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Così i migranti messicani si preparano nell’affrontare il timore delle deportazioni in massa di Trump

Manu Ureste (@ManuVPC), Animal Politico - febbraio 2017

I migranti irregolari messicani raccontano a Animal Politico i loro piani per affrontare le prime ondate di detenzioni di massa che l’I.C.E. (U.S Immigration and Customs Enforcement) ha attuato lo scorso fine settimana in città come Los Angeles, New York e Atlanta.

Prima dell’arrivo delle ondate di detenzioni di massa negli Stati Uniti, i migranti irregolari messicani stanno trasferendo i loro risparmi in conti bancari in Messico, vendendo le loro proprietà e, per evitare una possibile separazione familiare, procurando documenti messicani per i propri figli.

Inoltre, stanno organizzando proteste ed assemblee per informare membri della comunità dei migranti dei loro diritti in caso di detenzione.

Non solo i “bad hombres” vengono detenuti

Promessa mantenuta. A due mesi dal novembre 2016, quando Trump aveva annunciato che avrebbe attuato la deportazione immediata di almeno tre milioni di migranti con precedenti penali, il fine settimana scorso sono stati eseguiti i primi mandati operativi in almeno sei stati dell’Unione Americana nei quali erano detenuti 680 immigrati senza documenti, che verranno espulsi prossimamente.

“La campagna contro i criminali illegali è semplicemente parte della mia promessa elettorale. Spacciatori, membri di gruppi criminali ed altri stanno venendo deportati”, così ha scritto il presidente nel suo account di Twitter in relazione alle operazioni portate avanti dall’Ufficio di Immigrazione e Dogane (ICE è la sua sigla in inglese) sia nelle case che nei luoghi di lavoro di Atlanta, Chicago, New York, Los Angeles, Nord e Sud Carolina.

Tuttavia, alcuni migranti messicani intervistati da Animal Politico hanno espresso forti dubbi riguardo al fatto che retate e deportazioni siano unicamente dirette a spacciatori e ai “bad hombres”, come Trump chiama i criminali messicani.

Nonostante gli ultimi dati delle statistiche risalenti a dicembre 2016 non riflettano un aumento nelle deportazioni dei messicani - in seguito alla vittoria elettorale del magnate a Novembre i rimpatri addirittura scesero del 22% secondo i dati dell’Unità di Politica Migratoria -, i migranti temono che questa prima operazione sarà la prima di una lunga catena dopo l’insedio di Trump.

“Non avevo mai temuto così tanto la deportazione”

"Sono emigrata negli Stati Uniti 18 anni fa. In tutto questo tempo, noi messicani non avevamo mai temuto così tanto la deportazione come adesso con Donald Trump” ci assicura Luz Pérez, originaria messicana, parlando per telefono dalla città di Irvin, nel Texas, dalla ‘Casa Durango Dallas’. 

Al telefono con lei, condividendo il microfono, ci sono altri 20 migranti messicani che si riuniscono periodicamente nella sede di questa organizzazione civile che aiuta la comunità con corsi di formazione di base e universitaria, ma anche con dei forum di informazione sui diritti del migrante, soprattutto dopo l’elezione di Trump come candidato repubblicano.

"Sappiamo che queste retate sono solo l’inizio” riflette Javier Reyes, anche lui originario del Messico "per questo noi migranti dobbiamo essere preparati, nel caso di deportazione, per non tornare in Messico a mani vuote dopo tanti anni di lavoro negli Stati Uniti.”

Reyes dice che già da quando Donald Trump aveva occupato l’Ufficio Ovale della Casa Bianca lo scorso 20 Dicembre, aveva iniziato a trasferire parte dei suoi soldi guadagnati nei 18 anni di lavoro in Texas a un conto bancario in Messico. Reyes, inoltre, ha anche messo in vendita le sue proprietà “per evitare di perderle nel caso di deportazione”.

“Stiamo preparando psicologicamente i nostri figli per la deportazione”

Reyes Sottolinea che ha già iniziato i processi legali nel consolato per far si che i suoi due figli, otto e quattordici anni, ottengano la nazionalità messicana. Così, da un lato, eviterebbero una possibile separazione familiare e dall’altro faciliterebbe, almeno da un punto di vista legale, l’integrazione dei suoi figli in Messico.

"E’ molto difficile dover spiegare a dei bambini nati e cresciuti negli Stati Uniti che forse dovremo andare in Messico perché il Signor Trump non ci vuole qui” afferma il migrante con rammarico. "Per questo, li stiamo preparando psicologicamente in caso di deportazione. Gli abbiamo spiegato che in Messico, sfortunatamente, c’è delinquenza e la polizia non è come qua, dove, nonostante tutto, possiamo fidarci e ci dà sicurezza.”

"In ogni caso” chiarisce Reyes "essere preparati in caso di deportazione non significa rassegnarsi a dover lasciare il paese in cui abbiamo vissuto per quasi vent’anni.”

"Noi migranti messicani lotteremo per rimanere negli Stati Uniti” avvisa Javier Reyes."E se non sarà possibile, torneremo felicemente in Messico. Ma prima ci batteremo con tutte le nostre forze per restare in questo paese, ormai sentiamo che ci appartiene.”

Nel frattempo Ana Hernández, migrante proveniente da San Luis Potosí, racconta che la comunità ispanica negli Stati Uniti sta già organizzando azioni di protesta come quella del 12 Gennaio, quando in Wisconsin venne organizzata “una giornata senza migranti, latinoamericani e rifugiati” in risposta alle detenzioni di massa attuate dall’ICE questo fine settimana.

"E’ stato convocato uno sciopero del lavoro ed è stato chiesto di non mandare i nostri figli a scuola in modo che i sostenitori di Donald Trump prendano coscienza del fatto che anche noi migranti facciamo parte di questo paese e che il nostro lavoro contribuisce attivamente al suo potere” ci racconta la messicana.

Cosa fare in caso di detenzione?

Leonor Sánchez, un attivista che insieme al suo collega César Valenciano sono a capo di “Casa Durango Dallas”, spiega in un’intervista che, oltre questi progetti “la migliore arma contro Trump è mantenersi informati”, riferendosi ai diritti dei migranti e chiedendo di prestare attenzione alle decisioni prese dal repubblicano.

A questo proposito, va ricordato che organizzazioni come American Civil Liberties Union (ACLU) e il National Immigration Law Centre (NILC) hanno pubblicato linee guida sui diritti dei migranti e su azioni da prendere in caso di detenzione.

Per esempio, se sei un migrante senza documenti negli Stati Uniti e un agente d’immigrazione vuole entrare in casa tua, l’ACLU consiglia di non aprire la porta e di domandare il motivo per cui sono lì; se insistono a voler entrare, il migrante deve sempre chiedere un ordine firmato da un giudice ed esigere che gli venga mostrato attraverso una finestra chiusa o che gli venga passato da sotto una porta.

“Se non sono provvisti di un ordine firmato da un giudice hai il diritto di negargli l’accesso”, segnala la American Liberties Union, la quale consiglia, anche nel caso in cui gli agenti facciano irruzione al tuo domicilio, di “non resistere, rimani in silenzio e non firmare niente prima di aver parlato con un avvocato.” 

Leggi qui tutte le raccomandazioni da seguire in caso di detenzione di immigranti.

Anche il Centro di Informazione ed Assistenza ai Messicani (CIAM) della Segreteria degli Affari Esteri ha pubblicato ieri 6 passi su come comportarsi in caso di detenzione di immigranti negli Stati Uniti.

Fra le raccomandazioni il CIAM sottolinea che, in caso detenzione da parte di un agente dell’ICE, non si deve rivelare la propria situazione migratoria, bisogna chiamare direttamente il consolato messicano più vicino, chiamare un avvocato, non firmare niente, verificare chi ha eseguito l’arresto, chiedere un interprete se necessario, ma soprattutto non mentire e non consegnare documenti falsi.

Qui puoi controllare le raccomandazioni del CIAM.

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[ 1 marzo 2017 ]
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