “scudo” dell’Europa. Circa una settimana fa, è stato scoperto che una nave di migranti con 49 persone a bordo, che aveva già raggiunto una zona di ricerca e salvataggio europea, era stata riportata in Libia attraverso misure coordinate adottate dall’agenzia di frontiera dell’UE Frontex, dalle forze armate di Malta e dalle autorità della Libia.

In violazione del diritto internazionale e del principio di non respingimento, le persone sono state riportate negli orribili campi di migranti in Libia, un paese ancora in guerra. Senza soccorritori di ONG attualmente attivi nel Mediterraneo a causa del Coronavirus, oltre 400 persone sono state intercettate in mare e costrette a rientrare forzatamente in Libia solo lo scorso fine settimana, oltre 2.500 quest’anno.

Queste misure drastiche di deterrenza e contenimento delle migrazioni mettono in pericolo la vita di coloro che sono “in movimento” e aggravano il rischio di diffusione del virus. Nei campi libici, nelle condizioni che una volta i diplomatici tedeschi definivano “simili a quelle nei campi di concentramento“, i prigionieri spesso presentano un sistema immunitario estremamente indebolito e sono talvolta affetti da malattie come la tubercolosi.

Un focolaio di coronavirus qui sarebbe devastante. Medici senza frontiere ha chiesto l’immediata evacuazione degli hotspot nelle isole greche, sottolineando che le condizioni anguste e antigieniche del posto “fornirebbero tutti gli ingredienti necessari per la nascita di un focolaio di COVID-19“. Questa è una situazione comune nei campi di detenzione per migranti in Europa e altrove, come nelle carceri “regolari” di tutto il mondo.

Medici senza frontiere ha chiesto l’immediata evacuazione dei campi profughi nelle isole greche, sottolineando che le condizioni anguste e antigieniche lì “fornirebbero tutti gli ingredienti necessari per la nascita di un focolaio di COVID-19“.

Insieme al virus, si diffonde in tutto il mondo una politica della paura che promuove l’adozione di misure sempre più restrittive. Oltre alle conseguenze dannose legate alla riduzione della libertà di movimento, già sperimentate dai più vulnerabili, la preoccupazione è che molte di queste misure continueranno a minare i diritti e le libertà anche molto tempo dopo l’arresto della pandemia.

Eppure, come osserva Naomi Klein, nonostante “una dottrina di shock pandemico” possa consentire la messa in atto di “tutte le idee più pericolose in circolazione, dalla privatizzazione della previdenza sociale al blocco dei confini, alla messa in gabbia di ancora più migranti“, siamo d’accordo con lei che “la fine di questa storia non è stata ancora scritta“.

La situazione è instabile: il modo in cui finirà dipende anche da noi e da come ci mobiliteremo collettivamente contro le tendenze autoritarie ormai dilaganti. Intorno a noi, vediamo mille modi di reagire alla situazione attuale attraverso nuove forme di solidarietà emergenti e modi creativi di prendersi cura del “bene comune“. I fatti sono dalla nostra parte. La pandemia mostra che una crisi sanitaria globale non può essere risolta attraverso misure nazionalistiche, ma solo attraverso la solidarietà e la cooperazione internazionali: il virus non rispetta i confini.

I suoi effetti devastanti rafforzano la richiesta di assistenza sanitaria universale e il valore del lavoro di cura, che continua sproporzionatamente ad essere un lavoro quasi prettamente femminile. La pandemia dà slancio a coloro che chiedono il diritto a un riparo e alloggi a prezzi accessibili per tutti, e fornisce munizioni a coloro che hanno lottato a lungo contro campi di detenzione per migranti e alloggi di massa, oltre che contro le espulsioni dei migranti.

Espone i modi in cui il modello capitalista predatore, spesso descritto come ragionevole e senza alternative, non fornisce risposte a una crisi sanitaria globale mentre i modelli socialisti lo fanno. Mostra che le risorse possono essere mobilitate se esiste la volontà politica e che politiche ambiziose come il New Deal verde sono lungi dall’essere “irrealistiche“. E il Coronavirus evidenzia quanto sia importante la più basilare libertà di movimento.

I fatti sono dalla nostra parte … il virus non rispetta i confini.

Libertà di movimento, ovviamente, significa anche avere la libertà di non muoversi. E, certe volte, perfino la libertà di auto-confinarsi. A molti, spesso i più vulnerabili e diseredati, questa libertà così basilare non viene garantita.

Ciò significa che anche durante una pandemia, dobbiamo essere solidali con coloro che non sono costretti ad usufruire questa libertà di muoversi, che non possono più rimanere in campi profughi in Europa o ai suoi confini esterni e che cercano di scappare per trovare sicurezza. Sicurezza da guerre e persecuzioni, sicurezza da povertà e fame, sicurezza dal virus. In questo periodo in cui i confini si moltiplicano, la lotta per la basilare libertà di movimento continuerà ad essere sia un punto cruciale che uno strumento nella lotta contro l’ingiustizia globale, soprattutto, durante una crisi sanitaria globale come quella che stiamo vivendo.