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Inchiesta

Costi per il rimpatrio dei migranti dall’Europa alle stelle

Matteo Civillini e Lorenzo Bagnoli, EUobserver - maggio 2017

Photo: Investigative Reporting Project Italy (IRPI)

L’Europa sta spendendo milioni di euro per i rimpatri forzati di migranti verso i loro paesi di origine, con costi fino ai 90.000 € per singolo rimpatrio in un caso limite.

Un’indagine dell’EUobserver su circa 100 operazioni congiunte di rimpatrio tramite voli aerei coordinate dall’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, Frontex, ha rivelato alcuni fatti allarmanti.

I dati concernenti i casi esaminati, che fanno riferimento al periodo che va dall’inizio del 2015 a ottobre 2016, indicano altissimi costi per il rimpatrio delle migliaia di migranti correntemente residenti in paesi EU.

Si è stimato che, in media, l’agenzia (Frontex) ha speso attorno ai 5.800,00 euro per ogni migrante rimpatriato verso il relativo paese di origine. Oltre 4.700 individui sono già stati rimpatriati secondo tale regime.

Il costo medio è frutto di una stima approssimativa, giacché i costi variano enormemente in base a fattori quali la destinazione del volo, la tratta seguita o la quantità di personale accompagnatore necessario.

Il rimpatrio di un albanese dalla Germania può costare attorno ad un migliaio di euro, mentre un rimpatrio forzato in Nigeria può andare rapidamente a 9.000,00 euro.

Un portavoce dell’agenzia Frontex, che ha base a Varsavia, ha illustrato come i repentini aumenti di prezzo siano anche associati a “circostanze impreviste”.

Laddove le operazioni di rimpatrio possano essere pianificate e approvate, alcuni eventi non previsti imprevisti possono portare a cambiamenti dell’ultimo minuto; queste possono includere casi di rimpatriandi che si danno alla fuga, mutamenti nelle condizioni mediche, nuove domande di asilo o altre questioni legali emergenti”.

In alcuni casi estremi, i costi possono crescere fuori misura, sollevando seri dubbi sull’efficienza delle procedure.

Lo scorso Maggio, le autorità svizzere hanno chiesto a Frontex di organizzare un volo per il rimpatrio di quattro cittadini togolesi e di un cittadino del Benin verso i loro paesi di origine.

Per ragioni sconosciute, tuttavia, i soggetti interessati sono stati tutti rimossi dalla lista dei passeggeri appena prima della partenza. Di conseguenza, la tratta del volo è stata ridefinita e il volo è stato fatto decollare con solo due cittadini togolesi a bordo, che erano stati rimpatriati dalla Germania, accompagnati da 13 guardie.

L’intera operazione è stata accompagnata da un conto pari a 177.000,00 euro, ovvero più di 85.000,00 euro per ogni persona rimpatriata in Togo. In conclusione l’agenzia Frontex è arrivata a spendere circa 90.000,00 euro per ogni persona riportata in Togo.

Fino ad ora sono stati spesi dall’agenzia oltre 16 milioni di euro solo tra Gennaio e Aprile di quest’anno.

Frontex sostiene che ogni situazione è analizzata in base al singolo caso e che potrebbero essere disponibili delle alternative. Essa puntualizza inoltre che le circostanze individuali della richiesta in questione, oltre alle “necessità dei rispettivi stati membri”, devono essere tenute in considerazione.

La punta dell’iceberg

In ogni caso, le grandi somme di denaro citate potrebbero essere solo la punta dell’iceberg, secondo Frank Duvell, un ricercatore senior al’Centre on Migration, Policy and Society’ dell’Università di Oxford.

Dal momento che i voli di rimpatrio sono spesso finanziati congiuntamente da stati membri e Frontex, è difficile sapere il costo esatto di ogni viaggio.

A questi costi (spese di volo) vanno anche aggiunti i costi nazionali per la detenzione – dove applicabile – oltre a quelli concernenti la gestione della documentazione, etc…, per cui la spesa complessiva sarebbe decisamente maggiore” ha detto Duvell all’EUobserver.

Egli ha inoltre aggiunto che “A confronto, i costi per la gestione di un richiedente asilo in Germania sono di circa 12.000,00 euro all’anno; nei paesi più a sud sarebbe ancora meno costoso. Pertanto i costi di un singolo rimpatrio ammontano approssimativamente ai costi di catering per una persona per un periodo di un anno.”

Le istituzioni europee dovrebbero invece investire le loro risorse finanziarie con maggiore saggezza, suggerisce Duvell. Piuttosto che continuare imperterriti con apparenti soluzioni rapide, come i rimpatri, il focus dovrebbe essere sull’integrazione, che potrebbe produrre benefici maggiori sul lungo termine.

I fondi (destinati ai rimpatri forzati) hanno un intento puramente repressivo. Non cambiano né il fenomeno né le cause alla sua radice”, sostiene Duvell.

Al contrario, il denaro investito in ambiti come quello dell’educazione, formazione, micro-credito per attività commerciali e re-integrazione va nella direzione di risorse costruttive e perciò è più probabile che sia speso in maniera sostenibile”, fa notare.

In ogni caso, le istituzioni europee sembrano avere un punto di vista diverso al riguardo.

Infatti, nonostante i costi esorbitanti, i rimpatri forzati sono sempre più visti come una delle soluzioni migliori per arginare le pressioni dovute alle migrazioni.

Pressioni per i rimpatri

Durante una conferenza stampa avvenuta ai primi di Marzo, Frans Timmermans, il vicepresidente della Commissione Europea, ha affermato che le espulsioni devono essere velocizzate.

E’ tempo di migliorare le procedure interne e di fare in modo che tutte le persone che non hanno diritto alla protezione internazionale siano rimpatriate umanamente e rapidamente”, ha dichiarato.

L’Italia, la via di fuga principale verso l’Europa assieme alla Grecia, sta facendo degli sforzi in questo senso.

Nel 2016, in media sono state rimpatriate al loro paese di origine 12 persone ogni giorno.
Allo stesso tempo, tuttavia, l’Italia ospita circa 160.000 persone che non hanno diritto all’asilo e sono bloccate in un limbo giuridico.

Il ministro degli interni di centro-sinistra italiano, Marco Minniti, ha messo tra le sue priorità quella di rimpatriarli. Recentemente si è recato in Tunisia e Libia per concludere accordi bilaterali intesi ad organizzare le operazioni di rimpatrio.

Dobbiamo lavorare al fine di rimpatriare verso i rispettivi paesi di origine quanti si trovino al di fuori delle leggi, quanti infrangono le regole”, ha detto verso la fine di Gennaio.

Tralasciando il problema più ampio derivante dal rimpatriare migranti in Libia – un paese devastato dalla guerra, largamente governato da gruppi della milizia armata- le parole di Minniti fanno da eco a sentimenti ad oggi ampiamente condivisi dalle istituzioni nazionali ed europee.

A Marzo, la Commissione Europea ha presentato una serie di nuove misure, chiamando ancora gli stati membri ad “assicurare rapide procedure di rimpatrio e aumentare sostanzialmente il numero di espulsioni”.

Le iniziative adottate in questo senso includono: tempi più brevi per presentare appello contro le decisioni di rimpatrio, un aumento dell’uso della detenzione e, cosa fondamentale, un maggior coinvolgimento di Frontex, ora conosciuto anche come EBCG (European Border and Coast Guard Agency), in tutte le fasi del rimpatrio.

Frontex e le espulsioni

Infatti, mentre la maggior parte dei rimpatri sono ancora effettuati in maniera indipendente dai singoli stati membri, a partire dal suo ‘rebranding’ avvenuto nell’Ottobre 2016, l’EBCG sta giocando un ruolo sempre più sostanziale.

Un nuovo mandato dà infatti all’agenzia il diritto di intraprendere operazioni di rimpatrio congiunto.
Fino ad ora essa non ha ancora organizzato alcuna operazione di rimpatrio di sua spontanea iniziativa.

Naturalmente, un incarico maggiore è accompagnato da maggiori finanziamenti.

Frontex ha speso circa 11,4 milioni di euro in rimpatri nel 2015, che sono praticamente triplicati l’anno successivo, con oltre 66,5 milioni di euro ora disponibili per tali operazioni.

L’impatto del nuovo e più incisivo mandato a vantaggio della adesso più potente agenzia si è già fatto sentire.

Il numero di voli di rimpatrio nei quali essa ha avuto un ruolo sta andando alle stelle.

I dati rilasciati all’EUobserver mostrano che da Gennaio 2017, essa ha già organizzato 100 voli di rimpatrio forzato con un totale di 4.704 espulsi a bordo.

In netto contrasto, il predecessore più debole dell’agenzia, Frontex, aveva contribuito al rimpatrio di solo 3.565 persone in sole 66 operazioni in tutto il 2015, mentre lo scorso anno essa ha organizzato 232 voli per oltre 10.000 persone.

Gli stati europei che vogliono organizzare un volo di rimpatrio, prima informano l’agenzia, la quale inoltra poi la richiesta a tutti gli stati membri, invitandoli a “riservare” dei posti a sedere sul volo di rimpatrio secondo le rispettive necessità.

A questo punto, l’agenzia valuta il piano e decide la somma da assegnare a ogni singolo paese partecipante.

Un aereo viene poi noleggiato da una compagnia commerciale, le formalità burocratiche vengono trattate, e il volo è segnato in agenda.

Dopo aver passato vari rigidi controlli, i rimpatriandi salgono a bordo dell’aereo, ognuno di loro viene fatto sedere di fianco ad membro del personale che assiste il rimpatrio, che comprende sia personale di polizia che privati.

In media, sono presenti a bordo tre membri del personale accompagnatore per ogni rimpatriando, sebbene questo numero possa variare secondo il grado di rischio assegnato dagli stati partecipanti.
La lista dei passeggeri è poi completata da uno staff medico, da interpreti e, su alcuni voli, supervisori indipendenti.

Il numero variabile delle guardie è lungi dall’essere l’unica differenza nel modo in cui gli stati membri attuano i rimpatri.

Questo succede perché su ogni volo organizzato e finanziato da Frontex, vengono applicati più regolamenti allo stesso tempo: quelli di Frontex e quelli dettati dalle autorità nazionali”, ha dichiarato Mauro Palma, ombudsman italiano, ad EUobserver.

Nei voli per le operazioni di rimpatrio congiunto questo diventa particolarmente complicato: per esempio, i migranti espulsi da uno stato possono trovarsi a viaggiare ammanettati, mentre altri seduti distanti appena pochi metri hanno la possibilità di muoversi in relativa libertà.

Queste differenze nel trattamento dei rimpatriandi contribuiscono a “creare tensioni ed incomprensioni e hanno effetti discriminatori su chiunque sia soggetto alle misure di sicurezza più restrittive” ha dichiarato l’ombudsman italiano nell’ultimo resoconto.

In aggiunta alle differenze in termini di costi e di standard applicati, in alcuni casi, i voli di rimpatrio potrebbero venire effettuati in diretta violazione dei diritti umani.

Rimpatri in Sudan

Salvatore Fachile, un avvocato italiano specializzato in tema di migrazione, ha dichiarato che “Gli avvocati non possono fare molto prima di un’espulsione. Alcune volte essi non hanno nemmeno la possibilità di incontrare i loro clienti”.

Fachile ha trattato diversi casi di espulsioni collettive.

Lo scorso Settembre, ha viaggiato fino a Khartum per verificare lo stato dei cittadini sudanesi che, un mese prima, erano stati rimpatriati dall’Italia su un volo finanziato da Frontex.

La decisione era stata assunta presumibilmente al fine di alleviare le pressioni migratorie, che hanno bloccato centinaia di migranti al confine settentrionale italiano.

I sudanesi non erano un bersaglio casuale: infatti, la polizia italiana ha da poco firmato un Memorandum di intesa con i paesi dell’Africa orientale – e i processi di rimpatrio ha costituito una pietra angolare di questo accordo.

L’accordo ha attratto forti critiche da parte della società civile, ma le autorità italiane si sono mostrate impazienti di metterlo in pratica solo poche settimane dopo averlo firmato.

Quarantotto migranti sudanesi sono stati radunati da Ventimiglia, una città italiana vicino al confine francese, per essere rimpatriati.

Tuttavia, otto di loro si sono opposti fisicamente alla polizia e sono riusciti a rimanere in Italia. Gli stessi hanno infine ottenuto lo status di rifugiato nel paese.

Nulla li rende diversi – legalmente parlando – da quanti sono stati rimpatriati in Sudan: tutti sono originari del Darfur, una zona di guerra, e sono tutti idonei ad ottenere l’asilo.

Pertanto cinque dei quaranta migranti espulsi stanno adesso facendo ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, assistiti da Fachile.


Matteo Civillini e Lorenzo Bagnoli sono giornalisti italiani e membri dell’Investigative Reporting Project Italy (IRPI), un centro di giornalismo investigativo in Italia.