La situazione sofferta dai profughi sudanesi sulla nave Cap Anamur, ancora bloccata al largo delle coste siciliane, configura una sorta di inedito «respingimento collettivo in mare», in quanto, da parte delle autorità italiane, dopo una iniziale autorizzazione, è stato impedito l’ingresso nelle acque territoriali, con l’uso della marina militare e delle forze di polizia. Nel caso dei profughi sudanesi imbarcati sulla Cap Anamur, battente bandiera tedesca, che naviga in una «zona contigua», ma ancora in acque internazionali, non si può neppure parlare di migranti in condizione di irregolarità, trattandosi evidentemente di potenziali richiedenti asilo che si trovano ai confini delle nostre acque territoriali, non su un mezzo privo di segni di identificazione o battente bandiera ombra, ma su una nave con bandiera tedesca. Per questa evidente ragione il comandante della nave non ha inoltrato le domande di asilo, che non potevano essere consegnate alle autorità italiane fino a quando la Cap Anamur si sarebbe trovata in acque internazionali. Se fosse stato consentito il tempestivo ingresso in porto, ciascun profugo, adeguatamente informato delle procedure italiane ed assistito da personale specializzato e da interpreti, avrebbe potuto presentare la sua istanza alle autorità italiane. Alle stesse autorità, peraltro era stata già fornita una lista dei migranti salvati dalla Cap Anamur.
Al contrario, i profughi sono stati tenuti in alto mare terrorizzati da un pressante monitoraggio da parte dei mezzi militari. Con un grande spiegamento di mezzi, nelle stesse ore in cui in un’altra parte del Canale di Sicilia colava a picco l’ennesima carretta del mare, è stato dunque impedito l’ingresso e l’ormeggio in un porto italiano di una nave, appartenente ad un paese dell’Unione Europea, accusata di trasportare «clandestini». Queste pratiche di «respingimento» in frontiera, ai limiti delle acque territoriali, espongono a gravissimi rischi le vite umane dei migranti e vanificano sostanzialmente il diritto di asilo che va comunque riconosciuto a tutti coloro che, pur non rientrando nelle definizione di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951, rischiano tuttavia di subire gravi violazioni dei propri diritti fondamentali a seguito di un eventuale rimpatrio forzato nei paesi di transito e/o di provenienza (respingimento vietato anche dall’art.33 della Convenzione di Ginevra).
Il respingimento in frontiera impedisce l’accesso alla procedura e si risolve in una misura indiscriminata nei confronti di chi non ha altre possibilità di fare valere il proprio diritto di asilo. Prima che la nave Cap Anamur potesse fare ingresso nelle nostre acque territoriali la stessa era già destinataria di un «atto di imperio» da parte delle autorità italiane che le impedivano di ormeggiare a Porto Empedocle. Non si hanno notizie della natura formale di questo provvedimento, ma di certo questa misura veniva assunta sulla base del recente decreto del ministero dell’interno del 14 luglio del 2003 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.220 del 22 settembre 2003, che affida a questo ministero il coordinamento delle attività di contrasto a mare dell’immigrazione clandestina.
Le delegazioni delle Ong italiane che hanno raggiunto la Cap Anamur sono state testimoni diretti dell’esercizio di questo potere di respingimento che si è articolato per giorni lungo una catena di comando che ha avuto a Roma la sua centrale operativa. Si è realizzata così, per la prima volta davanti agli occhi di tutti i media, l’applicazione della misura amministrativa di respingimento in frontiera, in questo caso marittima, assimilabile ad un vero e proprio tentativo ( finora riuscito) di allontanamento forzato, concernente un gruppo indistinto di persone. Si è quindi configurata da parte dell’Italia la violazione del divieto di espulsioni collettive, affermato dall’art.4 del Protocollo aggiuntivo alla Cedu, firmato a Strasburgo il 16 settembre 1963, e ribadito più recentemente dalla Carta di Nizza nel 2000 e dalla nuova Costituzione Europea. Ma l’aspetto più grave di questa vicenda è costituito dal protrarsi di questa situazione di stallo che vede i mezzi della Marina militare e delle altre forze di polizia fronteggiare la Cap Anamur ed impedirle l’ingresso nelle acque italiane e l’ormeggio in porto, con conseguenze devastanti sui profughi già provati dal lungo calvario della fuga dal loro paese, attraverso l’Africa, verso il Mediterraneo.
*Consorzio Italiano di Solidarietà